Una vita a foglietti

26 Gennaio. Giorno della Parola, morte di Kobe, Napoli batte Juve

Vi è mai capitato di aspettare con ansia che finisca la lavatrice perché avete poco tempo, fremete nell’attesa e restate a guardare quegli ultimi giri vorticosi della centrifuga come a volerli accelerare ancora di più? Guardi e anche se sai perfettamente cosa hai messo da lavare, in quel momento non riconosci quasi niente di quei tuoi capi. La maglietta della palestra, i jeans, tutto dentro, tutto conosci ma non lo distingui più.

Ieri sera mi sono sentita così.

La giornata era cominciata in maniera particolare in Chiesa: Giornata della Parola. Le letture precedute dall’inusuale benedizione farfugliata più che pronunciata, in una confusione di battiti tachicardici che ancora mi prende quando salgo sull’altare. Il tempo di riflessione, le pause per soffermarsi su quanto letto e ascoltato, la necessità di cercare la Luce rispetto al buio. Non il buio di cui si parla per spaventare, ma il buio dove decidiamo di vivere quando non abbiamo il coraggio di “vedere”.

“Dio è Luce nel buio, chi è senza Luce vive nell’ombra…” sono le parole di Padre Giuseppe.

Io aggiungo: Chi ha il diritto di togliere la Parola alla vita degli altri? E chi permette  alle proprie orecchie di essere vittime del silenzio del buio?

Gesù ci vuole pescatori di uomini, portatori di gioia. Ne siamo capaci?

Mi porto a casa questa domanda. Il pomeriggio potrebbe regalarmi altre riflessioni sul tema ma una visita inaspettata mi trattiene a casa. Pronunciamo altri tipi di parole, ma cerchiamo di mantenere vivo il senso dell’insegnamento.

Ma la serata ha anche un appuntamento sportivo. Napoli  – Juve. Il nostro classico del dolore, lo scontro infinito contro “il palazzo” che volevamo sconfiggere e che ci ha fatto soffrire in tanti modi.

L’attesa e un messaggio sul cell da parte di mia figlia: “Mà, ma è morto Bryant?” Con presunzione le dico che forse ha sbagliato a leggere la notizia, perché nella notte Kobe Bryant è stato superato nel numero di canestri da Lebron James e aggiungo sfacciata “ma non si muore per questo”

Lei insiste e nel frattempo Salvatore ha drizzato le orecchie. Parte la ricerca e purtroppo da 7 minuti circola questa voce. Siamo senza parole. Sarà una fake news. Lo diciamo, ma soprattutto lo speriamo.

Inizia la partita e tra un fallo e una stecca, il cronista annuncia che ci saranno edizioni speciali per una tragica notizia: è morto Kobe Bryant in un incidente aereo. È vero. Finisce il primo tempo, la Juve non ha mai tirato in pota, Sarri non si vede quasi in panchina, Higuain è sommerso dai fischi ogni volta che cerca uno scambio col collega blasonato che è sempre più inguardabile nel nuovo look e mi riesce difficile sottrarmi alle ripetute notizie che trasmettono a rullo ormai.

Secondo tempo e alla tragedia si aggiunge lo strazio: si teme che con Kobe ci fosse a bordo anche la figlia di 13 anni!

Segna Zielinski e non esulto nemmeno. Segnerà anche Insigne mentre diventa quasi certo che Gigì era col suo amato papà.

Ronaldo, ma più Meret, cerca di farci tornare la paura per un altro furto con scasso, ma questa volta non accade. È l’anno peggiore degli ultimi tempi da queste parti, siamo stati vicino alle zone bassissime della classifica e in quelle più basse del morale, eravamo rassegnati all’ennesima sconfitta e invece abbiamo vinto. Ma non mi importa più di tanto.

Penso alla moglie e alla madre; penso all’amore per uno sport trasmesso e condiviso con fiducia e che, per un tragico destino, ha portato entrambi lontano dai nostri occhi, ma soprattutto lontano da quelli che li amavano e che li avrebbero voluti vedere ogni giorno per tanti giorni ancora.

Ho il cuore distrutto a questo pensiero. Rivedo il cartone creato in occasione del ritiro delle magliette “8” e  “24” dai Lakers, l’amore fortissimo per un gioco che è diventato vita e che, mentre stava per essere occasione anche per la piccola, diventa morte.

Mi torna in mente un primo di maggio di anni fa, quando ci lasciava Ayrton, o anni prima sempre di maggio, ma era l’8, quando un volo ci toglieva Gilles. O il capellone Marco, laggiù a Sepang. Eroi, folli, esempi di vita che danno tanto, entrano nella tua vita, ti sembra di conoscerli e di aspettarli per condividere le gioie e i dolori delle loro avventure e poi, così, all’improvviso spariscono. Trascinandosi dietro pezzi di te.

Non mi interessa sapere il commento della partita, non mi incuriosisce l’analisi di Sarri sulla figura di merda della sua squadra, nemmeno la soddisfazione dei tifosi che di certo hanno riscattato mesi di umiliazioni.

Vado a dormire. Penso alla donna che è moglie e madre e che in un attimo si è trovata dentro la centrifuga di quella lavatrice in cui non riconosci più i panni che sapevi di averci infilato da lavare.

Scoprirò stamattina che ci sono altre vittime: Alyssa, compagna di squadra di Gianna, sua madre e suo padre, l’allenatrice e qualcun altro ancora da identificare. Una tragedia che ha voluto scuotere i cuori del mondo nel giorno della Parola, di Napoli Juve e che precedeva quello della Memoria. Forse solo un modo diverso per ricordare a tutti quanto vale ogni singola vita, quanta gioia può dare un piccolo o grande sorriso, quanto sia ignobile strumentalizzare l’importanza di ogni essere umano.

In qualunque luogo, in qualunque momento storico.

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