Diego De Silva, un graditissimo ritorno con “Divorziare con stile”, alla Primavera Einaudi a Cava
Alla Primavera Einaudi è arrivata una serata particolare, un po’ più speciale delle altre, piena di aspettative umane oltre che letterarie.
C’è Diego De Silva, l’autore di Certi Bambini, Voglio Guardare, dell’avvocato Malinconico, ma c’è soprattutto l’uomo, quello disponibile, attento agli altri, che ho conosciuto tanti anni fa e che ho ritrovato in un abbraccio sulla porta del complesso di San Giovanni a Cava. Non lo dico per sottolineare la nostra conoscenza, perché Diego ha salutato allo stesso modo decine e decine di persone; tutte quelle che, come me, hanno avuto il piacere di incontrarlo, conoscerlo e apprezzarne le doti umane oltre che di affermato scrittore.
La serata, durante la quale si parlerà di “Divorziare con stile”, sarà presentata da Mariano Agrusta, altra persona con cui Diego ha stabilito rapporti di empatia immediata, non basati su continue frequentazioni, ma su quella stima reciproca che sboccia tra persone speciali. E per Mariano Agrusta, io stessa sottolineo e confermo, per esperienza diretta, la grande professionalità e umanità.
Con loro la dolce presenza femminile di Irene Fimiani, lettrice ma “seguace” appassionata dell’autore campano.
Tutto inizia con i saluti istituzionali doverosi, ma dell’intervento dell’assessore Lamberti, voglio ricordare la battuta sulla sua poca conoscenza dell’argomento “divorzio”, perché gli manca l’esperienza precedente necessaria per poter poi eventualmente arrivarci e questo per evidenziare fin da subito, l’atmosfera gioviale che si è venuta a creare.
Sala piena come sottolinea Claudio Bartiromo, responsabile Einaudi, a cui fa sempre piacere evidenziare l’importanza di discorsi costruttivi per combattere la dilagante disinformazione che porta spesso ad una delega delle decisioni su temi importanti, ma che poi possono sfociare in ben altre realtà. E il ricordo dell’iniziativa che ha portato al progetto sulla lettura nelle scuole, partito proprio con Diego e il suo “Certi bambini”, nel lontano 2003.
Quando Mariano prende la parola, ringrazia il club dei Lettori sempre presenti e soprattutto la possibilità che gli è stata data di poter dialogare direttamente con un amico così stimato e apprezzato come Diego e precisa subito che non sarà la trama l’argomento principale, perché le storie per uno scrittore, spesso sono solo il pretesto per parlare di sé e questo libro sembra avere un’attitudine più per il racconto che per il romanzo e quindi la scelta di fermarsi su episodi marginali, ma solo in apparenza.
Mi fermo un attimo. In questi casi ho sempre una tendenza a raccontare con una certa meticolosità l’andare del discorso, cerco sempre di riportare abbastanza fedelmente testi e ordine di interventi. Ma stavolta non mi va.
Ci sono state tante cose che sono andate al di fuori del libro, c’è stato un lato umano così reale, profondo, presente, che farlo rientrare dentro una sola ricostruzione cronologica, mi sembrerebbe di appiattire.
Anche perché lo spirito della serata non voleva essere quello.
Mariano ha preparato un videoproiettore e non era stato chiaro a cosa potesse servire, ma ad un certo punto sono partite delle immagini: “Miele” – Giardino dei Semplici, e poi “Signora mia” – Sandro Giacobbe e tutti hanno accennato alle note di quelle canzoni che hanno accompagnato la giovinezza di tanti dei presenti. Chi ha letto il libro, subito si è trovato in macchina con Malinconico, in uno dei tanti taxi che lo scorrazzano per le vie del centro e che danno il la alla sua condanna sulle ipocrisie delle varie categorie, ma che semplicemente potremmo definire le ipocrisie dell’uomo.
Perché tutte le considerazioni vanno in quella direzione. L’incapacità di saper e voler vivere una vita fatta di sentimenti veri, di rapporti basati sulla fiducia, sulla passione, sulla spontaneità piuttosto che sui ragionamenti, sul calcolo, sulla convenienza.
E di qui le parentesi sulla scelta dei nomi, che Diego trova fondamentali nella vita di ogni uomo. Il suo Malinconico, non è solo un cognome, ma la consapevolezza di uno stato d’animo che lo ha accompagnato da sempre, e che in qualcuno sfocia in una vera e propria patologia. Perché un romanzo si basa su allusioni che ci rimandano a qualcosa di cui sentiamo la mancanza senza capire fino in fondo di cosa veramente abbiamo bisogno. Mariano trova una breve definizione che semplifica il concetto: la malinconia è l’incontro tra la felicità e l‘infelicità.
Personalmente quando ho iniziato il libro, dopo aver letto le prime pagine, mi sentivo già ampiamente dentro lo stato d’animo dello scrittore. La disamina attenta, cruda e realistica di certi comportamenti standard, poteva in qualche modo già bastare. Perché è l’idea di base che spinge certi uomini, che poi si mostrano nella categoria lavorativa che rappresentano, a dare il peggio di sé.
E la successiva comparsa del giudice di Pace soprannominato La Merda, conferma e precisa ancora più a fondo il concetto. Ma Pestalocchi, alias La Merda, non è altro che l’occasione per descrivere il prototipo della persona che, dopo aver fallito in tante altre cose, trova il modo per ricoprire un ruolo di potere, grazie al quale poter infierire sugli altri. “Banalità del male”.
La capacità, che pochi sanno dimostrare, di saper di possedere un potere ed evitano di esercitarlo: questo è lo stile che troviamo nel titolo, che si contrappone alla figura dell’aguzzino, colui che non sa creare nessuna forma di empatia con un altro essere umano. Diego cita un libro “Davanti al dolore degli altri”: sarebbe solo un titolo, ma non vi sembra che stimoli già una quantità esagerata di domande?
Il discorso continua su questi temi, sul ruolo che la musica leggera ha avuto nelle nostre vite, perché forse ha saputo raccontare, meglio dei cantautori, l’italiano medio.
Sapete, era bellissimo ascoltare Diego ripetere i versi di quei testi come “Tornerò”. Le parole acquistavano un sapore completamente diverso da come noi tutti le abbiamo ripetute migliaia di volte senza percepire fino in fondo tutto quello che racchiudevano. Considerazioni su considerazioni, immagini sovrapposte, sensazioni che tornavano e che invece, lì, in quella sala, in quel contesto, assumevano una dimensione quasi rivelatrice.
Perché le parole hanno un peso specifico in determinati momenti. Le definizioni di amore, di solitudine, di convivenza, di appartenenza sono così legate a trasformazioni.
“Com’è bella la solitudine quando hai qualcuno”. Forse bellissima come interspazio, perché da sola, la solitudine, non può creare felicità; ma di contro la convivenza è faticosa. Eppure tutti cerchiamo di vivere in compagnia. Forse il grande errore che si commette è alla base. Quale punto di partenza noi poniamo in una relazione?
C’è una pagina nel libro, quando si descrive il primo incontro di Malinconico e la sua nuova cliente Veronica, in cui credo ci sia il concentrato di questo concetto. Malinconico guarda una coppia al suo fianco, ne individua tutte le apparenti mancanze, quei sentimenti, quegli atteggiamenti che non si mostrano al primo appuntamento per “timore” di non piacere, senza renderci conto che in quel momento stiamo dando un’immagine diversa da ciò che siamo e che quando invece, in futuro, non potremo più nasconderlo, chi ci sta di fronte, guarderà un estraneo. Ma nello stesso preciso istante in cui lui riesce ad analizzare con freddezza questa contraddizione, si ritrova a comportarsi allo stesso modo! Finge.
Strani comportamenti hanno questi esseri umani!
E Diego parla del suo concetto di amore, di quel desiderio di lasciarsi coinvolgere da un gesto, da una ruga sul viso, da una parola detta in una maniera tale che ti mostra come chi ti è di fronte abbia capito molto di te, forse più di quanto tu non sappia e sia disposto a raccontarti, a spiegarti chi davvero puoi essere. Di certo l’amore non è il freddo calcolo, la voglia di sistemarsi, di cercare la brava persona da tenersi accanto.
E l’argomento famiglia prende corpo. Quando accenna alla figura del padre che ha conosciuto lui, rivedo perfettamente anche il mio passato, e di sicuro potrei dire il nostro in maniera più generale. Un tempo era più facile fare il padre, anche se questo non significa necessariamente averlo fatto bene, perché c’era una società che tutelava dei comportamenti e delle scelte. Oggi i genitori non sono più figure sempre rispettabili e dunque i loro interventi non hanno sempre il giusto peso. Così come i professori che, seppure siano stati sempre una categoria sottopagata, almeno un tempo godevano del rispetto del loro ruolo sociale. Oggi non è più così e la conseguenza è quello che vediamo accadere nelle scuole con troppa frequenza.
In tutti gli interventi di Diego, che condivido pienamente, soprattutto stando da una parte completamente opposta del discorso, perché vivo una famiglia unita e quindi sperimento la necessità della franchezza quotidiana, c’è stata una caratteristica che mi ha colpita molto. L’ho seguito altre volte e ho notato questa differenza. Non è nell’esposizione dei suoi concetti, non è nella visione dell’amore, ma piuttosto uno sguardo completamente diverso sulla vita. Le sue parole non sono quelle di chi le pronuncia per caso, perché così dicono tutti: apro parentesi, perché questi concetti del dover essere sinceri li affermano tutti, ma poi non si fanno ed è altra cosa, proprio come Malinconico!
No. Le sue, sono le parole di chi le ha assaporate, di chi ha capito davvero cosa significa non sprecare tempo nelle ipocrisie, di chi ha saputo dare un valore più profondo ai sentimenti che la vita ci mette a disposizione.
Anche l’apparente disincanto è solo la conferma che quando si ha l’opportunità di cogliere la verità, è davvero un peccato sprecarla.
Sarà stata la vita, la scrittura, la conoscenza con Malinconico, che lui ha descritto quasi come un amico, un personaggio compagno di un viaggio che gli permette di scoprire di sé cose che non sapeva di possedere.
Guardare e ascoltare, guardarsi e ascoltarsi, sono passaggi fondamentali per una vita che si vuole rispettare. Diego, grazie anche all’acutezza di Mariano, alla dolce lettura di Irene, ha saputo dedicarci queste ore che dovevano essere “fra estranei”, ma che si sono rivelate poi una sorta di rimpatriata.
Tutti siamo stati felici di rivederti, tutti siamo curiosi di leggere le tue prossime scoperte con Vincenzo, e le tue nuove parole ricche di “musicalità”, quelle che arriveranno più “ripulite”, perché con gli anni che passano, il superfluo si butta via e resta solo l’essenziale.
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