Figli, anime affidate
Questo è uno dei foglietti che inizia diversi giorni fa, precisamente il 16 di settembre. È uno spunto che poi diventa prefazione di una settimana particolare, ma non casuale. Sapete che non credo al caso.
“Tu ce l’hai regalata e se ne siamo degni la lascerai con noi”. Questo è il pensiero che mi accompagna in una domenica di settembre che precede il tuo arrivo.
Nei pochi minuti dell’omelia tante parole, tante sensazioni.
Mi passano davanti immagini come in un film accelerato e ho sempre paura di perderne qualcuna. Prendo appunti su questa agendina che è ormai stracolma; un giorno li metterò insieme e troveranno un senso. Ma oggi è diverso: “accettare la vita che ci è stata data”, con tutti i problemi, le difficoltà, le gioie.
E ho pensato a te piccola Camilla. Tu, come Salvatore, come Felice, siete dei regali per me. Felice l’ho incontrato, Camilla e Salvatore ci sono stati donati. Affidati!
Oggi come giudichiamo il nostro operato? Siamo stati degni della fiducia che il Signore ha riposto in noi?
Non posso dirlo. Io so che per me, per quello che la vita mi ha dato e mi ha tolto, penso di essere in debito. Ho sofferto tanto, tantissimo. Ho superato da sempre prove durissime e ci sono stati momenti in cui non pensavo di sopravvivere, ma sono ancora qui. E sono rimasta grazie non a quello che mi è stato tolto, ma a quello che mi è stato dato.
Ed è con questa forza che affronto la settimana che verrà.
Il silenzio nell’amore 20/9/2018 ore 12,30
Sei fuori dalla sala operatoria. Sei entrata ridendo risate isteriche, per nascondere la paura che sempre ti prende quando si tratta di un dolore fisico. Esci silenziosa, con piccole lacrime che ti solcano il viso pallido, che fa risaltare ancora di più le macchie rosse dei tamponi nel naso.
Nulla di grave, situazione di routine per i medici, tutto gestito nello standard di un andare quotidiano. Solo che in quello standard, in quella routine, in quella quotidianità sei entrata tu.
Non ho avuto nessun timore. Mai. Solo il pensiero del tuo dolore mi intristiva un po’.
L’attesa è stata calma. Dalla finestra grandi alberi muovevano i loro rami e mi sono sembrati come delle mani giganti, mandate ad accarezzare il battito leggermente più ritmato del cuore. Tutto molto lieve, tutto molto delicato.
Siamo in silenzio adesso. Guardo te e guardo il tuo papà. Non fa molto. Non dice molto. Eppure ogni cosa in lui e di lui racconta ciò che prova. Un sopracciglio più arcuato a scrutare il sangue che cola, un occhio un po’ lucido per il dispiacere di vederti in questo letto, una mano posata sul tuo braccio, a rendere tangibile la sua presenza, la sua partecipazione. Quante cose racconta il silenzio. Quanto amore in una semplice vicinanza.
ore 20,30
Un giorno insieme non lo trascorrevamo da tempo. Tutta per te. E tu per me.
Un letto d’ospedale non è una bella occasione, ma è un’occasione. La vivo così. Con il mio modo di essere una mamma “sbagliata”, come mi definisce una mia cara, carissima amica. L’ho sorpresa dicendole che sarei rimasta con te stanotte, sottolineando che la libertà non c’entra con la salute, con la presenza, con il mio esserci sempre. Io ho imparato ad essere con i miei figli anche quando non ci sono e spero che loro sentano la mia vicinanza anche quando sono lontani. Mi ha risposto “Non esagerare, altrimenti devo volerti ancora più bene”. Ci prendiamo in giro così da anni! Ma lei non ha mai dubitato di quanto io possa amarvi.
Ti guardavo oggi mentre dormivi, stordita dal dolore e dai medicinali. Mi è venuta in mente un’immagine vecchia quanto te: il giorno in cui sei nata ed eravamo in posizioni opposte. Io in un letto a soffrire e tu in braccio alla nonna che ti mostravi a me con la testa incerottata, una tutina a righe e quegli occhi grandi, scuri, “da vecchia”, che ora sono nascosti da palpebre pesanti, ma so che scrutano ancora il mondo con la stessa curiosità di allora. Venticinque anni. Anni vissuti, anni di sofferenza, risate, conquiste, scoperte, tradimenti. Tanto c’è stato in questi anni, noi li abbiamo voluti vivere. A modo nostro, con tanti errori, ma con tanta sincerità. Ed è stato bello e lo sarà ancora. Perché non siamo stanchi di scoprirci, di guardarci intorno, di fare sempre un passo avanti, di sognare, di credere che le nostre saranno vite vissute.
Ed è così bello parlare al plurale. È così bello sentirci come un unico cuore.
Quando sei arrivata l’altro giorno e hai visto Salvatore: il vostro abbraccio! Vi ho guardati solo un attimo; lui il piccolino che oggi ti sovrasta, che ti fa scomparire tra le sue braccia e in quel sorriso che è dedicato solo a te. E tu che ti lasci soffocare dall’amico di sempre, l’altro pezzo di te così diverso, ma che si combina perfettamente con te.
Grazie. Non smetterò di dirvelo mai. Per quanto ci avete regalato, per quanto ci permettete di pensare, ogni giorno, che siamo fortunati ad avervi con noi.
Grazie perché ci avete resi migliori, perché siete stati lo specchio dentro cui guardarci senza poterci nascondere; perché siete stati lo spunto per misurare le nostre forze e fare i conti con le nostre debolezze.
Grazie, perché ci avete aiutati a diventare grandi!
21/9/18 ore 5,30
Suona la tua sveglia, segnale di una vita che adesso non c’è. È passata una notte di silenzio, di sofferenza senza lamenti, di grandi sguardi.
Ti ho guardata a lungo stanotte. Ti tenevo la mano e pensavo a tutte le notti, da anni, in cui non ho potuto farlo. Ai momenti in cui pure avresti avuto bisogno di cercare una mano da stringere e non la trovavi. Mi è parso di riprendermi piccoli pezzi di te, momenti intimi, come solo la notte sa regalare.
Eppure entrambe sappiamo di aspettare quest’alba appena nata, perché il tempo che passa, ora, significa verificare a che punto sei.
Sono aumentati i rumori in strada; treni lunghissimi già corrono verso mete lontane. Le luci delle case sono ancora accese, ma non sono più lucciole nella notte.
Tra poco infermieri e dottori e inservienti cominceranno a scandire i nuovi ritmi della giornata, mentre gli ultimi ricordi di una lunga notte, vengono riposti in queste righe, come un pezzo del corredo del nostro stare insieme.
- Ritorno…
- L’odore di casa
E’ guarita Camilla, lo sento. La medicina “amore” funziona il doppio.
E tu Paola, tipica mamma italiana del sud, con l’accanimento di vivere prima per i figli che per te stessa, sempre, anche se sono adulti e capaci. Sono come te. E spesso mi accuso, perchè fatico a trovare la leggerezza necessaria alla vita. Brava comunque, non ti sei fatta sopraffare dall’ambiente asettico di un ospedale, dove tutto pare dire dolore, prima che soluzione.
Un abbraccio a tutti i componenti della tua bella famiglia.
Si, è guarita, grazie. E grazie per i pensieri che mi dedichi sempre 🙂 <3