In ritardo…? parte prima
Vengo a pubblicare cose di un altro momento, pensieri che sono nati in altre occasioni e che forse saranno considerati “in ritardo”, ma davvero c’è un tempo giusto per i pensieri? Per le emozioni? Per le riflessioni?
Non so cosa pensano gli altri, io so che alcune sensazioni mi si incollano al cuore come un post-it, quelli di ottima qualità, che non vanno via se non li stacchi tu. E mi ritrovo a volte ad essere talmente piena di “appunti”, da non avere più spazio e dover fare pulizia. Raccolgo ognuno di quei pezzettini gialli che non hanno corpo, non hanno testo ma solo sensazioni, emozioni, ricordi e cerco di sistemarli nelle righe di un foglio. Perché l’ordine non è una delle mie qualità, ma la memoria dei miei pensieri sì, quella è forte e non voglio rischiare di perderne nessuno.
12/5/2018
Percorro una strada su cui sono passata per anni, alzo gli occhi in una direzione che da sempre, da quando è nato quel palazzo, mi ha dato sempre le stesse immagini. Balconi aperti o chiusi alle stesse ore, piante che cambiavano solo con il passare delle stagioni e degli anni, panni stesi a testimonianza di una vita che scorreva.
Poi tutto si è fermato. Balconi chiusi, piante seccate e buttate via, panni scomparsi come la vita che li giustificava. Ed è arrivata l’immobilità della solitudine, della polvere che si accumula, delle pareti silenziose, degli odori scomparsi. E quella è tristezza.
Ma sapete cosa sembra fare ancora più male? Passare per quella strada e scoprire che i balconi si sono riaperti, che sono arrivate nuove bellissime piante, che nuovi abiti prenderanno il sole su quelle corde così ben allineate. E mi dà un colpo al cuore immaginare che nuove vite si scriveranno tra quelle mura, che la storia che è stata vissuta subirà una sovrapposizione, che nuove voci cancelleranno quelle di chi, in quella casa, è cresciuto, ha amato, ha sofferto, è scomparso. Pare un ulteriore passo verso l’oblìo che è cosa naturale ma che non voglio accettare. A me manca il saluto a quella casa. Ho pensato di riprendere l’ascensore, salire a quello stesso piano, bussare e scoprire che effetto mi poteva fare vedere un’altra faccia aprire quella stessa porta. Ma sarebbe davvero così sorprendente? In fondo estranei erano diventati anche i vecchi inquilini. Persone diverse da quelle che erano entrate, o forse solo persone a cui erano scivolate giù le maschere indossate per anni.
Il pezzo di strada che ho percorso è fatto di pochissimi metri, il polverone che si è alzato è lungo chilometri. Ed è una polvere sporca che mi soffoca, che mi appesantisce il respiro. Solo ora che ho scritto mi ritorna un po’ di ossigeno.
- Storie di tifosi
- In ritardo…? parte seconda
Usare le parole, scritte o parlate, come terapia, fa sempre bene.
Sarebbe ancora meglio, in questo caso, lasciarsi indietro quel passato che non passa.