La gioia della Fede
Sono tornata a Messa. Con una settimana di ritardo dovuti a varie cose che non interessano a nessuno, oltre che a me, ma finalmente sono tornata.
Il mio crocifisso, il mio amico carissimo, l’unico che non si è mai mosso da quella parete anche senza mancare mai anche nelle mie lunghe giornate in tanti altri luoghi.
Ci sono le persone care, quelle dell’appuntamento del mattino presto. Come avrei voluti abbracciarli. Tutti, uno per uno. Per dimostrare ad ognuno di loro quanto mi fossero mancati.
Quando sono scoccati i rintocchi della campana, la gioia mi ha sopraffatta. Ho chinato il capo mentre nascondevo un sorriso immenso, celato a sua volta dalla mascherina.
E padre Giuseppe che, a sua volta, celebrava di nuovo la Messa per la prima volta dopo le aperture.
Io adoro questi uomini. Quelli fatti di immensa Fede e terrena umanità. Amo questo sapersi calare nella vita di noi tutti mortali, con gli incontri e gli scontri che facciamo quotidianamente con le bassezze di uomini con cui siamo obbligati a confrontarci, e che tante volte ci deludono per l’immensa meschinità. Ma allo stesso tempo saper far trasparire quella luce di gioia e di incrollabile Fede che ti fa parlare col cuore e che regala sorrisi.
Oggi è il giorno della Pentecoste. Con timore reverenziale mi avvio alle Letture, gli Atti degli Apostoli che raccontano dell’arrivo di “lingue di fuoco”. Sono io e il mio leggio, sono io e quelle letterine nere, sono io che ritorno a casa.
Nell’omelia le prime parole sono di gioia. Noi siamo assetati di una voce, della Parola e padre Giuseppe ha bisogno di condividerle. Lo ha fatto sempre in questi mesi, non ci ha lasciati mai soli, ma lì, sull’altare, dopo il Vangelo che parla del giorno della Pasqua della Resurrezione dello Spirito Santo, come se pure lui sapesse che abbiamo bisogno di tanto, abbiamo bisogno di tutto, quel suono diventa un canto. Una melodia che attraversa ogni cosa, che ci riporta a cucire quel filo di appartenenza, che risveglia quella gioia che proviamo ogni volta che la Parola di Dio arriva alle nostre orecchie, parcheggiandosi nel cuore.
La parola grande è quella del Perdono. Quante volte ci scontriamo con questo difficile compito. Ma stamattina c’era qualcosa che andava ben oltre il semplice significato che noi, piccolissimi uomini, possiamo assegnargli. Il Perdono è un’educazione. È la capacità di tramandare un sentimento che deve essere lezione di vita, di umiltà, di grande crescita. La cosa più difficile, forse, che tocca agli uomini.
Io la riporto in questa nostra vita di tutti i giorni, in questa realtà che viviamo e che ci sta davvero offrendo spunti notevoli di responsabilità, ma se ne parlerà altrove. Qui, ora, ci siamo noi. Di nuovo insieme, ancora distanziati, ma stracolmi di gioia.
Avrei voluto applaudire alla fine, come ad uno spettacolo, come ad un concerto, come in qualunque posto che mi regala emozioni e che mi rende migliore. Ma ho continuato solo a sorridere, a nutrirmi di quell’atmosfera di pienezza, di partecipazione, di realizzazione. Sì. È decisamente la Chiesa il posto in cui possiamo essere migliori, senza ipocrisie, senza provare a nascondere nulla delle nostre pochezze, perché so che chi mi guarda mi conosce molto bene e non è lì per giudicarmi, ma per guidarmi e darmi sostegno.
L’Eucarestia resta un momento magico. Una di quelle cose che non so spiegare o che forse non voglio spiegare perché troppo intima. Chi la condivide con me, sa di cosa parlo.
Ecco, questo era il mio ritorno in Chiesa. Il mio ritorno a casa. Quella casa che non abito ma che mi accoglie sempre. Quella casa che amo indipendentemente da chi ci incontro, perché so di trovarci sempre Colui che mi aspetta.
Questa è la mia gioia nella Fede
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