Una vita a foglietti

Rassegna Li Curti – “Per disgrazia ricevuta” di Antonello De Rosa

San GennaroQuesto è l’articolo pubblicato per la Rassegna Li Curti del Tatro Luca Barba su Vivimedia.

Arriviamo al Social tennis Club per la V° serata della Rassegna Li Curti e troviamo ancora una sorpresa: avevamo già visto il palco spoglio, lo avevamo visto spostato a terra, lo avevamo visto chiuso, ma ancora ci mancava vederlo di schiena: anzi riflesso nei due immensi specchi che ci guardavano mentre ci siamo accomodati dando appunto le spalle al palco e il viso alla porta d’ingresso. Tutto quello che faceva immaginare che qualcosa ci sarebbe stato, erano due sedie in legno, diverse dalle nostre, che aspettavano, vuote, di scoprire il loro segreto.

E noi abbiamo aspettato, tra chiacchiericci, rumori, musica e gli ultimi spettatori che hanno raggiunto i loro posti o defilandosi quando si accorgevano di questa platea che ne ammirava l’ingresso o approfittavano del “momento di gloria”, passando al centro del “palco”.

Ma il silenzio è arrivato quando una particolarmente allegra Carmela Novaldi viene a presentare la serata: “Per disgrazia ricevuta” della Compagni Scena Teatro, con Giovanni Pisacane, Mauro De Simone e Simona Fredella, da un testo di Santanelli e con la regia di Antonello De Rosa, attore salernitano che a Cava non ha più bisogno di presentazioni viste le passate esperienze che lo hanno visto protagonista anche come vincitore di numerosi premi e per il nuovo laboratorio teatrale che sta portando avanti da pochi mesi nella nostra città.

La serata viene anticipata come una commedia particolarmente divertente e forse, quando arriva Giovanni Pisacane a impersonare la prima anziana protagonista, seguito dopo poco da un imponente Mauro De Simone (la sedia sarà una sua vittima) che è l’altra signora presente nel copione, pensiamo che gli abiti da uomo ma scarpe, sciarpette e gridolini da donne, possano già essere motivo di ilarità: e qualcuno lo dimostra con sonore risate per il portamento non proprio “disinvolto”.

Le due signore si accomodano sulle sedie che rappresentano in realtà i banchi di una chiesa, e ovviamente l’interlocutore è San Gennaro, il santo napoletano per eccellenza, quello a cui vengono rivolte centinaia o forse migliaia di richieste al giorno di grazie e miracoli.

Il paradosso inizia quando, a fronte della prima che si mette in privato seduta a pregare, l’altra sfacciatamente assume un tono quasi confidenziale, di sfida verso quel Santo a cui si è rivolta per la prima volta e che, almeno per questo, meritava assolutamente di essere ascoltata. E così è stato: ma con un piccolo problema tecnico. La signora in questione è una prostituta “di famiglia”, da generazioni continua l’attività che era stata di sua madre e di sua nonna e forse delle sue antenate; persona che non ha mai conosciuto la verginità, perché la madre l’ha forse “venduta” a qualche cliente poche ore prima del parto e la disgrazia che riceve da questo Santo sbadato, è proprio il tornare ad esserlo. La prostituta che diventa “impenetrabile”. Assurdità della commedia, ma che poi tira fuori aspetti che sono la tragedia, la pochezza, la miseria degli uomini. In troppe direzioni : il campo d’azione di queste affermazioni, di questi problemi, del come si raccontano è vastissimo. La prostituta che ha sempre portato avanti la famiglia a differenza di un marito che “o si scioscia o si sfrega le mani” a seconda della stagione e che non vive nessuna responsabilità, neanche quando il figlio piccolo, di fronte all’impossibilità della madre di continuare a lavorare, si offre lui stesso di guadagnare per “sfamare le piccole boccucce”: ovviamente continuando la tradizione materna! Mentre Mauro pronunciava quelle parole verso un uomo che è più un parassita, è stato molto chiaro il sentimento di vergogna dell’uomo verso l’uomo. Se nei panni della donna hanno saputo avere un atteggiamento credibile ma allo stesso tempo di distacco, in quel momento l’umiliazione per una categoria di parassiti che non sanno far altro che approfittare degli altri, godendo di benefici per i quali non fanno nessun sacrificio, è stata forte, evidente.

Ma tutto è esasperato in quest’unico atto che ci viene proposto. Come i rosari che le donne snocciolano con un latino ostentato: quasi a grandezza d’uomo, forse per mostrare una “grande” fede; come la confidenza che si prendono nell’offendere quello che non rappresenta un essere vicino a Dio, ma solo il mezzo per arrivare ad ottenere ciò che vogliono; come la rabbia che esplode quando anche l’altra confessa che la sua preghiera è stata sì esaudita, ma ancora una volta con superficialità, da una mente ormai poco lucida. Perché il peso dei 1800 anni del Santo ormai si sentono tutti! E a lei è capitato di dover assistere alla nascita di un mostro che è poi la sua nipotina, unica ragione di vita che scopre il complesso di non avere “tette”: piatta, completamente piatta. E di fronte all’ovvia richiesta della nonna, San Gennaro ha esagerato; l’ha riempita di tette. Dappertutto e di ogni grandezza. Quando Rituccia, Simona Fredella, la nipote appunto, viene invitata ad entrare, con aria inebetita perché quando si è scoperta ridotta in quel modo non ha più parlato, si vive l’ennesima tragedia e l’ennesimo finto riscatto: la nonna viene fulminata da un infarto mentre tenta di scagliarsi contro la statua del Santo traditore e “l’impenetrabile” coglie l’occasione per guadagnare su quella sventurata: la porterà da una cugina che ha un circo così, mettendo in mostra la sua tragedia, qualcuno potrà guadagnare su quel disastro, ma procurandole, allo stesso tempo, un piatto di minestra!

Confesso che non ho mai riso. Il copione era anche divertente e la sala rispondeva in maniera spontanea alla rottura della sedia, agli inchini scomposti, alle battute che il nostro dialetto regala con tanta abbondanza. Ma io non ce l’ho fatta. Troppi pensieri pensavo mentre guardavo.

Il tema religioso è un aspetto della nostra vita che viene vissuto in tanti modi diversi e quelle due donne ne incarnavano tanti, insieme, contraddittori . La ricerca di quegli esseri  che riconosciamo superiori nei momenti del bisogno e a cui poi , con la stessa facilità, addossiamo colpe banalmente terrene, come la vendetta, la distrazione, la stanchezza. Quel cercare oltre le nostre capacità la soluzione a problemi  che riteniamo di non saper risolvere o di non saperli accettare per cui diventa fondamentale puntare gli occhi in alto, verso chi ha dimostrato potere, ma un potere volto a far nascere fede e non stupore, grazie a miracoli che non dovevano abbagliare ma svelare. E la Chiesa poi, luogo di preghiera, di confidenza, di raccoglimento, dove dovremmo imparare a conoscere maggiormente noi stessi e che invece usiamo come spazio per i nostri sfoghi, per le nostre suppliche “guidate”, per i nostri terreni interessi. Il mondo oggi ci impone di guardare alle religioni in generale con occhi critici, perché ancora una volta qualcuno le usa, come succede da millenni, per arrivare a realizzare interessi privati, di pochi. E questo si scontra assolutamente con quelle che sono le parole di chi è venuto per dare invece possibilità a molti.

Ma mi fermo perché il mio non è un articolo sui Cristiani, o su Musulmani o Buddisti. I miei sono appunti che nascono da una serata e come sempre dimostrano che anche dove non lo immaginiamo, possiamo trovare gli spunti per arrivare lontano.

Come il tema della vita, quella di chi conosce solo una strada e che continua a percorrerla sempre, senza rendersi conto che spesso diventa imposizione anche per chi verrà domani… una reazione a catena dalla quale sembra  non si possa sfuggire. O quel solito quesito: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto; ciò che per alcuni è dolore, per altri è gioia; per chi esiste l’orrore e per chi il guadagno. Tutto è relativo nella mente degli uomini, basta decidere a quale finestra affacciarsi, quale panorama guardare e quali occhi utilizzare. La conoscenza allarga le nostre vedute, affina il nostro spirito, ci offre la possibilità di cambiare le vecchie strade.

San gennaro 2Mauro De Simone e Giovanni Pisacane, hanno avuto il merito di far trapelare tutti i sentimenti di cui abbiamo parlato: dalla speranza,  alla rabbia, al disgusto , all’opportunismo. In due, in una sola parentesi di vita, hanno tirato fuori una bella collezione di emozioni. La stessa Simona Fredella che di fatto è comparsa “solo” per mostrare lo scempio avvenuto sul suo corpo, ha avuto la capacità di trasmettere una forma di stupore verso qualcosa che non si sarebbe mai aspettata, ma che ancora di più avrebbe modificato la sua vita

Quando a fine serata arrivano tutti per salutare, da Antonello De Rosa, agli attori ovviamente, a Geltrude Barba, Direttrice della Rassegna, sentiamo rinnovare il solito invito: “andare a teatro” che è un modo di dire “crescere”, “migliorarsi”, “conoscere”.

E avremo ancora l’occasione per farlo, questa volta con una nostra concittadina, Carolina Damiani tra due sole settimane. Arrivederci

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