Una vita a foglietti

Stage di Antonello De Rosa – “Edipo”. Storia di un successo

EdipoDall’articolo di Vivimedia

Ancora una volta teatro. Ancora una volta Antonello De Rosa. Ancora una volta un successo.

Ad animare questa splendida serata gli attori che hanno partecipato allo stage nazionale di Scena Teatro, il laboratorio di Antonello De Rosa, tenuto per la prima volta a Cava dei Tirreni. Tra il pubblico il piacere delle istituzioni con Vincenzo Servalli sindaco, l’assessore Nunzio Senatore e l’ex sindaco Marco Galdi che ebbe l’intuizione di questa location come sede teatrale, nei mesi passati.

La sfida è stata ardua: 20 ore di lavorazione con Silvana Vitale, Gerardo Trezza, Margherita Rago, Lucia Falciano, Lucia Adinolfi, Lucia D’Ambra, Mary Mazziotti, Carolina Damiani, Mario Perna, Simona Fredella, Alessandro Tedesco, Melina Tagliamonte, Tania Malatesta, Maria Agnese Di Iasio, Antonio Iannone, Marco Ronca, Pasquale Senatore, Angela Vitaliano, Massimiliano Costabile, Maria Giuseppina Russo, Anna Maria Milito, Rosanna De Bonis, Valeria Palladino e Nicola Ferrentino per le splendide foto e i video. 23 partecipanti, alcuni alla prima esperienza, che si sono voluti confrontare con la realtà del teatro. E ciò che leggerete, sarà solo il racconto di quello che abbiamo visto ieri.

A Casa Apicella si è vissuta di nuovo una magia: Edipo, una tragedia antica, millenaria, materializzatasi sotto i nostri occhi in un viaggio itinerante che, attraverso quattro stanze ed un cortile, ha fatto rivivere la follia e i capricci di un destino, un destino che all’uomo razionale non è dato di cambiare.

Si comincia con una grande allegria, un matrimonio è occasione di festa, baci e auguri e la classica signora che lancia il piatto ai piedi della sposa… e se il piatto non si rompe? Sorpresa, dolore, pensieri funesti si impadroniscono dei presenti, la sposa (Carolina Damiani) rimane impietrita per ciò che legge in quel piatto integro, che le ha voluto negare la gioia di un futuro che immaginava e sperava diverso.

E arriva “la storia”, (Rosanna De Bonis) passo lento, abiti neri: ha in sé la verità, e cerca di illuminare i presenti su ciò che è stato e su ciò che si vedrà. Parla dunque di Giocasta, la potente regina di Tebe, moglie di Laio, alla quale viene predetto il tragico futuro di quel figlio che porta nel grembo, che avrebbe ucciso suo padre e sposato la madre. Tragica rivelazione alla quale gli sposi cercano di porre rimedio abbandonando il bambino dopo avergli bucato i piedi, affinché la profezia non si possa avverare. E ciò che per alcuni è un gesto tragico, per altri diventa manna dal cielo, un dono per il re di Corinto, Polibo che lo trova chiamandolo Edipo che significa “piedi bucati”e per sua moglie Merope, che di figli non ne può avere!

Ma a Tebe c’è la peste, la gente muore per strada, non si sa più come e dove seppellire i morti, le urla di dolore di strazio si accavallano tra il popolo: peste e dolore, lacrime e morte, è in questo scenario che arriva Edipo (Alessandro Tedesco), che rivolge agli dei tutto il suo timore per essere l’unico a non subire lo scempio della malattia e di sentirsi dunque vittima di un destino peggiore.

Un narratore è d’obbligo per annodare trame ed intrecci e luoghi e tempi e per noi è stata scelta la splendida Simona Fredella, che con i suoi colori, la sua presenza scenica, la sua dizione perfetta, ci illumina e ci intimorisce allo stesso tempo. Lei ci indica le mura dove i soldati hanno visto il fantasma di re Laio e dove i tre soldati (Antonio Iannone, Pasquale Senatore, Marco Ronca), divertiranno tutti con un siparietto sulla Sfinge che apre una parentesi comica all’interno della tragedia; sarà a lei a condurci, quasi per mano, in quelle stanze dove si dipanerà la storia di Giocasta, di Edipo e della Sfinge.

Tutti in piedi dunque, il viaggio ha inizio.

…dieci, undici, dodici,… Tiresia (Gerardo Trezza) cieco perfetto e indovino, conta un conto immaginario, dovendo affrontare l’incontro con la sua regina Giocasta (Carolina Damiani), che dà sfoggio di una follia quasi preoccupante quanto è reale. Il sogno ricorrente, il colloquio con il giovane soldato (Pasquale Senatore), che le interessa non si sa, se più per le notizie sul marito fantasma, o per la sua bellezza e quell’età che le ricorda l’insano gesto compiuto 19 anni prima. Quando smette di inveire contro la sciarpa che vuole ammazzarla, si rintana nello stesso angolo da cui Tiresia contava e ricomincia anche lei un gioco  a nascondino, ma non potrà nascondersi da nulla: il destino incombe su di lei.

Il narratore allora apre la porta successiva: un covo di meretrici, musica, luci soffuse, candele sull’immaginaria collina, la Sfinge (Lucia Falciano) e le sue innumerevoli anime e bocche parlanti (Angela Vitaliano, Silvana Vitale, Melina Tagliamonte, Lucia Adinolfi, Tania Malatesta), che si aggirano sui gradini sensuali e tentatrici, potatrici di morte e sostenitrici della violenza, meditando sulla vita, sull’amore. Lucia Falciano è bellissima da vedere con la sua sottana bianca, le collane vistose, il cuore delicato mentre parla e anela all’amore, in contrasto con ciò che è il suo ruolo cattivo di assassina. E arriva un altro Edipo (Mario Perna), a raccontare la sua storia passata, di come abbia ucciso involontariamente un uomo, di cui non ha mai conosciuto il nome, ma che gli ha mostrato l’orrore della morte. Quando la Sfinge chiude i suoi occhi per non vedere l’amore che riflettono, la scena finisce e il narratore ci rimette in movimento.

Arriviamo da un’altra numerosa Sfinge, (Maria Agnese Di Iasio, Anna Maria Milito, Massimiliano Costabile, Antonio Iannone, Mary Mazziotti, Rosanna De Bonis, Maria Giuseppina Russo, Valeria Palladino, Lucia D’Ambra), dove conosceremo la soluzione alla mitica domanda, con la confessione che lei stessa fa ad Edipo perché, innamoratasi di quell’eroe solitario e disperato, che non perde l’occasione per approfittare della sua debolezza e distruggerla, per correre poi dalla sua Giocasta, gli concede la vita che avrebbe dovuto invece toglierli. In questa stanza la scenografia è stata davvero coinvolgente. La finestra occupata, tutti legati ad una sedia per dare l’idea del corpo mostruoso e delle sue tante voci. E a proposito di voci, non posso non fare una nota per Valeria Palladino: ha usato quella che ha in dono come un’arma tagliente, ha giocato con i toni, con la profondità, ha saputo incutere paura e rispetto a tutti i presenti. Ma tutti si sono distinti, da Maria Russo che ha saputo scandire le sue frasi con la dolcezza della donna innamorata, ma con la profondità di un dolore vero; Maria Agnese Di Iasio che ha nascosto il suo bel viso dietro i capelli, nel vano di una finestra, con movimenti in sincronismo con Rosanna De Bonis, e Mary Mazziotti, colei che ha tradito se stessa con la confessione della risposta a Edipo (qui Antonio Iannone), che si esprime allo stesso modo con parole e corpo, e Lucia D’Ambra la più sofferente per quell’Edipo che la sfrutta e l’abbandona. Forte anche Anna Maria Milito con Massimiliano Costabile, che hanno decretato la sconfitta di se stessi e allo stesso tempo anche di Edipo.

Ma il narratore, una volta appurata la morte della mostruosa Sfinge, ci ricorda la storia dello sfortunato eroe, che ancora non sapeva di essere così sfortunato e che dunque, con grande baldanza, si appresta  a riscuotere il giusto premio per la valorosa azione: la mano di Giocasta. E sarà proprio la loro prima notte di nozze, quella che andremo a seguire nell’ultima stanza.
Qui ritroviamo l’Edipo iniziale (Alessandro Tedesco) e la sua compagna, madre, sposa Giocasta (Margherita Rago). Quella che ci regalano è una scena forte, un incontro che dal primo approccio, guardando quelle cicatrici così poco comuni, richiama alla mente qualcosa di poco chiaro, un dubbio, un rimorso che viene però subito sedato da una passione carnale, da un bisogno di contatto fisico, di possesso che Alessandro e Margherita rendono con molta maturità, senza mai cadere nel volgare.

Sotto gli occhi di 70 persone accalcate in una stanza, con un caldo che fa scorrere rivoli di sudore su molte schiene, si consuma l’incesto più famoso che mente umana ricordi, quello che cambierà anche la storia della psicanalisi moderna.

E per l’ultima volta Simona farà volteggiare il suo frustino, invocando una “dovuta” intimità e riaccompagnando il pubblico al proprio posto, in cerca di un po’ di frescura e, aggiungo, un po’ di sollievo al tumulto che si vede disegnato sui tanti volti che, “allibiti” ritornano in un mondo reale, dopo aver viaggiato indietro nel tempo per oltre duemila anni.

Ma non c’è tempo di riprendere molto fiato. Torna Edipo (Alessandro Tedesco) questa volta con un Tiresia diverso (Mario Perna), in una interpretazione formidabile. Il suo tremolio, l’andamento incerto, i vestiti scomposti, le orbite nere e principalmente la grande responsabilità di svelare ai due amanti che hanno vissuto per anni nel peccato, quale sia stata la tremenda sorte che si sono concessi. Non basteranno ad Edipo i tentativi di giustificazione che cadranno ad uno ad uno, sotto i colpi di Tiresia e di Giocasta stessa, che resta fulminata nel corpo e negli occhi quando realizza chi è l’uomo che le ha regalato anche altri quattro figli.

Parte così la scena più suggestiva. Giocasta si affaccia alla balconata con al collo la sua fedele sciarpa. Una serie di Giocasta le ribattono, una per una, tutto il dolore di una donna che è in quel momento tutte le donne del mondo. Le sue umiliazioni, le sue angosce, le sue esagerazioni, tutto. E l’unico gesto che le resta da compiere è solo stringere un po’ di più quella sciarpa al collo, “per non sentire più freddo”. Cade con lei un lungo drappo rosso che arriva fino a terra, quel drappo simbolo del sangue versato a cui si aggrapperà Edipo per raccontare il suo dolore, la sua sconfitta, sotto le voci urlanti di un popolo che ha deciso che l’assassino, il colpevole di ogni cosa è proprio lui.

Forte sarà la sua protesta verso quella città ottusa, forte quanto vana, perché tutto l’orrore che i suoi occhi hanno visto, non potrà essere cancellato né con l’oblio, né con la morte. La cecità gli sembra l’unica possibilità e, aggrappato a quella scia di sangue che Giocasta gli ha teso, si acceca, mentre tutto intorno e dall’alto, cadono giù rivoli di tessuto di colore rosso, a raccontare il grande spargimento di sangue e le innumerevoli vite disperse dietro i giochi di Dei impazziti.

Sarà proprio questo l’ultimo riferimento del narratore Simona, la peggiore “Macchina Infernale”, con chiaro riferimento a Cocteau, che gli Dei abbiano mai deciso di costruire per distruggere un essere umano!

Ma quando il loro gioco è terminato, gli uomini ricominciano a festeggiare, il matrimonio riparte di nuovo, la musica sale, il vociare degli invitati è forte… e uno e due e tre! E questa volta il piatto va in frantumi.

Per una volta, e prometto solo per questa volta, non vi dirò proprio tutto.

Lo spettacolo che abbiamo visto è stato, come detto, il frutto del lavoro di uno stage durato in pratica 20 ore e dipanato in tre settimane d’impegno per gli attori e molti di più per la regia (Antonello De Rosa) e la stesura del testo (Alessandro Tedesco). Il risultato è ciò che avete visto e quello che ho raccontato a chi non ha avuto il piacere e l’onore di assistere.

Ma a nessuno dei presenti è stata data l’opportunità che io ho avuto: seguire dall’interno tutta la durata dello stage. E dunque, un’altra occasione sarà data a quest’opera e a questo lavoro di ritornare ad essere viva. Non per una replica, uno stage non va portato in giro, non prevede mesi di programmazione: no, uno stage dura si sviluppa e muore in un tempo definito. Ma quello che ho scoperto, il mondo che mi è stato fatto vedere dietro le quinte, merita di essere raccontato. Per questo oggi  mi fermo qui. Perché avrò bisogno di un po’ di tempo per rimettere insieme le mie emozioni e i numerosi pensieri che sono nati giorno dopo giorno in compagnia di questi ragazzi fantastici che si sono trasformati sotto i miei occhi per giungere a voi con questo spettacolo che, come ho visto e come avete raccontato a fine serata, vi ha lasciati senza parole.

La maestria di Antonello De Rosa, l’ospitalità di Casa Apicella e di Geltrude Barba, il sorriso splendente di Carmela Novaldi mentre aiuta a distribuire gli attestati di partecipazione per tutti,sono l’ultima fotografia che quest’esperienza ci ha regalato. Per il momento.

Il racconto è stato lungo, ma ancora breve per tutto quello che ha da regalare e farvi scoprire. Quello che dovrete fare, sarà solo avere un po’ di pazienza. Grazie.

6 thoughts on “Stage di Antonello De Rosa – “Edipo”. Storia di un successo

  1. Pasquale

    Seguo quasi quotidianamente sul web le vicende di Scena Teatro e mi ha doluto non poco il fatto di non essere stato presente – mi trovo in quel di Istanbul – e di non aver potuto godere della rappresentazione per omaggiare, tra gli altri bravissimi attori, mio figlio, che raramente ho la fortuna di ammirare proprio a causa di questa mia lontananza. E tuttavia è grazie a “questo lungo racconto e pur breve” di Paola La Valle, sincero e partecipato, emozionante ed espiatorio come doveva necessariamente essere, che i miei occhi hanno visto e l’emozione mi vinto. Grazie e ad maiora semper a tutti.

    1. Paola La Valle Post author

      Grazie signor Pasquale, non so chi sia suo figlio, ma il giudizio è unanime sulla bontà del lavoro svolto, come ha potuto leggere. Mi fa molto piacere averle regalato momenti di rara bellezza che se pur ha perso dal vivo, potrà sempre riassaporare.

      1. Pasquale

        Volutamente avevo omesso il nome di mio figlio, per ovvie ragioni. Si tratta di Alessandro Tedesco, che avrei voluto seguire dal vivo in questa rappresentazione così impegnativa e che non ha coinciso con il mio ritorno solo per qualche giorno. Ma la sua professionale descrizione ha sopperito mirabilmente a tutto questo. La prego di accogliere i miei complimenti e, se possibile, di porgere le mie congratulazioni al regista e agli artisti tutti.

        1. Paola La Valle Post author

          Alessandro non è stato solo un attore come lei ben sa, per cui i complimenti sono doppi.
          Ma avrò modo di raccontarle ulteriori dettagli della sua bravura al di fuori dello spettacolo.
          Persone ricche nei sentimenti, per questo capaci di regalare molto altro oltre alle proprie performance.
          Complimenti a lei

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