Un pezzo di dolore
Ho scritto delle parole che dovrebbero essere un saluto. Un saluto per sostituire quello che non c’è stato.
Parole che potranno finalmente essere ascoltate, volti che potranno essere guardati, sentimenti che potranno essere vissuti. Senza filtri, senza inganni, senza quelle miserie che appartengono alla pochezza degli uomini e che, come zavorre, impediscono di camminare verso quel traguardo di luce e di gioia, che è la volontà del Signore.
È stato così il nostro addio. Lungo, sofferto, incompreso e per questo molto più doloroso. Alla morte non ci si abitua, ma la si può comprendere come momento di passaggio, di arrivederci. E a noi manca proprio quell’ultimo pezzo. Manca non averti aiutato a salire su quel treno che ti avrebbe portato alla tua dimora finale, manca il peso delle valigie che ti sei portato da solo, senza condividerlo con noi. Noi che da sempre eravamo lì, pronti proprio ad aiutarti nel momento del bisogno.
È strano o forse no, dover pensare ad una persona viva come se fosse morta, e farlo mentre saluti un morto in una chiesa. Dove vedi e vivi e senti quel dolore improvviso, ingiustificato, ma che è di tanti, di tutti. La morte divide, ma è anche capace di unire. Dovrebbe. Potrebbe.
Ma non sempre riesce. E ho assaggiato un pezzo di dolore. Ho voluto provare, non l’ho lasciato andare come mi capitava ultimamente. E il sapore è stato tremendo. Fiele nella bocca, disastroso nel cuore. E l’ho ripulita subito. Ho sputato quel boccone amaro, ho ricoperto il tombino saltato. Perché ho potuto ancora farlo. Ma mi ha spaventata.
Quando il boccone mi toccherà ingoiarlo, quando il tombino salterà per aria così forte da cadere tanto lontano da perdersi, allora non avrò scampo. E i cocci, più volte raccolti, diventeranno polvere.
E forse di me non resterà più niente.
- Antonello De Rosa e lo stage di Jennifer
- La Parola della domenica