Un piccolo dolore
Leggerete due storie. In ognuna si racconta, da cuori diversi, lo stesso dolore.
Cava 30/3/2003
Da quando ho saputo, non ho fatto altro che chiedermi perché. La rabbia è tanta, il dolore di più, e per me eri “solo” un amico. E mi chiedo il sapore delle lacrime della tua famiglia, di tua moglie, dei figli che ancora non sanno, e risposte ne ho sempre di meno.
Ma poi penso che sei stato, siete stati, persone che si sono avvicinate a Dio con la maturità giusta, come una vera scelta, e allora rivolgo i pensieri in altra direzione.
Oggi tua moglie è circondata da tutti quelli che vivono sconvolti la tua tragedia, ma la solitudine che arriverà, il panico di dover affrontare tutto da sola domani, deve essere grande. Eppure ho avuto un momento di luce, di speranza. Speranza in quello che potrà significare per tutti noi il vuoto che hai lasciato.
Se ogni cosa ha un senso, se anche questa morte che appare a tutti noi come una follia da libro giallo, deve insegnarci qualcosa, allora io voglio trovare una mia verità.
La tua è stata una breve vita, per come noi viviamo il tempo, e la tua morte ancora più veloce spero ci faccia apprezzare questi attimi che il Signore ha voluto per noi. A te sono dovuti bastare 10 anni con (…) e la metà con (…) per infondergli un sentimento che li dovrà accompagnare per tutta la vita. Tutto quello che hai dato sarà nei loro cuori, nei loro ricordi, e questa è la tua eredità per loro. E a noi cosa lasci? Noi che ci siamo visti di corsa, tra un lavoro e un altro, tra compleanni e compiti: lasci il valore del tempo, della qualità della vita, dell’importanza delle cose vere. E’ la cosa più importante che ci può consolare adesso, ed è anche l’impegno per noi che restiamo fisicamente vicine alle persone che tu hai avviato verso una strada e che adesso accompagnerai con un cammino più leggero, perché la tua anima non avrà più il peso di questo corpo che ci tradisce e ci fa cadere nei tranelli della materialità. Per questo ci resta la promessa di un qualcosa che non deve essere vero oggi, perché in lacrime ti accompagniamo in un viaggio dentro una bara, ma soprattutto domani e l’altro ancora, perché resti testimonianza degli affetti tra gli uomini. E dire questo oggi, in un mondo che decide di combattere, sembra ancora più importante. Perché non servono le manifestazioni, se poi non salutiamo il nostro compagno di sfilata, e non servono le chiacchiere se l’unico orto di cui ci occupiamo in realtà è solo quello di casa nostra.
E allora spero che il silenzio che accompagna la tua morte, sia più forte delle parole, delle urla che sentiamo e che spesso non sono accompagnate da azioni. E che la testimonianza della tua vita di ragazzo, marito, padre semplice, arrivi lontano, in ognuna delle persone che sono venuti a darti un ultimo saluto e che ognuno di loro, parli di te come un esempio da seguire, perché noi tutti possiamo sperare di diventare qualcosa di più come uomini.
Un piccolo dolore
Cava 30/3/2003
E’ quasi silenzio. Quasi, perché una parte di me non ascolta più, l’altra invece è bombardata da parole, baci, lacrime … Un brusìo continuo, un logorìo che consuma.
Un giorno all’improvviso ti ritrovi sola. Il mondo capovolto, anzi disteso su uno squallido pezzo di marmo, in una sala grande. Forse è stata pensata così perché deve contenere grandi sofferenze o forse solo perché ne arrivano tanti. Ma qualunque motivo non lo cercherò io. Ne ho già tanti da rincorrere o da inventare, anche se di fondo niente cambierà un fatto definitivo: sono vedova a 40 anni. Senza un avvertimento, senza preparazione, senza niente, neanche un incidente. Sono circondata dai parenti più stretti, qualche amico che, non so come, ha saputo. La disperazione è tanta. Mi sento schiacciare da questo.
Ho i bambini a casa. Siamo andati via per controlli, per una febbre e dolori che non passavano. Dove sono le parole per spiegargli che torno a casa da sola? Come farò a dire che non avranno più il papà che li aiuta con i compiti, con le ricerche al computer o che divide i loro giochi, e mai più un bacio, le coccole, un consiglio. Niente. Una parola che racchiude il tutto. Bella contraddizione. Non ci avevo mai pensato. E’ in questi momenti che ti accorgi a quante cose non si pensano.
Questi sono giorni particolari nel mondo. In giro c’è guerra. E noi tutti abbiamo guardato volti sofferenti, persone, giovani che vanno in guerra a dare morte e a trovarla. Tutto quello è dolore. E penso al mio. In rapporto dovrebbe essere un piccolo dolore. Una sola persona contro milioni di persone. Ma perché allora mi sento il cuore strappato, perché vorrei chiudere gli occhi e credere che sia un sogno e svegliarmi e dimenticare? Perché invece tutta questa gente intorno mi chiede come è stato, perché è stato, come mai non abbiamo capito? E cosa posso mai rispondere a loro quando non so farlo per me? Devo continuare a vivere a guardarmi intorno, trovare una forza e un coraggio che adesso non so se ho per davvero.
Ma sempre le stesse persone me lo ricordano, i miei figli lo pretendono. E anche questo mi sembra allo stesso tempo giusto e ingiusto.
Possibile che sono sempre tante le contraddizioni che viviamo?
Mi è capitato un ruolo che non ho scelto, io non voglio essere sola a guidare la mia vita e la loro, io voglio mio marito. Ci siamo sposati per questo, per essere insieme, per aiutarci, per dividere gioie e dolori. Ma ora questo dolore è solo mio. Il mio piccolo, immenso dolore. Tanto grande che mi sento soffocare, ma che deve diventare piccolo perché il mondo continua a girare e il tempo per soffrire non c’è.
Com’è difficile capire. Vorrei rinchiudermi in casa, stendermi in quel letto che ora e per sempre mi vedrà sola, infreddolita. Voglio ricordare la mia vita con lui, i momenti che abbiamo vissuto, quelli che avevamo sognato e che non ci saranno. E penso che forse anche i miei figli vorrebbero le stesse cose, specie la grande. Non mi ha parlato di niente, è presa da tutti, tutti le trovano qualcosa da fare, vogliono per lei una vita normale. Ma non è normale non avere più un papà a 10 anni, non è normale festeggiare la Prima Comunione senza di lui, che anche in questo era la sua guida. Forse sarebbe anche per lei normale piangere e gridare la rabbia per qualcosa che ci è capitato senza volerlo.
O forse non serve. Forse. Tutto ora mi sembra “forse” Non ci sono più certezze. E io non so cosa pensare. Vorrei stringerli a me, chiedergli come fanno loro ad affrontare la vita di tutti i giorni con questo vuoto nel cuore, senza più una parte di cuore che abbiamo richiuso in quella bara con lui.
Chi mi parla mi chiede di farmi forza, mi ricorda che lui sarà qui con noi, come un Angelo, che altri hanno affrontato la mia stessa situazione o forse peggio. Ma chi siamo per decidere quanto sia grave la storia di ognuno? Come si fa a capire cosa si prova in questi momenti? Io ho vissuto prima i dolori degli altri, io ora ricordo mia madre inchiodata in un angolo di casa per giorni interi a raccontare sempre con le stesse parole come mio padre fosse morto. Io allora la guardavo: ora la capisco. E’ molto diverso. Ora sono io nell’angolo, la vedova sono io, gli orfani sono i miei figli.
Ed ora è il mio dolore.
C’è un abisso in questo. Guardare e sentire, i verbi sono diversi e ciò che provocano è diverso. Anche intorno a me, la stessa morte ha dato sentimenti vari. Cos’è perdere un figlio, un fratello, io non lo so.
Il Signore ha voluto questa differenza tra gli uomini ed è nei grandi momenti di gioia e di dolore che si vede chiaramente. C’è chi soffre a far del male, chi ne trova piacere. Se non fosse così, non esisterebbe malvagità, non ci sarebbero violenze per grandi e bambini.
E il metro per giudicare è vasto, forse ingiusto, ma come si fa a trovare la misura?
Non è per approfittare di questi giorni di commemorazione, forse solo perché qualche riflessione in più sulla vita e sulla morte, anche superficialmente, la facciamo. E a me, in quei lontani giorni di marzo, fu data una lezione che ricordo bene. E fu anche una di quelle pagate “a buon prezzo”. La regola dice che, se non ci rompiamo il muso, non impariamo. Ma a volte capita, a voler guardare meglio, che possiamo anche non pagare il prezzo pieno. Ma è una fortuna che non va sprecata. Cosa che spesso invece accade , visto che da tanti insegnamenti sbagliati che vediamo, non ne usciamo mai.
Ma, ritornando al passato, queste due pagine sono dedicate a degli amici, al loro dolore, alla loro fatica oggi più pesante di ieri. Per ricordargli che, se pure loro hanno pagato a “prezzo pieno”, noi siamo ancora qui ad offrire una spalla che compensi poco poco, quello che non hanno più.
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