Una vita a foglietti

Museo dello sbarco, culla di una memoria necessaria

Da Vivimedia

3/8/2018

L’invito a visitare il Museo dello Sbarco, a Salerno, arriva improvviso, solo poche ore fa. Ma non c’è bisogno di riflettere su una proposta del genere, si accetta e basta. Per me che amo la storia, in particolare la II Guerra mondiale, non c’è da scegliere, si va.

Ad accoglierci il Presidente del Museo, Antonio Palo, che sarà anche il nostro speciale Cicerone.

La piantina del Museo ci obbliga in una direzione, perché ci sono eventi cronologici che vanno sottolineati, come racconta la prima foto manifesto, che riporta la frase di Jack Belden corrispondente di “Life”, la rivista che diede inizio, di fatto, alla diretta dal fronte. È anche grazie a loro che si possono oggi raccontare momenti particolari che hanno segnato quei giorni che avrebbero dato l’esito che conosciamo a quella che davvero ha meritato, purtroppo, la definizione di Guerra Mondiale. Il numero di civili caduti, testimoniano di come si sia combattuto ben oltre le linee di trincea.

Siamo pochi e tutti seguiamo attenti le parole del direttore Palo, ma quello che rapisce la mia attenzione, oltre al già indicato interesse per la materia, è la luce che gli brilla negli occhi. Il Museo, come scoprirò a breve, è di fatto un’iniziativa privata, il lavoro di raccolta, di allestimento e di catalogazione è frutto di una loro passione e non di un’iniziativa Comunale. A me è sembrato strano, a voi non so che effetto fa.

In questa gigantesca sala, come si mostra dopo il breve angolo d’ingresso, c’è un pezzo della storia non solo di Salerno, né d’Italia, ma del mondo intero. Tutto è cambiato dopo quel conflitto, forse quello che non è rimasto è proprio la Memoria. Quella Memoria fondamentale che andrebbe tutelata dalle Istituzioni, ma che invece viene lasciata spesso sbiadire. Ed ecco allora che il lavoro di persone come Antonio Palo e dei suoi collaboratori, diventa servizio per la comunità, diventa rispetto per l’Umanità.

Sono tanti i dettagli che ci ha svelato, come la storia di “Ciccio u ferrovier”, che non è il capostazione della strada ferrata, ma il nomignolo affibbiato all’aereo ricognitore, il “Mosquito” che aveva sorvolato per tantissime sere il cielo salernitano senza mai agire, e per questo considerato quasi un appuntamento quotidiano, come quello del treno alla stazione. Sarà proprio lui intanto, la sera del 20 giugno del 1943, a sganciare la prima bomba su una Salerno che si era considerata molto fortunata rispetto alla vicina Napoli, che di bombardamenti ne aveva subiti tantissimi, tanto da contare, a fine guerra, un numero di morti tra i più alti della Nazione.

Fu così che anche il nostro cielo conobbe “la morte che arriva dall’alto”, in un periodo relativamente breve, ma che riuscì a segnare i destini di tantissime famiglie.

Palo ci mostra foto che ritraggono immagini di macerie che lasciano spazio a palazzi intatti che riconosciamo ancora presenti ai nostri giorni, o come la statua antistante la Stazione, che però risultava già monca della Vittoria Alata, opera in ferro staccata nel ’41 durante la raccolta di metallo per il conflitto.

Ogni tappa davanti alle foto è occasione di aneddoti, come quando ci racconta del bombardamento su Battipaglia, giovane città nata solo nel 1926 e definita la Guernica d’Italia, per la violenza con cui fu colpita vista l’importanza del suo nodo ferroviario. A differenza della vicina Eboli che ne subì uno soltanto.

Ci parla di Montecassino, bombardata su preciso volere di uno degli alleati perché convinto che vi fossero all’interno i tedeschi, mentre furono oltre 250 civili a perdervi la vita, diventando poi comodo rifugio per i tedeschi che riuscirono a sfruttare le macerie del Monastero per resistere alle truppe alleate.

Ma quei giorni frenetici fecero da sfondo a cambiamenti importanti. La vita politica si spostò nella provincia campana che fu eletta capitale e nelle nostre città si ebbero residenze famose, come Badoglio a Cava, o il re in persona a Ravello.

Davanti alla mappa delle manovre organizzate dagli alleati per arrivare “nel ventre molle di Hitler”, come Churchill definì l’Italia, mi sento un po’ soldato anche io. Immagino le tensioni di quelle strategie che in realtà non furono così oculate. Il generale Patton ebbe a dire che se fosse stato un semplice sergente tedesco, avrebbe saputo come ributtare a mare gli alleati. E questa eventualità davvero stava per realizzarsi, perché il territorio salernitano, con tutte le montagne che si trovano alle sue spalle, offriva alle truppe tedesche una grande copertura per la controffensiva. Fu solo grazie alla collaborazione con le truppe di terra e aeree che gli uomini di Clark riuscirono a mantenere la posizione.

Dovunque guardiamo c’è un’atmosfera quasi irreale. Dalle divise originali di paracadutisti e ufficiali, dalle bombe, agli attrezzi, al cannone ritrovato in tempi recentissimi durante gli scavi del Crescent, tutto ci trasporta dentro un’atmosfera irreale. La terra su cui sono posti quegli oggetti, sembra avere ancora l’odore della polvere da sparo, delle lacrime e della morte che li accompagnavano.

Curiosi guardiamo le pagine dei giornali dell’epoca, la comparsa della Coca Cola, “le prime bollicine” assaporate e le scatole di sigarette e medaglie e documenti e una Bibbia e tante vite passate troppo in fretta sotto i colpi di una follia senza fine.

Ma il giro continua: i manifesti con i ministri del nuovo governo, nomi storici, da De Gasperi a Togliatti, Croce ai due futuri presidenti Saragat e Gronchi, ci guardano dalle pareti, ma non sono immobili. In loro vibra ancora lo spirito, il desiderio di un cambiamento che oggi sembra più lontano di allora.

E poi ancora foto di quel lontano 1944, con l’eruzione del Vesuvio che rese Salerno completamente nera di lapilli, o il famoso e occultato treno per Balvano, che con quasi 600 morti, rimane una delle sciagure più gravi nell’ambito ferroviario della nostra storia.

Ma ci sono anche due giovani sposi che attraversano le macerie, a testimonianza di come si debba sempre guardare al futuro.

E i ricordi di Henry Blisset, ufficiale inglese, regalati al Museo dal figlio, che ha arricchito la collezione con pezzi pregiati, come il diario dei Commandos, pezzo unico al mondo. Ma anche tanti ricordi della vita da civile, tramandati a voce per testimoniare come esperienze così gravi come la guerra ti segnano per sempre.

Non vi racconterò tutti i segreti che abbiamo scoperto, vorrei che in voi nascesse la giusta curiosità per andare a verificare di persona, ma un’ultima cosa ve la dico.

All’uscita, quando ci ritroviamo di nuovo “in libertà”, guadiamo due ultimi pezzi: un cannone e un carro merci.

Su quest’ultimo c’è una scritta, sbiadita ma ancora leggibile “Cavalli 8 – Uomini 40”. Questo il potenziale, in realtà in carri come questi sono state trasportate fino a 100 persone per viaggi con destinazione allora ignota a porte piombate. Con loro un bidone per l’acqua, uno per i bisogni fisici. Chi non sopravviveva, ed erano tanti, diventava seduta più morbida per chi resisteva.

Noi andiamo via. Torniamo a casa in macchina, con il nostro spazio. Non è quella la nostra realtà e vorremmo sperare che non lo sia per nessuno, ma quando sei in compagnia di teste pensanti, alle tue riflessioni aggiungi le loro.

E non possiamo non immaginare quei bombardamenti che vediamo di sfuggita nei servizi dei TG, quelli che ci colpiscono solo per pochi attimi, quelli che possiamo cancellare col tasto del telecomando. Non possiamo non sottolineare come la paura di pochi giorni ha segnato intere generazioni, figurarsi chi da anni vive quotidianamente quella condizione.

Memoria è stata una delle prime parole che Palo ha pronunciato. Memoria è anche quella che voglio lasciare qui alla fine di questi pensieri. Non cancelliamo le nostre origini, non evitiamo di scoprire la nostra storia, non permettiamo a qualcuno di farci credere che non serve conoscere il nostro passato. Quel passato ci ha consegnato il mondo in cui viviamo e se non ne siamo contenti, dobbiamo guardare indietro e capire quali sono stati gli errori, per non ripeterli ancora, per poter essere migliori, per poter creare nuove opportunità non solo nuovi guadagni. La guerra è solo interesse economico, non cercate mai di nascondere questa parola dietro un sentimento di umanità.

One thought on “Museo dello sbarco, culla di una memoria necessaria

  1. casasenatore

    Si, necessaria memoria.
    Ho saputo da poco dell’esistenza di questo museo, mi necessita una visita per rispolverare la storia. E per ritrovare i racconti appassionati e sconvolgenti del mio papà,

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