Arte Tempra – Binario Cieco
Ci sono posti che riconciliano con la vita, uno di questi è il teatro, che può regalare parentesi di ossigeno e permetterti di riallacciare i fili dell’esistenza.
All’Auditorium De Filippis, 18 gennaio 2016 si è portato in scena il testo di Carlo Terròn “Binario Cieco”. La regia è di Clara Santacroce e come è giusto che sia per un testo così complesso, viene a farci una piccola presentazione. Le prime parole sono proprio per Terròn, scomparso da poco e quindi da poter considerare un contemporaneo, autore di programmi radio, giornalista e psichiatra. Ed è proprio quest’ultima specializzazione che lo autorizza con competenza ad entrare “dentro” le persone.
“Io leggo l’autore dall’opera e quindi ho scoperto, come lui, che dentro ognuno c’è un fondo di follia, di qualcosa di nascosto” dice la Santacroce.
Ed è la vita che ci aiuta o ci obbliga a portare allo scoperto questo nostro lato “oscuro”. Con imprevisti, con vicissitudini, fatti “casuali” che interrompono la nostra routine e in maniera forzata ci obbligano a fermarci, a interrompere le abitudini che ci rendono prigionieri e a dare il via alla parte onirica nascosta dentro ognuno di noi.
Ma in un spettacolo come questo, dove non c’è un solo protagonista e tutto ruota intorno a tante vite, a tanti personaggi che si portano dietro realtà diverse, complesse e che abbracciano tanti aspetti della vita, risulta difficile proprio la messa in scena. E se aggiungiamo che vi prendono parte anche ragazzi giovani e inesperti, allora ci rendiamo conto che davvero l’asticella è stata alzata di parecchio.
Ma confidiamo nel sapiente lavoro della signora Clara, aiutata stasera oltre che da Renata Fusco anche da Giuliana Carbone come assistente alla regia. Un lavoro fatto di piccole cose cucite insieme, di passaggi delicati e un messaggio: “Se riusciamo a sognare nella vita, non salveremo le cose, ma riusciremo a vivere meglio”. Con questo pensiero ci accomodiamo. La serata sarà lunga. Tre atti ci porteranno in quella sperduta stazione di montagna dove una frana costringerà un direttissimo, uno dei treni importanti del tempo, ad una fermata obbligata…
In questo nostro viaggio avremo un accompagnatore Nonsisachi (Pasquale A. M. Senatore), un personaggio a cui non è stato dato neanche un vero nome, come se non potesse essere accomunato alla storia degli uomini che vede vivere perché sa andare oltre, sa leggere in anticipo le emozioni a cui sono abituati e a quelle che invece nasceranno, nuove apparentemente, ma in realtà solo sepolte da cattive, pesanti consuetudini. E non è un caso il suo vestito tutto bianco, a testimoniare come la purezza non sia proprio degli uomini.
In lui c’è dunque la conoscenza di ciò che sarà, anche senza esserne il regista; come anticiparci che a tutti capiterà di vivere un sogno grazie al quale si sveglieranno migliori. Quanto durerà è la domanda che ci pone e noi ancora non conosciamo la risposta.
“È acciaio la loro fragilità” è una delle frasi che regala Nonsisachi alle ombre che, immobili, aspettano di prendere vita in quella stazione sperduta, mentre una viola impertinente si intromette tra le sue parole che chiedono “…sapranno sganciare il cuore dal gancio dove hanno deciso di impiccarlo?”.
Conosciamo così Lino (Francesco Donnarumma), il capostazione che passa il suo tempo con il guardiabinari Verecondo (Gerardo Senatore) e la moglie Elisa (Manuela Pannullo). Il primo è un appassionato di botanica, il secondo è un pompiere mancato ed Elisa, ogni volta che sa del passaggio del direttissimo, si mette l’abito buono e aspetta: ma sa perfettamente che non esiste fermata per quel treno e che non avrà l’opportunità di vivere nulla di diverso nei giorni che seguono identici e noiosi da anni, sognando la stazione di Milano e i suoi 91 binari!!!
E invece quella sera l’imprevisto accade: una frana blocca i binari e il direttissimo sarà costretto a trascorre la notte, insieme ai suoi passeggeri, nella piccola stazione.
Si presentano così i vari personaggi: il commendatore Babila (Lello Conte); Amelia (Maria Carla Ciancio) sua moglie; Eligio (Mario Fusco) il frustrato portaborse; Trill (Valeria Trezza) la ragazza di facili costumi: Luciano (Gabriele V. Casale) famoso attore; Elena Porcelli nel ruolo di un madre in lutto; Cleto (Francesca Senatore) la musicista; Max (Marco Gallo) venditore ambulante, e per finire Suor Gaia (Maria Laura) e Suor Lia (Danila Budetta).
Il primo atto ci consente conoscere questi uomini costretti improvvisamente ad una convivenza forzata che fa esplodere le naturali abitudini quotidiane. Babila che sa solo comandare e imprecare perché le cose non vanno come lui ha programmato; Eligio stufo di essere trattato come uno zerbino per pochi soldi e che rivendica i diritti per i lavoratori; Amelia, stanca delle poche attenzioni del marito che fa il cascamorto con altre donne, si fa rapire dalla bellezza di Luciano al quale attribuisce una fama e delle doti che non sembra realmente possedere; Trill, con cruda ironia, da donna navigata, cerca di sottolineare le fragili apparenze dietro cui si nascondono “le persone perbene”; Cleto che deve lottare anche per dare la giusta identità allo strumento che suona che tutti scambiano con un volino, senza capire che è in realtà una viola, che vorrebbe suonare per raccontare la musica che sente più sua e non con le solite richieste di un pubblico poco colto; Max che sogna di diventare un vero agente di commercio; Suor Gaia, che dimostra una vocazione molto vacillante, in contrapposizione con Suor Lia, che invece aspira a diventare mistica; per finire la madre in lutto che si dispera del tempo che perderà, perché non avrà modo di seppellire il figlio che, amorevolmente cresciuto, le è stato rubato dal mondo e dalla guerra che glielo restituisce da morto.
Dopo che ognuno ha rivelato la propria apparenza, arriva il momento del sogno, quello che viene concesso come alternativa, come rivelazione, come nuova possibilità di vita. E le relazioni cambiano radicalmente in tutti. Babila e Amelia passano il loro tempo insieme “Io pesco, tu ricami”; Eligio che vince il biglietto della lotteria e può finalmente licenziarsi e dire tutto quello che pensa al suo commendatore; Verecondo torna ad allenarsi per poter di nuovo essere il pompiere che sognava; Cleo suonerà la musica che desiderava ascoltare; Trill avrà un lavoro da segretaria; Suor Gaia si appresta a vivere la sua terza gravidanza, mentre Suor Lia è ovviamente riuscita a diventare mistica; e la madre è ancora disperata per suo figlio ma questa volta per una grave malattia: sta crescendo.
Insomma ognuno riesce a realizzare quei desideri che pure vivono nel profondo dell’anima, ma tutto dura per una sola notte.
La realtà, il binario liberato, farà risalire tutti in carrozza, e ogni sogno svanirà. È valsa la pena “perdere” una notte in una sperduta stazione che ha fatto scoprire quello che potrebbe essere?
Sì, vale sempre la pena. Sarebbe altrettanto bello scoprire quanto sarebbe più bella la nostra vita se avessimo il coraggio di viverla e non di subirla.
Come sempre applausi calorosi e sentiti. Adesso che lo spettacolo è finito, hanno ancora più senso le parole che giustamente la signora Clara ci ha regalato all’inizio: un lavoro duro. Molti dei ragazzi in scena è la prima volta che li vedo, di sicuro sono molto giovani, ma quello che lei ha preteso è la stessa dedizione, lo stesso impegno che chiede ai “veterani”. Quando si sta su un palco, non c’è nessun motivo per non dare il 100%. Lei lo pretende e i suoi allievi ricambiano.
Una sintonia, una coerenza, che ci autorizza a pensare che qualcuno, qui in questa sala, sa vivere sognando.
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