Diario di una serata indimenticabile: presentazione di “Diario di un re e di cento rose”
Ci sono momenti in cui la penna deve correre forte sul foglio per non perdere niente di quello che ti succede intorno. Ogni respiro, ogni sguardo può determinare la nascita di un pensiero e dunque la prontezza è necessaria.
Ma in altri momenti la penna deve rimanere immobile accanto al foglio bianco. Ne deve assaporare l’attesa, deve immaginare il corso di quei pensieri che da lì a poco macchieranno quel candore immacolato e lasceranno, indelebilmente, un segno della loro presenza.
Tanti articoli sono stati scritti guardando presentazioni dal centro di una sala, fermi ad ascoltare parole che raccontassero cosa nasconde la nascita di un libro, di uno spettacolo; poi succede che arriva la serata in cui ti trasformi da chi guarda in guardato. E allora la storia va raccontata al contrario.
Quando sei tra i protagonisti della serata, stasera si presenta il mio libro “Diario di un re e di cento rose” racconto del lavoro svolto in due stage diretti da Antonello De Rosa, arrivi molto prima degli altri. Non devi cercarti il posto perché ne hai uno assegnato, proprio tuo. Ti accomodi e guardi la sala di fronte a te; le sedie sono ancora vuote ma intorno a noi ci sono già tante persone. È la nostra serata e non so far altro che consolarmi dentro il mio quaderno. Me lo sono portato come amico, come il bastone a cui appoggiarmi. E scrivo.
“Arrivo alla presentazione del mio libro, ma non è proprio così. Non è solo così. È di nuovo teatro, sono di nuovo prove. Mi è cambiato solo il regista. Antonello ha lasciato le redini in mano a Carmela Novaldi. Mai l’ho vista così rapita, così presa, così “compromessa”. La guardo e mi chiedo quale altro mestiere dovrà trovare il maestro, visto che quello di regista gli è stato appena soffiato dalla sua adorata “moglie” (nel libro spiegazione del ruolo).
Simona legge un pezzo dal libro. Sono le mie parole per la prima volta con un’altra voce.
Poi il richiamo alle telefonate. Il dolore che ritorna. Prepotente come mesi fa, come sempre da quando l’ho conosciuto. Caterina Gianmaria Antonella Rosanna Mario… ha questo di strano il mio libro: prende vita.
Quando tutto sembra pronto, accompagno Carmela alla stanza – sgabuzzino – spogliatoio. So che ha finito di leggere il libro e le sue impressioni mi servono prima di accomodarmi. Mentre mi racconta l’effetto che la lettura ha provocato in lei, guardo cosa mi racconta con gli occhi e mi basta.
Nel frattempo la sala si è riempita. Vedo tanti amici, parenti, so che sono emozionati quanto me e li ringrazio tutti, in silenzio, perché sono venuti, perché mi sono vicini.
Ore 18.47. Sala stracolma, battiti esagerati. Antonello al mio fianco non ha la solita aria tranquilla, la prima volta di qualcosa lascia sempre un segno.
Carmela riceve il via libera da Dino Santoriello, il nostro tecnico eroe, e parte con la presentazione di Niccolò Farina, in rappresentanza del nostro editore Area Blu Edizioni. Un tocco di ulteriore prestigio per questa pubblicazione ricca di foto e che dunque pretendeva un’eccellente qualità di stampa. Ci parla brevemente delle corse che hanno preceduto il lavoro, visto che si è quasi sovrapposta alla festa dei 25 anni di attività della Grafica Metelliana, azienda madre di Area Blu.
E poi il video. Il cortile di casa Apicella, il dolore di Edipo, il matrimonio di Giocasta e la sua morte: la profezia e la tragedia. Subito dopo le foto di Jennifer, la solitudine, il telefono, gli abiti sgargianti.
L’intervento di Franco Bruno Vitolo ci riporta alla realtà. Ci spiega la trama del libro, il complesso di Edipo in Freud, il significato del titolo cento rose, la necessità di non sprecare una storia che meritava di essere raccontata; tutto con la solita competenza e simpatia, ma questo si ritrova nella sua splendida prefazione al libro. Quello che voglio dire di lui è quello che ha vissuto con me, quel ruolo che non ha una “qualifica” che si può definire, ma che ci legherà per sempre in queste pagine. Franco ha assistito alla gestazione e al parto del libro. Lui ha conosciuto più di tutti cosa ha rappresentato ritagliarmi quei pomeriggi afosi di luglio a Cava e poi bui di Salerno. Ha sognato, insieme ad Antonello e me, la possibilità di veder trasferire le parole dalle numerose computisterie, affogate di pensieri, in un’ordinata pagina di testo stampato. E non è cosa da dimenticare.
La realtà del momento si confonde con i ricordi, cerco Antonello con gli occhi e scopro che tante cose vengono in mente anche a lui e come un’evocazione compaiono i soldati di Edipo. Divertenti come sempre.
Pezzi di libro introducono la follia di Giocasta, con Carolina Damiani che ritorna con la sua pazzia che tanto mi ha incantata, accompagnata dal silenzioso Gerardo Tiresia. E di quell’Edipo non potevamo non ascoltare Alessandro Tedesco, la sua arringa finale al popolo. Scopro a distanza di mesi che quei personaggi davvero sono entrati nella vita di ognuno di loro.
Un fascio di cinque rose rosse regalate ad Antonello, apre le porte di casa di Jennifer.
Simona racconta: Antonello riprova a far partire questo squillo, cominciano a lanciarsi per raggiungere quell’oggetto che sembra ormai una bombola d’ossigeno, …per tutti c’è bisogno di “respirare”, ma l’aria non è disponibile per tutti. …Si combatte un duello regolare e disonesto. Vita mia morte tua…
E in sala si alzano i ragazzi, telefono in mano, un Franco all’altro capo del filo. Il pubblico partecipa, ognuno si guarda intorno cercando di capire chi riceverà la prossima chiamata. A qualcuno viene in mente di alzarsi e dire a Franco di andare a…
Quando il telefono suona, la tachicardia parte, per calmarla c’è bisogno della radio di Jennifer, le sue canzoni. E la voce prende vita con Rossella De Martino. Scende dalle scale, magnifica come sempre e ci regala minuti di sogni privati.
Quando si spegne il meritato applauso, Carmela cerca di ripartire con domande e presentazioni di ospiti, ma viene interrotta. In questo libro, dove abbiamo cercato di svelare i segreti del “lavoro” di un regista, a lei è stata affidata, da me e da Franco Bruno, l’intervista ad Antonello, durante la quale ha dovuto rispettare tre ruoli: professionista, moglie, amica.
La commozione, che già sta raggiungendo livelli elevati, ha un ulteriore sbalzo in avanti.
La storia di quest’intervista, raccolta un pomeriggio a pranzo senza appunti, senza una partenza ufficiale, poi riportata su un foglio d’un fiato con il solo desiderio di trascrivere punti cardine da sistemare dopo ma trovata magicamente già completa ed emozionante, va raccontata. Come per l’effetto che ha suscitato in Antonello e gli altri ospiti del ristorante, spettatori ignari di una confessione d’amore e di amicizia. La storia che ne è venuta fuori è una delle pagine più belle del libro: sincere, cariche di una storia che ha raccolto anni in pochi momenti significativi, e la delicatezza di Carmela nell’aprire il suo cuore per accogliere il regalo prezioso che le veniva fatto.
Quando indica le persone che leggeranno i pezzi tratti da quest’intervista, Carmela fa a sua volta un regalo. Lei ha messo il suo cuore in quelle parole e non può che affidarle alle persone in sala che maggiormente hanno un significato nella sua vita privata: Carolina Damiani e Geltrude Barba.
Con Carolina che ci rappresenta l’Infanta di Spagna di un carnevale che ha segnato l’inizio di una scoperta e Geltrude che trasmette la sua emozione attraverso le parole dell’amica autrice.
A quel punto dietro il tavolo, dove voi del pubblico non potete allungare lo sguardo, ci sono gambe che tremano, occhi lucidi e gonfi di lacrime che non riescono a trattenersi, anche se non è ancora il momento.
La lucidità però ha cominciato ad abbandonarci. Mi rendo conto che Franco mi rivolge delle domande e so per certo di aver risposto. Non sono certa dei miei ricordi perché in questo caso non ho preso appunti su me stessa, ma ricordo un finale “…emozioni che resteranno. Per sempre”. E così sarà.
Antonello è ancora più breve di me nell’intervento. Ci eravamo confidati da un po’ che non parlare non sarebbe stato un problema, anzi. In questa serata siamo stati molto più spettatori anche se di noi stessi, visto che quello che veniva raccontato parlava di cose nostre.
Ma se Antonello De Rosa non ama parlare, Jennifer è un’altra cosa.
Il colore giallo che compare sulle sue ginocchia, mi avverte della trasformazione che sta nascendo.
Un colpo alla sedia, una vestaglia indossata e Jennifer è qui. Protagonista indiscussa, attaccata a quel telefono a cui Giorgio l’ha chiamata. La sala è ai suoi piedi.
Carmela ed io ci accomodiamo fuori dietro la tenda, forse a nascondere agli occhi di tanti le gambe che tremano, il cervello fuso, il rischio di essere sommerse da quella forza che sta raccogliendo i frutti di una serata indefinibile.
Alla fine della sua telefonata c’è il mio saluto, che è stato quello a Edipo, quello al re dei miei ricordi: La scena è tutta tua maestro. Al centro del cortile guardi, pensi, immagini ciò che hai creato e ciò che faranno i tuoi ragazzi. Ti appropri dell’anima di questa casa che a poco a poco hai fatta tua nei giorni passati, ma sai che è l’ultima volta. Da qui a qualche minuto dovrai lasciarla di nuovo, farla rientrare in queste mura che ti hanno accolto, odiato, conosciuto e amato.
E tutto sarà di nuovo silenzio, ma un silenzio nuovo, riempito da nuove ricchezze.
Arrivederci, Maestro!
Al riaprire della tenda, quando rientriamo in sala, ci sarebbe stato ancora qualcosa da fare: dare la parola ad Antonello perché alcuni ringraziamenti, quelli che ha riportato nel libro, meritavano di essere pubblici, come il saluto a sua madre, assente ma sempre presente o come il grazie a Geltrude Barba, che ha ospitato la serata all’interno del Premio Li Curti, ed è stata artefice del recupero di Casa Apicella.
Ma a volte l’emozione gioca brutti scherzi. Il lungo applauso del pubblico, la ricerca del libro e delle dediche ha fatto saltare quell’ultimo passaggio che avrebbe reso perfetta la serata, ma che noi vogliamo considerare comunque come un passaggio fondamentale nella storia di chi l’ha vissuta. Gli amici comprendono e vanno oltre.
Quello che mi resta adesso, sono le facce delle persone che circondavano il tavolo, mio figlio che mi prendeva in giro perché non mi sono accontentata di mettere un nome dentro un libro, ma ho dedicato un pensiero a quelle persone che non erano degli estranei, ma pezzi del racconto e della mia vita. La loro emozione, la mia gioia stampata in un sorriso che non credevo che qualcuno o qualcosa avrebbe potuto spegnere, è l’ultima fotografia che mi regalo.
Grazie a tutti. Di cuore.
- Una dedica per me da Salvatore
- Arte Tempra – Binario Cieco