Una vita a foglietti

I doni dell’Epifania

È la domenica dell’Epifania e io credevo di non aver fatto nessun regalo e che non ne avrei ricevuti. Errore.

Già ieri sera, durante una panoramica sulla trasmissione dedicata ad Adriano Celentano, ho colto un passaggio che per me non è stato casuale: la canzone Pregherò. Non era la solita ripetizione di un testo che conosco benissimo, è stato il racconto di quella canzone. Di quella canzone con me, per me. Chiudere gli occhi e ritrovarmi indietro di più di quarant’anni, il giradischi rosso e quel 45 giri che era un lusso che mi permetteva di risentire a ripetizione quella canzone …Pregherò per te. L’ho detto che l’ho amata, ma ieri sera ho anche scoperto perché. Quella canzone, quelle parole erano per me una compagnia, la mia prima forma di preghiera che non sapevo di recitare e la spiegazione a quel buco nero in cui precipitavo ogni volta, ogni giorno. La mia compagna.

Ho sentito quell’affetto mentre andavano le frasi del ritornello. Ho avuto lucido il senso di quelle ore passate a guardare fuori da una finestra immaginando di non vedere un futuro, come prigioniera, come il cieco che non vede la luce ma sa che c’è, e che allora non ero in grado di riconoscere.

Quanta pazienza ha il Signore con noi? Quanto tempo mi ha dedicato, aspettando che io comprendessi il senso di quella preghiera che non sapeva cosa chiedere, ma di certo voleva affermare la presenza di una persona, di una ragazzina che non credeva di poter meritare nulla. È quello il modo giusto di pregare? Aprire il proprio cuore in silenzio e lasciare che lassù qualcuno possa davvero leggervi dentro, possa trovare la verità di sentimenti che non sanno darsi un vero nome?

E sono andata a dormire così, con un altro piccolo pezzetto che era finito al suo posto e mi aveva regalato una nuova certezza.

Poi vado in chiesa. È il giorno della visita dei Magi, dei sapienti che portano al Signore doni che rappresentano lo stupore di quei saggi di fronte a quella nascita che avrebbe cambiato la storia degli uomini. Stupore. E la capacità di vedere l’invisibile. Cosa c’era oltre quel piccolo bambino? Cosa c’era in quella ragazzina mamma, cosa c’era in quella stalla, oltre l’odore degli animali?

C’era la Fede. Quella a cui non riusciamo a mettere un fiocchetto, che non riusciamo a incartare in nessuna confezione, quella che riempie il cuore più di ogni regalo lussuoso, quella che ci regala occhi per vedere quando restiamo al buio.

E a quel punto io ho aperto il mio regalo dell’Epifania, quello che non sapevo di aver ricevuto e che ora regalo a voi che leggerete, così anche io ne avrò fatto uno a ciascuno di voi.

Vi regalo quella gioia che spero possa arrivare limpida come è arrivata a me dopo le parole di padre Giuseppe, dopo la magia di un’altra Eucaristia, per la quale ripetiamo sempre “…che non siamo degni…”, ma che ci viene comunque regalata. Dopo l’offerta ai bimbi di una missione sapendo che non abbiamo molto, ma il nostro poco per alcuni è tutto.

Questa è la nostra Epifania, quella che auguriamo a tutti perché non si esaurisce, perché non ci annoia e non finisce nel dimenticatoio; quella che ci rende ricchi mentre la doniamo.

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