A Cava, Rosa Montoro presenta “Il circolo degli illusi”
In maniera quasi incomprensibile sono stata coinvolta nella presentazione del libro di Rosa Montoro, Il circolo degli illusi. Incomprensibile perché non avevo il piacere di conoscere l’autrice, dettaglio in comune con tutti gli altri sette che pure sarebbero intervenuti. Ma conosco Franco Bruno Vitolo, che presenta la serata e lui, come spesso mi ha dimostrato, si fida delle mie opinioni.
Che il libro in questione mi sia piaciuto, si è già capito dalla recensione che ne ho fatto, che avesse tanti spunti pure era stato detto, ma che potesse regalare ancora tante sfumature, sinceramente, non me lo aspettavo.
La prima cosa che mi colpisce è l’estrema tensione sul volto di Rosa. È qualcosa più di un’emozione e, non conoscendola, non me la spiego fino in fondo. Ma intanto arrivano gli ospiti, mi presento con Annalisa Speranza, accolgo Autilia Avagliano che mi svela il pezzo che ha scelto di leggere, e Franco che mi consegna la scaletta. Piccoli intermezzi prima che inizi la serata. Le sedie poste al centro della Sala Consiliare del comune di Cava, e Rosa invitata a sedere nell’attesa del Sindaco.
Il suo è uno sguardo quasi di timore e non dovrebbe essere così. Ci sono tante persone venute qui per lei, per incoraggiarla e ringraziarla di questa bellissima opera che ci ha regalato. Ma non sembra che basti a calmarla. Chiede a qualcuno di sedersi accanto a lei. Accolgo l’invito io, che non le ho mai parlato, perché ho voglia di farle una domanda: il personaggio di Amelia è completamente inventato o hai conosciuto una donna così?
Mi risponde con una voce che viene da dentro, in quel posto dove ha fatto nascere tutti coloro che abbiamo incontrato nelle pagine lette. Come figli partoriti e lasciati andare, con pregi e difetti.
“Amelia è una donna a cui non è stata data scelta. E la sua colpa è di non essere riuscita a sfilarsi l’armatura di difesa che si era costruita addosso. Per questo non ha saputo vivere e, come fanno le persone che non riescono ad essere se stesse, spesso diventano cattive”.
Poche parole e mi ha spiegato tutto. Non ho tempo per replicare, la serata ha inizio.
Franco Bruno fa una delle sue puntuali e dinamiche panoramiche sul racconto, il periodo storico, il luogo e presenta la prima scena del libro, che già dà un bell’assaggio di cosa aspetta il lettore. Ma non voglio parlare della trama, spero che ne sarete tanto curiosi da andare a comprare il libro.
Quello che vorrei sottolineare, come dicevo, è la ricchezza che i tanti lettori che hanno animato la serata, hanno tirato fuori dal libro. Persone diverse tra loro ma che si sono trovate accomunate da valori, reazioni e sentimenti che sono sempre gli stessi, ma che cambiano per ognuno che li indossa.
Il primo intervento è il mio. Scegliere non è stato facile, ma alla fine ho letto la pagine “dei segni”. La cultura al tempo tanto desiderata ed oggi così “bistrattata”. E la certezza che non basta la conoscenza di freddi concetti per definirsi colti, ma l’umiltà di saper guardare dentro le parole e i gesti per comprenderne il significato profondo.
Tocca poi a Ornella Casella. Collega di Rosa, ha potuto leggere le prime bozze del libro. Aveva temuto di sentirsi di parte nel giudicare il lavoro dell’amica, ma poi dice una cosa bellissima: Rosa non c’era nel libro. Era sparita, lasciando soli i suoi personaggi, creando intorno a loro un’aura che le ha ricordato la scrittura sudamericana di Marquez. E quel concetto di “illusi” che di certo non è una colpa.
Alberto Barone, architetto, ci regala un intervento notevole. La sua lettura lo ha portato a cercare una linea preponderante, un messaggio globale nell’arco dell’intera storia ed ha individuato nella figura paterna, la relazione tra le tante vite. Antonio con Alfonso, Mimì con Sebastiano, Michele con Carmela. Il padre, le sue responsabilità, la sua influenza, nel bene e nel male, nella relazione con i figli. Un modo per ridare ancora più valore ad una figura che oggi prende la scena troppo spesso solo per le sue cattiverie. E poi la casa. Qui ricorda la deformazione professionale, ma la casa, la masseria di Antonio è il luogo dell’incontro, della possibilità di “coltivare” vite e storie. Lì vive la famiglia Lauria, lì arriva Carmela, lì si rifugia Sebastiano, lì si consuma l’attesa per Alfonso. Ed è la casa che sfugge ai bombardamenti. Coinvolgente, profondo.
Autilia Avagliano, amica di Rosa, spiega a tutti ciò che mi aveva anticipato. Il suo pezzo è l’incontro e la scoperta dell’amore tra Alfonso e Carmela. Lo ha scelto perché, nella conoscenza dell’immenso pudore che caratterizza l’amica scrittrice, ha immaginato quanto le sia costato svelare e raccontare quei contatti, quell’amore fisico, ma che viene decritto come una poesia. Delicata.
Pina Buongiorno ci racconta del suo passato con Rosa, la collaborazione con l’associazione Rosa di Gerico e, nonostante questo, la mancata conoscenza da parte sua della passione di Rosa per la scrittura! Mai che si fosse proposta per una presentazione o avesse preteso uno spazio per ciò che faceva. Una discrezione che rasenta l’annullamento. Tornando al romanzo, Pina ha apprezzato la capacità dell’autrice di condurre il lettore dentro la storia, presentando i personaggi con estremo realismo. E sceglie Amelia. Torna questa donna che ha dovuto lasciare la città e seguire il marito in campagna. Ha dovuto subire “la condizione di donna” di quei tempi, quando l’unica cosa che potevano fare era ubbidire e accettare le decisioni del padre prima e del marito poi, l’uomo che non ha mai cercato neanche per un attimo di comprendere. L’interpretazione di Pina però, personalmente mi sorprende. Lei vede nel comportamento di Amelia, nella sua chiusura completa, un atto di ribellione. L’unico modo per contrastare il mondo e i suoi abusi, lei lo ha trovato nel lasciarlo fuori. Ma la ribellione dovrebbe portare un cambiamento, un’opportunità di miglioramento. Il suo atteggiamento diventa invece pura cattiveria, non solo nei confronti di “estranei” quali poteva considerare il marito e Carmela, ma anche verso lo stesso figlio. La sua ribellione diventa, ai miei occhi, solo una forma di invidia, un voler impedire quella felicità che a lei era stata negata. Ma le opinioni sono belle per questo, per poter essere varie!
L’intervento di Annalisa Speranza è di quelli fatti solo di emozione. Totale. Amica di famiglia, ringrazia per aver avuto l’occasione di leggere prima della pubblicazione. Sceglie le pagine in cui Michele chiede ad Antonio di prendersi cura di Carmela, per sottolineare come ci sono uomini che, pur nella differenza di estrazione sociale, possono ritrovarsi sullo stesso piano per la grandezza d’animo. E aver provato personalmente il dono dell’accoglienza, non può che dimostrare la gratitudine e la riconoscenza verso un gesto così nobile.
Completamente diverso lo spirito di Cettina Capuano, carattere battagliero, che si fionda sulla condizione della donna. Legge le stesse pagine di Pina, ma sembrano un’altra storia. E la sua domanda è ancora rivolta a quanta strada si dovrà ancora percorrere per arrivare ad ottenere reale parità tra i due sessi.
Gli interventi si chiudono con Flora Calvanese. Non è difficile pensare al taglio che prenderà, ma la prima cosa che fa è una parentesi personale. Confessa che, essendo lei nata e vissuta a Sarno per i primi anni della sua vita, a solo un decennio circa dalla fine della Guerra, quelle storie che Rosa ha raccontato, lei le aveva già sentite da sua madre. E forse, prima di questa lettura, non le aveva dato il giusto credito, come se fossero esagerazioni di un periodo che veniva ricordato con troppa confusione ed eventuale esagerazione; ma non era così. Poi, ovviamente, associa quella ricostruzione storica all’aspetto politico. Il dialogo tra Antonio e il professore Pace, è la dimostrazione di quell’atteggiamento debole che i politici e i letterati del tempo ebbero nei confronti dell’ascesa fascista. Un parallelo che purtroppo negli anni sembra ancora ripetersi, ma che dovrebbe coglierci meno impreparati. La storia si ripete: è la sua conoscenza che ci salverà dal commettere ancora gli stessi errori.
La serata sta per finire e noi non abbiamo ancora ascoltato la voce di Rosa. È rimasta tutto il tempo seduta a guardare con occhi grandi le persone che passavano, che parlavano di lei e ne sembrava quasi sorpresa. Aiutava Franco a liberare il filo del microfono, insomma, sembrava che tutti quei complimenti non la riguardassero. E quando “è obbligata” a prendere la parola, confessa candidamente che lei ama scrivere e non parlare. Ricorda le sue origini contadine, che sono rimaste dentro ogni piega della sua anima. Il contatto con la terra, la sua essenza nuda e reale. E quel richiamo al titolo: “L’illuso non è solo chi spera, ma è colui che non può fare a meno di essere se stesso”.
È tutto qui il suo intervento sul libro, oltre alla risposta pubblica a quella domanda che le avevo posto ad inizio serata, su Amelia e sull’inutilità di vite che non sanno uscire fuori dai propri limiti. E forse il pensiero di questi limiti da superare, la portano a confessare che la sua carriera scolastica era stata fortemente ostacolata dal maestro delle elementari. Non aveva nessuna speranza che quella ragazzina potesse conseguire con profitto un titolo di studio maggiore. Solo la sua caparbietà, la sua passione l’hanno portata a contraddire lui e a coronare il suo sogno: scrivere.
“Perché scrivere è un mestiere, scrivere è un lavoro che si impara e che mi è costato tantissimo sacrificio. Esercitarsi ogni giorno, fino a scomparire dalle cose che racconti”.
Ecco cosa mi è rimasto di questa donna piccola di statura, umile e discreta, ma potente nella forza, nella convinzione di avere qualcosa da lasciare a questo mondo che la intimidisce, ma non abbastanza per cancellarne il pensiero.
- Il tempo dei bambini.
- Marcello De Simone – Wagner, musica passione audacia