Una vita a foglietti

Alessandro De Rosa racconta Ennio Morricone

aless-ennioSapere di non “dover” scrivere per una serata ed avere voglia di farlo. A modo mio. Solo per me.

Alessandro De Rosa – Ennio Morricone; un trentenne e un quasi novantenne che si incontrano e si regalano qualcosa di speciale. E noi pure beneficiamo del loro incontro.

Si parla di un libro, ma in realtà si tratta di musica e spesso quando c’è lei di mezzo, le parole dovrebbero diminuire, perché le strade che attraversano le note sono diverse da quelle che percorrono gli scritti. Le prime passano direttamente dal cuore, le altre, a volte, deviano attraverso la mente.

Ma per chi come me non sa suonare, e ovviamente nemmeno sa scriverla la musica, si deve accontentare del più classico foglio bianco e di tasti che sono sostituiti da una penna.

Quando sono arrivata Alessandro non lo conoscevo, non sapevo distinguerlo tra la marea di gente che affollava la sala del Comune, né conoscevo i suoi genitori, solo i suoi zii, ma non sapevo ancora della parentela. Quando tutto è cominciato ho visto questo giovane ragazzo, profeta in patria per l’occorrenza, e mi ha colpita la calma, la forte consapevolezza, la voglia di raccontare qualcosa di straordinario che gli era capitato, ma che in realtà gli ha solo permesso di approfondire un percorso già scelto, già amato, che era quello della musica. Della composizione.

È bello il racconto del loro incontro, di quelle cose semplici che sembrano studiate a tavolino e che invece solo il destino ci regala.

Un ragazzo con la voglia di imparare e un maestro con il desiderio di insegnare. Ecco quanto è accaduto: due desideri che si sono realizzati e dal loro stare insieme è nato poi il racconto della vita di un grandissimo della musica.

Alessandro ci regala immagini e parole, ma mi colpiscono le sue mani. Ha mani “pallide” e dita affusolate come lo sono spesso quelle dei musicisti e regalano una mimica talmente espressiva dietro quel microfono, che aggiungono spiegazioni mute al suo parlare.

E poi c’è ovviamente la musica. Io avrei voluto che la colonna sonora di The Mission non finisse mai. Lui ci ha spiegato tecnicamente delle cose che io non ho capito del tutto, ma non ha molta importanza. In questo caso si vede la differenza delle strade percorse: le parole servivano per dare una spiegazione, ma quelle note superavano la barriera della mente e si appropriavano del cuore, sconvolgendo l’ordine che vi regnava trasportandolo da un’altra parte, in luoghi mai visti, con emozioni non ancora provate, con ricordi di altre vite che si sovrapponevano alle mie.

Che pace e che follia in quelle note. Che scontro in quel desiderio di misticismo e la fredda realtà. Come sarebbe facile volare attraverso le montagne, salire e avvicinarsi al cielo azzurro, uguale per tutti, liberarsi dalla sopraffazione che i piccoli uomini compiono in nome di regole imposte da loro e che nascondono volgari interessi materiali.

Mi piace ricordare il volto mite dell’anziano maestro che, dal divano di casa sua, cerca di spiegare con parole semplici quella ricchezza che ha nel cuore, quella necessità di catturare un’emozione e renderla ripetibile all’infinito, per non perderla mai più e lasciare che la nostra anima acquisisca quell’immortalità che non è solo divina. Le sue mani che sembravano cercare, nel profondo del petto, la scintilla per dare di nuovo forza alla mente per creare una magia, una nuova melodia.

Bello. Bello tutto quanto, tutto quello che rimane sospeso negli occhi, che arricchisce il cuore, che si nasconde e si difende dai meccanismi del business e della materialità.

Bello perché da stamattina sto ascoltando la sua musica e mi sembra che la mia anima abbia trovato un po’ di pace. E questo è un regalo. Lo accetto, lo tengo con me, so che potrò aprirlo ogni volta che mi farà piacere, ogni volta che ne avrò bisogno e dunque ringrazio. Ringrazio chi ha saputo trovare nel suo cuore qualcosa che gli parlava e che aveva bisogno di essere ascoltato e raccontato.

Ennio Morricone lo ha fatto e Alessandro De Rosa lo ha permesso.

I grandi lo sono perché hanno grandi doni, ma lo diventano agli occhi degli altri perché regalano il frutto di queste grandi qualità. E noi che non ne abbiamo, accettiamo il riflesso di tanta delicatezza, di tanta poesia, di tanta maestria.

Grazie.

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