Una vita a foglietti

Bombe su Parigi, detriti nel mondo – Salvatore e Paola

Parigi-Notre-DameCava 14/11/2015 Sono due pezzi quelli che seguono. Il primo è di mio figlio Salvatore Capasso. Dopo un episodio come le bombe di Parigi, difficile restare indifferenti. Farle diventare argomento di confronto ci è parso molto utile.

Salvatore Capasso

Vi spiego perché la guerra che pensate di combattere l’avete già persa, l’abbiamo già persa. La vendetta ci ammalia, la rabbia ci pervade. Il ragionamento e la lucidità non sono per tutti. Non sono per chi pensa che le motivazioni che spingono “uomini”, se così possiamo definirli, ad uccidere malcapitati, colpevoli solo di vivere un’ altra serata come tante, siano solo religiose.  Aprite la vostra mente, non limitatevi a ciò che si vede ma andate oltre. Terroristi islamici che arruolano persone di ogni nazionalità e che ci sparano con armi che noi paesi-vittime gli vendiamo. E a pagare, come sempre, sono gli innocenti.

La mia intenzione non è di sminuire quanto è accaduto o di infangare la memoria di quanti sono morti mentre si divertivano o mangiavano qualcosa seduti con le persone che amavano. Voglio, anzi, trarre un insegnamento che non renda vano questo enorme sacrificio di vite.

C’è qualcosa in noi, un dono, che né i terroristi, né i politici corrotti, né chi muove i fili delle nostre vite per guadagno potranno mai toglierci: la libertà di pensare. Un’ idea non muore con l’ultimo afflato, continua a crescere e maturare in chi sa accoglierla.

E allora riflettete sul campo di battaglia di questa guerra. Non è la trincea, non è la città, non il mare, non il cielo. Si combatte nella nostra testa, sulla nostra pelle, nella nostra anima, nella nostra coscienza. Se ad un attentato il mondo reagisce pensando che l’isolamento, la xenofobia, l’odio indiscriminato e la paura siano la soluzione, allora abbiamo già perso. Perdiamo ogni volta che anche uno solo di noi viene sfiorato dall’idea di chiudere le frontiere  o rimandare a casa chiunque sia “diverso”, in quella casa dove hanno già provato a togliergli la vita, così magari al secondo tentativo saranno più fortunati. Rispondere al terrore chiudendo gli occhi, tappandosi le orecchie e pensando alla propria e sola sicurezza è esattamente il loro scopo, quello per cui uccidono, corrompono, lottano. E se siete liberi di pensare, se lo siete mai stati, non correte a condividere la foto sul social, non chiedete a Dio perché permette  o meno queste cose, ma fermatevi un momento a pensare alla vostra vita, a quanto vale, a quanto fate nel vostro piccolo per migliorare, a quanto conta per voi la libertà che ora disperate e se ne avete mai provato davvero  il sapore. E se non vi siete mai preoccupati di come vi comportate, di avere una coscienza pulita, iniziate a farlo, perché chi minaccia il mondo magari ha cominciato così, mentendo ad un amico.

Paola La Valle

Scrivo sempre per un bisogno, ma oggi scrivo su espressa richiesta di mio figlio.

Parigi è ovviamente l’argomento o forse il punto di partenza. Attentati, libertà, religione, politica = uomini. Tutte queste azioni hanno un senso, assumono forme e si trasformano solo attraverso gli esseri umani. E loro sanno contagiarle con quelle malattie che sembrano incurabili come il cancro, ma che sappiamo bene di non voler debellare.

Ci sono giorni come quello che si è vissuto che possono cambiare il corso della storia. Come l’attentato al re che diede vita alla guerra mondiale, così queste bombe domani le definirà come l’inizio di un altro conflitto. Ma venerdì 13 novembre del 2015 a casa nostra sarà ricordato con un altro spirito. Non è la prima volta che discutiamo di ciò che accade nel mondo. Il 7 gennaio di questo stesso anno, mia figlia arrivava a Parigi alla stessa ora in cui si sferrava l’attacco a Charlie Hebdo. E partecipò giorni dopo alla manifestazione in suo ricordo. Con gli amici di scuola, un primo modo per dire che appartenevano al mondo anche se non sapevano ancora come cambiarlo. Ieri era in un altro posto di questo mondo ed ha partecipato ad una veglia. Senza amici stavolta, ma è andata lo stesso. Perché fa parte di questo mondo e ha voluto esprimere così la tristezza per quell’atto scellerato che ha distrutto luoghi che conosceva e ha frantumato forse, una parte di quell’innocenza che ancora si ha e si deve avere, a 20 anni. La conversazione tra di noi, breve, da lontano ma vicina, l’ho conclusa così: “Il mondo è folle, voi cercate di essere migliori”.

E a lei aggiungo il pensiero di Salvatore, quelli che abbiamo condiviso. La sua rabbia perché ogni ragionamento ci portava sempre allo stesso punto: l’uomo e il suo egoismo, l’uomo e i suoi interessi. Gli ho tirato in ballo nomi forti, Martin Luther King, Gandhi; uomini che  non avevano nessuna apparente possibilità di fare ciò che hanno invece poi fatto. Ma sono partiti da un’idea: avevano un sogno. I have a dream, risuona ancora forte quella voce, ritornano i passi della marcia della non violenza di Gandhi. Ma quei sogni, quei passi, sono stati calpestati da generazioni, forse quella più vicina a noi che ha spezzato tanti sogni è stata quella degli anni 60. In una sigla che casualmente ho ritrovato oggi: IBG, YBG. I’ll be gone, you’ll be gone. Poveramente tradotto: Io non ci sarò, tu non ci sarai.

Misero concetto dell’oggi, senza responsabilità verso il futuro. Non il Carpe Diem di non sprecare l’attimo, ma il mordi e fuggi del delirio. Quel voler dare tutto in mano a tutti, la voglia di livellare il mondo, che era parsa una conquista per dare possibilità, ha segnato una sorta di precipizio per troppe cose. E infatti da allora, tante cose hanno cambiato aspetto. Ma la storia è fatta di alti e bassi. Chi ha avuto le redini in mano, ha cercato di indirizzare la strada verso interessi privati, che si possono tutelare solo dietro scrivanie a cui si siedono in pochi. Pochi a decidere il destino di molti.

E il nostro compito, il nostro vivere, dov’é? Nelle nostre teste. Nella nostra capacità di ascoltare, guardarci intorno e non farci calpestare. Non farci imboccare. Non camminare con un guinzaglio al collo come cani a passeggio con il padrone. E se i nostri figli dovranno percorrere un cammino diverso, diversi dobbiamo cominciare ad essere noi. Io non ho titoli, non ho poteri, non partecipo a riunioni di stato, non posso fare niente di tutto questo. Ma posso ancora pensare, posso ancora parlare, posso ancora credere che un’utopia diventi un sogno. Posso essere la persona che sono e diventare un esempio. E da uno ne vengono fuori due e da due possono nascerne quattro. E la moltiplicazione ha inizio, come le cellule primordiali che hanno generato la vita.

Ci lamentiamo di questi giovani e delle loro “assenze”. Ma cosa facciamo NOI, per essere presenti con loro? Guardiamo il Grande Fratello, compriamo il kinder bueno dei cattivi, corriamo a mostrare ciò che abbiamo, molto meno cerchiamo di capire cosa siamo. E questo fa di noi strane persone e dai nostri comportamenti sono nate generazioni di persone alienate. Giovani che si ammazzano, che bevono, si drogano, si estraniano. E tutto questo fa comodo a qualcuno. State lontani da chi comanda, pensate al vostro orticello senza dare fastidio e da lontano altri decideranno nel frattempo delle vostre vite. E quando proverete a viverle, scoprirete di aver fatto tardi. Siete rimasti fuori dalla porta, e dovrete accontentarvi di rimanere a piedi. Condanniamo questi pazzi che spezzano vite come se fossero burattini al macero, e poi chiediamo a Dio come può permettere tutto questo? Ma come ci permettiamo noi di far una domanda del genere, da totali ignoranti!

Dio ha dato la libertà agli uomini. La religione non è un obbligo, non dobbiamo per forza essere qualcosa. Anche i cristiani hanno preteso di esserlo ai tempi dell’Inquisizione, con le Crociate. Ma non si obbliga un cuore ad amare. Mai. E oggi il nostro Papa sta cercando un cammino diverso ed è proprio questo, forse, il punto storico cruciale. Se un Papa accetta di camminare accanto al fratello che ha un altro credo, in nome di chi si potrà uccidere il miscredente? La religione insegna amore. Attraverso strade diverse, quelle di Allah, di Buddha, di Dio o di chi volete. Sono gli uomini che le strumentalizzano per interesse. Smettiamola di essere stupidi! Alle loro bombe rispondiamo con intelligenza, altrimenti saremo sempre perdenti. Non saranno le frontiere chiuse a salvare vite. Chi potrà mai leggere nella mente di chi si sveglia al mattino sapendo di imbottirsi di tritolo? Nessuno. Sarà solo quel cuore, quella mente che dovrà decidere di fermarsi.

Come dovrà decidere di non uccidere chi non ha nessun mitra in mano e ammazza ancora più persone. Non meriterebbe la stessa ira la scoperta delle truffe, degli inganni, della corruzione che regna ormai in ogni parte del mondo?

Si parlava di III guerra mondiale, ma contro chi o cosa si dovrebbe combattere? Siamo circondati da nemici non sempre armati che vestono tutte le divise del mondo. Ogni angolo può nasconderne uno. Vecchio o nuovo. Sanità, sport, politica, territorio, finanza, scuola, non c’è stanza di potere che non si sia macchiata di colpe. E noi incolpiamo Dio di questo? Ipocriti. Le rivoluzioni che si fanno a colpi di mitra non avranno mai un vincitore. Segneranno la vittoria di chi è più forte. Ed è l’unico messaggio che noi diamo in questa società. Il branco che aggredisce il singolo, il ladro che ti uccide, l’amante scacciato che ti sfregia a tradimento. Atti di pura violenza che il forte compie sul debole e non sembra ci siano regole che possano arginare questo fiume in piena. Ci dovrebbero essere esempi. Io vedo tutto questo, so quanto marcio mi circonda, ma non gliela do’ vinta. Zoppico ma non cedo.

Voglio essere persona, tentare almeno, perché i colpi che arrivano a spezzarti le gambe sono tremendi. Ma ci provo. Non voglio vivere da pecora, non voglio avere un prezzo, non voglio smettere di pensare. Non ho la pretesa di affermare di avere ragione, ma provo ad avere una mia storia, delle mie motivazioni, i miei valori. E li dimostro. A chi mi è vicino, a chi ha voglia di ascoltarmi. E se mi arrivano frasi del tipo “Voglio arrivare alla tua età con la tua testa”, allora so che è valsa la pena averla così dura questa testa. Perché ho dimostrato a quell’uno che si può diventare due, che si possono sognare sogni difficili. Che non sono mai sprecate le vite di chi ci prova, di chi non si arrende. E se tra i discorsi dei nuovi giovani dovesse entrare un confronto tra idee e non solo su vestiti e smartphone, allora una piccola battaglia sarà vinta. E non vi sembra più facile poter vincere la guerra se ognuno deve solo provare a vivere di ciò che serve davvero, di ciò che vale per davvero e che questo superfluo che ci ha rovinati, non migliora la qualità della nostra vita?

Piccoli semplici pensieri. Accontentarsi significherebbe non cercare quel di più che ci porta ad essere vulnerabili. E corruttibili.

Per vivere non serve poi tanto, ma si raccoglierebbe molto di più.

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