Con Antonio Donadio, “Calcio d’autore”: un libro per appassionati e non di questo sport.
Nell’era dei trasferimenti milionari, nel tempo in cui l’abilità dei procuratori conta più delle doti del calciatore, trovarsi tra le mani il libro di Antonio Donadio “Calcio d’autore”, (Editrice La Scuola), è come fare un viaggio ragionato e ben guidato tra testi di poeti, scrittori, giornalisti e cantanti sul mondo del pallone. Una boccata d’ossigeno per chi il mondo del calcio lo ha amato e cerca di amarlo ancora. Nonostante tutto.
A Cava, nella Sala del Comune se ne è tenuta la presentazione con la presenza dell’autore, che è uno degli illustri concittadini che hanno dato dimostrazione delle loro grandi capacità ben oltre i confini cavesi e dunque non è sembrato strano che il Sindaco della nostra città lo accogliesse a Palazzo di Città, nella Sala Consiliare. Forse la cosa strana è che non si sia fatto trovare e non abbia giustificato la sua assenza neanche con l’invio di un suo delegato, ma il problema è solo suo, per la caduta di immagine e perché si è perso una gran bella serata. Peccato, per lui.
Lo spirito all’interno della sala non ha risentito di questa o di altre assenze, anzi. La prima cosa che mi ha colpita è stata la festosa accoglienza dei presenti , persino la mia, che Antonio l’ho conosciuto solo due sere fa. Allegria dovuta al genuino piacere di ritrovare amici di vecchia data, compagni di scuola e colleghi di lavoro che hanno fatto chilometri di strada per esserci. Come ha detto in una mail Alessandro Fo, fratello del più celebre Dario, “Beati gli abitanti di Cava che stasera potranno assistere alla presentazione del libro di Antonio Donadio”. Non tutti devono aver letto il suo post, caro signor Alessandro, ma chi l’ha fatto ha capito perfettamente quanto fosse valido l’invito.
A presentare c’è Franco Bruno Vitolo, amico lui stesso di vecchia data di Antonio, e in prima fila sono seduti diversi rappresentanti dell’Associazione Verso Cava, che parteciperanno leggendo pagine del testo.
La prima lettura spetta a Franco: “Goal” di Umberto Saba, “Il portiere caduto alla difesa ultima vana…” forse una delle poesie più conosciute del mondo del calcio, una di quelle che ha mostrato alle masse come due mondi apparentemente agli antipodi, potessero incontrarsi.
E di fondo, tutto quello che viene svelato nel libro è proprio il continuo riferimento a questo gioco così popolare, così alla portata di tutti, così coinvolgente e che è stato vissuto, in politica come nella cultura, come un fenomeno strano: c’è chi lo usa, chi lo ama e chi lo subisce.
Se partiamo dalla copertina ci troviamo Pier Paolo Pasolini in una non conosciutissima immagine con il pallone tra i piedi: cultura e calcio, popolo e osservazione.
Il lavoro di Antonio Donadio è stato lungo e meticoloso: tre anni a raccogliere brani conosciuti e inediti e poi la cernita, perché il lavoro “non è nel blocco intero, ma nel ripulire”, come accennava un certo Michelangelo che di forme e di bellezza qualcosa ci ha lasciato. L’obiettivo è di rendere una collocazione che mi viene da definire giusta se penso allo spirito che lo ha spinto a lavorare su questo tema e forse rischiosa, se invece pensiamo alla grande materialità che gravita intorno a questo sport nella nostra epoca. Ma Antonio Donadio è un poeta e quindi dobbiamo necessariamente lasciarci portare in una dimensione ancora più “emozionale”, e la lettura che segue, fatta da Maria Teresa Kindiarsky , affronta l’argomento Grande Torino, il mito di una squadra che nella tragedia ha trovato l’immortalità.
Oggi è il 25 di novembre, giornata dedicata alle donne, alla lotta contro la violenza e a Maria Alfonsina Accarino è affidato proprio un brano sul gentil sesso, perché anche loro vivono il mondo del calcio e dentro questo mondo.
Il primo vero intervento di Franco rivela dunque le due parti che determinano la natura del libro. Una prima dedicata al calcio come metafora della vita, con frammenti legati da un testo che ha saputo inserirsi attraverso brani lontani quasi cento anni da noi, come un ricamo leggero, tenendo insieme tutti i pezzi e dando una musicalità al tutto. La ricerca tocca personaggi famosissimi, come i citati Saba e Pasolini, ma anche ad esempio Sartre, Sanguineti, Gatto, o perfino Montale,che apparteneva alla schiera dei detrattori di questo sport, che avrebbe abolito o al massimo concesso di giocare per 16 giorni all’anno, possibilmente in estate così che lui potesse andare all’estero in vacanza e non subirne la presenza.
Ma da sempre, amato o no, il calcio è stato una metafora della vita. Franco sottolinea come anche i termini che usiamo per i protagonisti di questo sport, dal “Bomber” “all’attaccante” o alle posizioni “in attacco” o “in difesa”, stanno a significare una forma di lotta di battaglia per una sopravvivenza o per la vittoria. O le azioni di “penetrazione nell’area avversaria”, che portano al gol, come espressione di esaltazione e godimento amoroso. Antonio si inserisce citando una frase di Umberto Eco, che definiva i tifosi “guardoni”, come se assistessero ad una coppia che si apparta per fare l’amore.
Così elite e popolo si affiancano, si ritrovano nella rincorsa dietro il pallone in un cortile polveroso e, mentre l’uno suda e si sfianca alla ricerca di quel tocco che porti alla vittoria e all’esaltazione, l’altro fotografa quei gesti per riportarli poi in un racconto che resti come segno tangibile di una prodezza di cui si parlerà per sempre.
A questo proposito è d’obbligo segnalare un sogno di Pasolini, il quale lo immaginava come impossibile da realizzare: quello di un giocatore che potesse attraversare, palla al piede, tutto il rettangolo di gioco, dribblare gli avversari e arrivare a fare goal. Il sogno che Maradona regalò al mondo intero nella partita contro l’Inghilterra e che lui purtroppo non ebbe modo di vedere.
Franco ci chiede e si chiede: “Ma la partita della vita è quella che giochiamo noi o la facciamo giocare agli altri?” perché in quei novanta minuti sono racchiusi, spesso, molti più elementi della sola rincorsa ad una palla. Ci sono rivalse sociali, ci sono stimoli per una vena poetica che forse, ma non è strano, trova a Napoli la sua espressione più feconda. Tra i tanti striscioni, di cui pure parlerà Antonio nel suo libro, ne ricordiamo due, perché davvero è difficile non inserirli in un libro di poesie. Il primo è quello che fu messo davanti al cimitero della città partenopea dopo la conquista del primo scudetto “Non sapete che vi siete persi” e l’altro è rivolto ai veronesi, come simbolo di un’ironia che si contrappone alla violenza. Una frase talmente “storica” nata in risposta all’invocazione di un’eruzione del Vesuvio che li spazzasse via o al ringraziamento al devastante terremoto dell’Ottanta, da divenire il titolo di un libro raccolta sugli striscioni più famosi: “Giulietta è una zoccola”.
In un libro che parla di calcio come non parlare dei giornalisti o radiocronisti? Di penne famose ne sono citate tante, da Gianni Brera al troppo presto compianto Beppe Viola. Uomini che hanno legato la loro arte ad un mondo che raccontavano con tante parole e molto meno immagini. Gente, così come i loro predecessori tipo Carosio, che dovevano saper trasmettere la poesia e l’ardore, la rabbia e l’orgoglio, la sconfitta e l’esultanza a chi le partite le seguiva ancora alla radio e tutte quelle magie doveva poterle sognare. Ma ad Antonio non sfugge la presenza in sala di Antonio Giordano, giornalista cavese che segue il Napoli e lo racconta dalle pagine del Mattino, ma che è ancora troppo giovane per entrare nel libro attuale, anche se gliene riconosce i meriti. E parlando di giornalisti cavesi, come non citare Gino Palumbo, uno che con Brera, definito razzista, aveva avuto scontri pesanti.
Dopo la pausa lettura che ha visto Lucia Antico leggere le pagine dedicate a Pasolini, un altro riferimento politico sembra doveroso per Franco. Negli anni Sessanta, uno dei grandi errori fatti dai radicali di sinistra dell’epoca, fu di non realizzare la grande importanza sociale del calcio e di bandirlo quasi, al punto che i militanti “sportivi” dovevano guardare le partite di nascosto, come clandestini, perché veniva considerato quasi un hobby vergognoso. E racconta di una collega “estremista”, dirigente nazionale di un partito di estrema sinistra, la quale diceva di lottare per il popolo ma non sapeva, ad esempio, che in quel periodo il popolo romano da una settimana era in piazza per festeggiare lo scudetto e con lui c’era Andreotti…
Un grande paradosso cercare soluzioni a problemi di chi non conosci e guardi solo da lontano o solo dal tuo punto di vista.
Antonio si inserisce confermando che il calcio è nato come un gioco, un’attività ludica che non poteva interessare gli intellettuali, ma chi non l’ha analizzato si è perso molto dell’evoluzione sociale del popolo. E riporta una frase di suo padre in cui, già all’epoca, si prendeva il calcio come esempio nel risvolto della vita reale: “Vi arrabbiate per un rigore non dato, ma dovreste essere così furiosi quando in fabbrica negano i vostri diritti”. E accenna anche al fatto che, per cancellare un’epoca storica come quella del fascismo, sono state quasi dimenticate le descrizioni che si facevano all’epoca di questo sport: “Abbiamo buttato con l’acqua sporca anche il bambino”.
Franco rincara la dose “Colui che guida il gregge, cioè il pastore, non deve mai stare davanti; deve seguirlo e deve puzzare delle sue pecore”. È una frase ripresa dalla Bibbia e che Papa Francesco sta ripetendo spesso negli ultimi tempi. Non si può pensare di guidare e migliorare una società che non si vuole conoscere in tutti i suoi aspetti e nelle sue più grandi manifestazioni. In fondo è vero che allo stadio capitano episodi di violenza, ma nella maggior parte dei casi è anche il luogo dove 40/50.000 persone possono stare insieme pacificamente a condividere un’esperienza. E Pasolini l’aveva ben presente questa possibile fusione, pur non dimenticando che ai grandi stadi preferiva i campetti di periferia e più che spettatore amava essere attore di questo sport, magari insieme alla gente di borgata.
Una partita di calcio, se ci riflettiamo, ha l’anima di una festa, e questo Donadio lo evidenzia attraverso la lettura degli scritti di Rodari e le citazioni di Vivian Lamarque, con l’inedito di Milo De Angelis.
Tuttavia, tutti questi elogi al gioco del pallone, non devono farci dimenticare che purtroppo oggi vi sono associati aspetti davvero negativi, come le scommesse, gli inganni, i forti interessi e ovviamente la violenza, ma che hanno, ancora una volta, un riscontro nel tessuto sociale che non si può e, penso, non si deve ignorare. A questo proposito a Lucia Criscuolo è affidata la lettura per ricordare la tragedia di Ciro Esposito.
Non è con la tristezza che si vuole concludere la serata e Franco concede ad Antonio la domanda a piacere: “Quali sono i ricordi belli e brutti legati al calcio?”
Quello bello forse lo sappiamo già anche noi, è la Cavese che arrivò in serie B, mentre per quello triste si parla, oltre che della violenza sempre condannata, anche della sproporzione di soldi che oggi ruota intorno a questo mondo, degli ingaggi, dei guadagni che spesso fanno sospettare che davvero servano a coprire ben altro. E poi si parla troppo a lungo di calcio, con tanti problemi che ci sono in giro…
Qui nasce l’aneddoto su Alessandro Bonan, giornalista di Sky che ha curato la prefazione del libro. L’incontro di Donadio con lui risale ad un “Sanremo” di qualche anno fa: Antonio gli rivolse una domanda apparentemente facile: “Cosa ne pensi di Caressa?” La risposta fu una presa sottobraccio, un allontanamento e una frase: “E io che ti debbo dire?”.
Ecco, a buon intenditor poche parole. Ci sono persone che parlano di argomenti che conoscono e quindi con competenza, e soprattutto con passione e nello stesso tempo con ironia e distacco, altri lo fanno con seriosità o enfasi retorica…e magari solo preché c’è bisogno di suoni e parole più che di contenuti. il mondo del pallone oggi è gonfiato da settimane di nulla ma che prevedono contemporaneamente la messa in onda di centinaia di ore di trasmissioni e qualcosa dovranno pur dirlo.
L’ultima lettura spetta a Emanuele Occhipinti e lo fa con stoicismo: da tifoso interista, e confessarlo in questo periodo è già un onore, legge un brano sulla Juve. Beffe della vita, ma da galantuomo esordisce con un “Onore al merito”. Il valore va riconosciuto, anche nel “nemico”.
Franco non può fare a meno di sottolineare come in due sole pagine siano raccolti sei pezzi cuciti insieme dal testo. “Una raccolta di perle” la definizione finale di questo libro che non è “un’antologia, ma un mosaico ben costruito”.
E Antonio conclude proprio evidenziando la grande soddisfazione che sta ricevendo da questa pubblicazione, che ha oltrepassato i confini nazionali: ad esempio, è stato inserito nella biblioteca americana di Harvard, e a noi non sembra un viaggio di poco conto.
Sono una grande appassionata di calcio e tante delle cose raccontate le conoscevo per esperienza diretta, molto meno sapevo di queste origini, di quanta passione e anche ostracismo c’è stato nel passato. È stato bello riempire spazi vuoti di conoscenza con frammenti di un mosaico che, definendo immagini nuove, hanno rivelato uno scorcio un po’ più chiaro di una storia un po’ più grande di un semplice campo di calcio.
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