Una vita a foglietti

De Crescenzo: emozioni live

De CrescDa Vivimedia

La gentile voce di una signorina ci annuncia l’imminente inizio del concerto: Eduardo De Crescenzo “Essenze Jazz Tour” al Teatro Gesualdo di Avellino.

L’ingresso dei musicisti, le prime note, solo una o due e l’applauso è già fragoroso. C’è un pubblico di una generazione molto vicina alla mia intorno ai cinquanta, e d’altra parte De Crescenzo ha accompagnato un’altra gioventù. Anche se molte sue canzoni poesie, non possono essere collocate in un solo contesto, ma fanno parte dell’antologia della musica italiana.

Per questo quando il sax di Daniele Scannapieco prende vita, succede una cosa meravigliosa. Si apre una finestra, no, un portone su un altro mondo “Dove c’è una città…” “dove c’è il mare” e un vortice mi trascina via dalla sedia, cancella gli anni passati e mi porta da un’altra parte: gli anni spariscono, gli occhi sono diversi, cambiano scenari e paesaggi… Sotto quel cappellino conosciuto ma mai visto, c’è quella voce, quell’emozione, quel fremito, quei brividi.

Tromba, Enrico Rava  – “Comincia tutto… Occhi di marzo…” è seduto al centro del palco, mani sempre incrociate sulle gambe a mostrare una semplicità profonda, un’unica fusione con quello che fa, con quello che racconta, con quello che canta. E quando le parole non ci sono ancora, resta la musica: e lui ascolta rapito.

Contrabbasso, Enzo Pietropaoli  –  “Il racconto della sera…” e il pubblico non si trattiene. Saremo in là con gli anni ma le emozioni sono ancora splendidamente vive. “…restare lì abbracciati quando piove…” e si abbraccia anche lui, come a raccogliere le sensazioni che racconta e che regala. Una tromba di strada accompagna quel racconto di una sera, “…quella che tu solo sai…” A quelle note stridenti, aggiunge la sua voce in una lotta quasi, ad afferrare note e parole.

E oltre al sax, la batteria di Marcello Di Leonardo, il pianoforte di Stefano Sabatini, musica e musicisti di altissimo livello.

La prima pausa che ci concede è per dedicarci poche parole, un pensiero di ringraziamento per questo teatro esaurito, che rappresenta il cuore pulsante di una comunità. Luogo che serve per permetterci di fermarci ed ascoltare quella parte di noi che il rumore di ogni giorno copre e nasconde, stancandoci e confondendoci. Parte di noi che definisce “Essenza” a richiamare il nome del Tour e che è anche l’invito ad ascoltarci per capire chi siamo e chi vorremmo essere.

“Quando l’amore se ne va…” sono le note del sax a raccontare quel volo di farfalla sotto la pioggia, il suo tormento. La solitudine che possiamo “guardare” nel  suo camminare sul palco, i suoi gorgheggi, i suoi tumulti interiori.

Dalla sala partono complimenti “Sei Grande” ed è pensiero condiviso.

L’Odore del mare “… è tutto nel mio cuore… amore poi diventerà…”. Il ritmo più lento della nuova interpretazione rende ancora più mature e profonde le bellissime parole di testi che da decenni raccontano un animo sensibile, che nel tempo non ha fatto altro che maturare maggiori consapevolezze. E il tocco di jazz di questi nuovi arrangiamenti la rendono ancora di più musica “di vita”. “Bravissimo” gli urlano, e noi siamo d’accordo.

Applausi ritmati “C’è chi l’anima la dà… e la musica va… chi la cerca e non la trova”. Ma dove può essere quest’anima se non in questo racconto stupendo di musica e parole?

Si siede, gambe accavallate, come a voler iniziare un racconto, e racconti sono i suoi testi. “Io vorrei che tu invecchiassi con me… anima mia…” Pensiero che apre un dibattito lungo “fino alla fine del mondo”. Un’anima che invecchia con noi vuol dire che non ci abbandona mai; e chi vive con la sua anima, non può vivere male.

“Andrà così…”, toni bassi, introspettivi, delicati, profondi, taglienti, inquisitori. Noi spalle al muro sotto quella tromba che incanta. Eduardo seduto, immobile, rappresenta tutti noi. “Darò tutto l’amore che so dare… un uomo che prima o poi si fermerà, domani… ma oggi sono qui”

E dopo? “Ancora”: e questa è appannaggio del pubblico.

Ho soltanto questo pane mangialo con me…, è una vita che ti cerco…” e poi un magnifico assolo di violoncello di Lamberto Curtoni, delizia per noi.

Subito dopo “Amico che voli”, parte un duetto tra il contrabbasso e la voce di Eduardo, quasi una preghiera di vocali forse incomprensibili come possono essere le preghiere personali davanti ad un oggetto o persone che trasformano gesti in note.

“Le mani” sono un invito per il pubblico che partecipa prontamente. Arrangiamenti spettacolari, tempi allungati che permettono l’inserimento di pezzi di sax, violoncello, pianoforte e contrabbasso e batteria e… e quella vecchia, bellissima canzone diventa ancora altro. La fisarmonica accompagna il ritmo del pubblico, lui canta, noi seguiamo.

Dovrebbe finire qui. Due ore volate via come un bicchier d’acqua, un viaggio di anni concentrato in poche “essenziali”ore di intrattenimento stupendo, ma non ci bastano. Restiamo tutti fermi: dimentichiamo i nostri anni e chiamiamo a gran voce un ritorno sul palco, un’altra parte di quel mondo che vogliamo ancora vivere e per fortuna ritornano.

“C’è il sole”: ma sembra che ci sia una temperatura polare visti i grandi brividi che arrivano dovunque. Poeta e grande fisarmonica. “Cosa c’è di vero”: c’è che davvero lo senti l’odore del caffè  mentre cammini nella “confusione cittadina”.

Tutti quegli strumenti suonano con un’armonia straordinaria, nessuno prevale sull’altro, tutti sono perfettamente in sintonia per regalare accordi che sembrano una magia. Tutti protagonisti, nessun protagonista.

“La vita è questa vita” in una versione quasi irriconoscibile ma che mette ancora più in evidenza un testo fantastico.

Non vorremmo, ma quando lasciano per la seconda volta il palco, il timore che potrebbe essere davvero finito tutto, ci prende. E così sarà.

Realizzo che solo adesso riprendo a respirare in modo normale dopo queste due ore in cui credo di essermi alimentata di cose meno concrete di un respiro, ma molto più nutrienti per l’anima.

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