Dopo l’alba
C’è stata un’alba qualche giorno fa che nasceva con dubbi, paure, ma soprattutto con tante speranze.
La speranza è un sentimento bellissimo. È una finestra socchiusa che può regalare paesaggi magnifici, che può permettere di respirare aria fresca, che può farti scaldare dai raggi del sole. Era quello che noi volevamo, era quanto ci stavamo augurando.
Troppo spesso negli ultimi anni abbiamo aperto finestre che invece di gioie ci hanno regalato dolore, ma questa volta sembrava quasi impossibile.
Questa volta ci siamo ritrovate a permettere una rinascita. Abbiamo ridato vita e dignità a chi un giorno di tantissimi anni fa ci aveva regalato solo vita. Solo vita. Solo corpi da cui uscivano respiri, con muscoli che permettevano passi e viaggi e scoperte. E tutte queste esperienze hanno generato cuori sinceri, aperti all’amore, desiderosi di condividere quanto di più importante esiste al mondo.
Era tutto bello nelle nostre teste e in quei cuori; martoriati, ma che speravano di trovare finalmente la cura giusta.
La nostra finestra era già aperta su quanto di più bello potesse esserci, ma…
Ma: congiunzione coordinativa avversativa, esprimente spesso esplicita contrapposizione al termine che precede, il quale è per lo più espresso negativamente.
Me la sono cercata sul vocabolario questa definizione. Ho voluto capire meglio perché, nei nostri discorsi, nelle nostre esperienze, nelle nostre speranze, compare sempre davanti un MA.
Perché noi partiamo, nelle nostre decisioni, armate delle migliori intenzioni. Sempre. Noi siamo Don Chisciotte, noi siamo paladini di una giustizia e di un tipo di vita che difficilmente trova riscontro nella realtà. Noi siamo anime grandi messe dentro mani troppo piccole, che ci stritolano, che ci tolgono il respiro, che provano a farci scomparire.
Non c’è nessuna logica in quello che ci accade. Non so bene quale posto dobbiamo occupare in questo mondo strano, dove le regole cambiano a seconda del giocatore, che ribalta ruoli come in una giostra, che prova a confondere la menzogna con la realtà con una facilità offensiva per l’intelletto.
Non so quante bugie hanno ascoltato le nostre orecchie. Non so quante false accuse ci sono state fatte. False. Tutte. E questo ci ha sempre dato la tranquillità di continuare ad essere ciò che siamo, di continuare a vivere dignitosamente le nostre vite. Senza nasconderci, senza sottrarci a nulla e a nessuno.
Siamo così forti e certi delle nostre posizioni, che abbiamo deciso di affrontare anche un’altra impresa. Titanica. Ma che, per quanto impossibile, non abbiamo mai pensato di non dover vivere. Contro il parere di tutti, ma io sfido chiunque avesse visto e scoperto quello che è toccato a noi scoprire e vedere, a rimanere indifferenti. Avere davanti agli occhi la prova dei nostri timori, la certezza che non c’è limite alla cattiveria e alla brutalità umana. La sfacciataggine di parlare di amore quando non si riconosce ad una persona neanche la semplice dignità che si dovrebbe concedere ad ogni essere umano.
Ancora una volta, come i soliti soldatini di legno armati solo di amore e buona volontà, siamo partiti per la battaglia. Solo non avevamo calcolato che chi doveva essere salvato era già perso. Gli anni di solitudine, di reclusione, di segregazione, avevano ancora di più incancrenito una mente già fragile e un cuore a cui era stato dato, come nutrimento, solo veleno.
Quante cose abbiamo scoperto. E quanto è stato inumano farlo.
Guardare occhi spenti, mani scheletriche, braccia indurite e scoprire che non entrava luce in quegli occhi, che quelle mani non erano capaci di una carezza, che quelle braccia non sapevano più accogliere.
Tutto spento. Nulla scalfiva quella corazza di disumanità, di chiusura, di aridità. Paurosa esperienza.
Passare ore a guardare, ad ascoltare una litania, una necessità malata, una droga che brucia il cervello, un’incapacità di pensare autonomamente, ma solo in funzione di una negatività che ha avvolto tutto.
Pochi chili, poca presenza, poco ingombro, ma devastante. Un virus che ci ha infettate di nuovo. Eravamo state in una botola per anni. Era profonda, scura e pensavamo fosse quanto di peggio potessimo vivere. Poi abbiamo scoperto che qualcuno poteva aprire una nuova porta e farci precipitare ancora più in basso, in un mondo più scuro, melmoso, che blocca i movimenti, che concede poca aria, che ti consuma attimo dopo attimo.
E ancora una volta ci siamo ritrovati a guardare i nostri occhi che quasi non piangono più lacrime, le nostre parole che sono diventate sempre più limitate, le nostre azioni che perdono il loro senso, le nostre giornate che non distinguono più la notte con il giorno.
Trovarsi tra la gente e non avere parole. Camminare e sentirsi distaccate dalla realtà. Affrontare conversazioni e non saper trovare le parole per descrivere quel macigno che si è formato nel petto. Ma la vita continua. Il cuore batte, il cervello lavora, i polmoni pretendono aria per respirare; ci sono impegni da prendere e mantenere, ci sono legami da difendere, quotidianità da affrontare. Come se nulla fosse cambiato, come se tutti i nostri tentativi si fossero persi dentro una bolla di sapone: leggera, trasparente, ma vulnerabile.
Siamo così. Ci vedete camminare, ci vedete vivere, ci vedrete piangere, ci vedrete anche sorridere . Non ci saranno segreti, ma sappiamo bene che non capirete. Non ci sono parole, non ci sono racconti per descrivere ciò che noi abbiamo toccato con mano, ciò che noi siamo state obbligate a vedere e ad ascoltare.
È la nostra vita, è la nostra verità. Ascoltiamo la Parola del Signore che ogni giorno ci dà conforto. Lui sa. Lui conosce ogni nostra lacrima, ogni nostro dubbio, ogni nostro sacrificio. Soprattutto conosce i nostri cuori, quello che custodiamo con pudore, con accuratezza. Perché è nel cuore che si tengono i gioielli preziosi e noi, dei nostri, abbiamo molta cura.
- Sogni
- L’arcobaleno
“Guardare occhi spenti, mani scheletriche, braccia indurite e scoprire che non entrava luce in quegli occhi, che quelle mani non erano capaci di una carezza, che quelle braccia non sapevano più accogliere.
Tutto spento. Nulla scalfiva quella corazza di disumanità, di chiusura, di aridità. Paurosa esperienza.” (Cit.)
Chi non conosce la verità potrebbe anche credere a questo pietoso panegirico autocelebrativo, ma io non posso non rispondere. Non posso continuare a permettere che si violi l’anima e la dignità di persone che io ho sempre amato e continuerò ad amare fino alla fine dei miei giorni.
E quindi rispondo, per dire che IO ho avuto la gioia e il privilegio di guardare senza pregiudizi e senza odio in quegli occhi definiti ‘spenti’, trovandoci luce e amore e al tempo stesso anche dolore profondo per gli interminabili anni di abbandono e indifferenza da parte di quei ‘corpi’ in cui qualcuno sostiene che abitino ‘anime grandi’; ho toccato quelle mani ‘indurite’ scoprendo in loro una morbidezza che da quattro anni purtroppo non sperimento più; ho provato ancora una volta, infinitamente grata, la gioia che si prova quando quelle ‘braccia’ giudicate ‘non più accoglienti’ si avvolgono attorno a te con grande, profondissimo affetto, l’affetto che solo le braccia di una madre sanno donare. Come può, tutto questo, essere spacciato per ‘paurosa esperienza’???
Nulla è spento! La corazza di disumanità, chiusura e aridità NON esiste, se non negli occhi di chi lo scrive. E’ il prodotto di menti, quelle sì, chiuse, disumane, aride, e anche ipocrite. Di menti che pur di non fare autocritica, si nascondono dietro costruzioni vittimistiche piene di prosopopea. Di menti che non meritano ciò che ancora hanno la fortuna di avere – MA che per loro sfortuna sono incapaci di riconoscere.
Non avrei problemi a firmarmi, ma se lo facessi ne avreste voi. Sapete chi sono, non ho bisogno di dirlo. Smettetela di calunniare accusando di abbandoni, perché in questi ultimi sei anni vostra madre è stata accudita e seguita con amore, nonostante la vostra voluta latitanza, e non è stata ‘abbandonata in un ospizio in uno stato di profonda denutrizione’. Se foste state presenti, oggi lo sapreste anche voi.
PS: di solito lo stato di ‘anime grandi’ non si autoconferisce, viene riconosciuto da altri.
PPS: ma…un po’ di umiltà, no???
Leggo questo commento e mi vengono in mente diverse idee, ma credo che bastino poche righe per poter rispondere a questa persona, dursov risalendo alla mail, che dice di conoscerci, si rivolge al plurale, e che io dovrei conoscere; che dice, se dovesse firmarsi, di poterci causare problemi! Troppi giri di parole, si firmi o lasci perdere.
Al tutto rispondo con questo link, pubblicato quattro anni fa, che ha vinto il Primo Premio ad un concorso nazionale sulla Misericordia.
La risposta potrebbe già finire qui, ma mi permetto di aggiungere due piccole considerazioni.
La persona dursov attacca il pezzo commentato, pretendendo di capire e di sapere come perché e per chi è stato scritto, facendo riferimento a persone e situazioni che, “da quattro anni purtroppo non sperimento più”. Mi scusi e allora di cosa parla? Di fatti raccontati? Di esperienze trasmesse?
Se vogliamo partire, con presunzione, dal concetto che si tratti di realtà, già quest’affermazione rende vano e poco credibile il suo commento. Emozioni rispetto a persone reali, e conseguenti commenti e considerazioni si fanno su cose conosciute, su quotidianità vissuta, non sul sentito dire.
E l’ultima precisazione, quella che proprio non ritrovo nel pezzo originale, riguarda questa frase: “abbandonata in un ospizio in uno stato di profonda denutrizione”. Chi l’ha pronunciata? Chi farebbe una cosa del genere? Se per lei, dursov, si tratta dello stesso soggetto del mio testo, personalmente non mi sarei fermata a scrivere un commento accusatorio, ma mi sarei precipitata a verificare le reali condizioni della persona a cui lei si riferisce e per la quale dice, usando tante parole, di provare sentimenti profondissimi.
Nella vita, tra il dire e il fare, c’è un’immensa differenza. Fare, agire, dimostrare con fatti sono alcune delle caratteristiche che contraddistinguono le anime grandi.
Per cui, invitandola a non usare con troppa facilità le parole “calunnie e abbandoni e latitanza”, le rigiro la domanda “ma… un po’ di umiltà, no???”
PS Poi se ha ancora tempo da dedicarmi, mi piacerebbe anche un suo commento sul pezzo del link. Sa, potrebbe scoprire di essersi fatta prendere la mano in un momento di confusione. Si ricordi che la prosa permette l’elaborazione di parole e sentimenti.
Egregia, non ho alcuna intenzione di farmi coinvolgere nella sua polemica e confermo anche qui tutto ciò che ho scritto.
Noto con lo stesso sgomento il continuo riferimento alle ‘anime grandi’, segnalo l’assenza di un qualsivoglia link nella sua risposta, e chiedo solo questo: se è vero che tra il ‘dire’ e il ‘fare’ c’è ‘un’immensa differenza’, lei e i suoi accoliti quale ‘misericordia’ avete riservato alla persona in questione, protagonista dell’incipit virgolettato nella mia risposta?
Negli ultimi sei anni io, per quella persona, ho continuato a essere presente, parlandole quasi ogni giorno, andandola a trovare, ospitandola, seguendola con tutto l’affetto possibile e sopratutto non rinnegandola. Lei può dire altrettanto?
Credo che ogni altro commento sia superfluo con una persona come lei e gliene spiego i motivi.
La polemica l’ha innescata lei, io mi limito a rispondere. Riguardo al link, non è colpa mia se la sua preparazione tecnica, riguardante l’uso del computer è ad un punto tale da non permetterle di sapere che proprio se va su “questo link”, si apre. Ci vuole pazienza.
Poi vedo che ha bisogno ancora di farsi spiegare che dire e fare hanno significati completamente diversi. “Fare” una telefonata, non significa “lavare vestire assistere curare amare etc… etc…”.
Inoltre, la sua tendenza a parlare al plurale è davvero fastidiosa, soprattutto dopo che le era stato consigliato di usare con attenzione vocaboli poco adatti alla situazione. “Accoliti”, è un termine usato con un’accezione dispregiativa, ma forse lei non sa cogliere le differenze nell’uso delle parole come delle azioni. Mi dispiace molto per queste sue lacune.
Addirittura parla di “rinnegare” e, anche in questo ci sono delle forme di verbo passivo o attivo: rinnegare o essere stati rinnegati?
L’ultima considerazione mi nasce spontanea. Non so dove lei sia, ma io vivo in un posto da quando sono nata e in tanti anni non ho mai dovuto cambiare le mie abitudini. Frequento le stesse persone, gli stessi luoghi, ho una vita sociale che cresce e non diminuisce. Se anche gli altri “pieni di misericordia”, come lei, possono dire la stessa cosa, me lo faccia sapere.
E la prossima volta che vuole fare “polemica”, si presenti di persona, visto che il telefono non basta per toccare con mano la verità.