“Ensemble sotto voce”. Musica che va oltre i confini alle Corti dell’Arte
Ensemble sotto voce. Un titolo semplice, semplicissimo per questa nuova serata delle Corti dell’Arte nella Corte del Teatro Comunale nel Complesso di San Giovanni a Cava de’ Tirreni.
Un titolo semplice dicevo, ma che non rende completamente l’idea della bellezza che ci è stata donata. Giovani sud coreane che si esibiscono per la prima volta in Italia e Cava ha l’onore di ospitarle. Di nuovo la nostra città al centro del mondo musicale, di nuovo noi fortunati spettatori di un concerto che, quando Eufelmia Filoselli viene a presentarci, ancora non abbiamo ben chiaro come sarà, ma ce ne spiega perfettamente l’importanza. E quel termine “internazionalità” che spesso usiamo abbinandolo alla Rassegna delle Corti dell’Arte, non è un vezzo, un aggettivo fine a se stesso, ma l’unico possibile per rendere l’idea dello spessore presentato. E d’altra parte, questi scambi di esperienze sono possibili perché anche noi abbiamo musicisti di tale qualità da potersi esibire in Paesi così lontani, come è accaduto per Giuliano Cavaliere, Direttore Artistico della manifestazione, violinista di professione, insieme alla moglie Rina, violoncellista. Scambi, mescolanze, esperienze, collaborazione: tutto ciò che è necessario per permettere crescita e miglioramenti. Dall’apertura arriva la luce, la chiusura è solo buio.
Le giovani artiste hanno studiato tutte in Italia negli anni passati e hanno preparato questo repertorio barocco con una panoramica che abbraccia diversi artisti, da Piazzolla a Händel, Halvorsen, da Monteverdi a Purcell, fino al Trio elegiaco n 1 di Rachmaninov, per concludere poi con canti tradizionali coreani. Al violino Jinsun Jang, al violoncello Dong Namgung, al piano Misun Han e il soprano Jusuk Kim.
Il buio che vediamo qui, adesso, prima di cominciare, è solo quello del cielo scuro che si è preso uno spicchio tutto per sé per poter ascoltare quanto ci sarà offerto. Due piccioni alle finestre sono talmente immobili da sembrare finti, ma questa musica riuscirà a solleticare anche le loro ali.
Le artiste si accomodano. Piccoli accordi. La violinista chiude gli occhi e alza il volto al cielo: un attimo di concentrazione, un modo per entrare dentro quel mondo fantastico che stanno per descriverci con le loro note.
La lentezza del violoncello rallenta anche il nostro respiro, il violino porta qualche nota più su e il piano fa da sfondo a questo quadro che va delineandosi, più che nelle orecchie, nei nostri occhi, nella nostra mente.
Una danza, una rincorsa, l’affanno dello sforzo, la pausa di un attimo per ripartire in fretta. Vita. Dentro e fuori. Suoni delicati e forti sottolineature. Delicatezza che sa scavare in profondità. Piccoli tocchi, corde che vibrano e che fanno vibrare. Ricchezza di dettagli, ricercatezza di qualità.
Per noi solo la certezza di essere in balìa di quelle note, di quegli archetti, di quelle dita capaci e competenti.
E poi arriva lei, Jusuk Kim: la sua voce riempie la Corte e sicuramente va oltre. Il violoncello ci porta per mano in una passeggiata a piccoli passi sotto la pioggia e poi di nuovo quella voce: difficile descrivere come sappia arrivare giù, nella profondità dell’anima e riesca a portare fuori, a piccole dosi, pezzi di dolcezza su un vassoio d’argento.
A lungo non ho scritto perché completamente rapita da quell’interpretazione. Ci lascia.
Il piano riprende; il suo è un suono familiare, le corde degli altri strumenti portano novità, ricerca. Non si accontentano della superficie, vanno ben oltre.
Sono ancora i tasti del piano che rimettono a posto il tumulto che si è creato. Ma dura poco, pochissimo.
L’unica cosa che si può fare è lasciarsi sedurre da questa musica che non ti dà scampo. Un innamorato che ti travolge, un mamma che ti abbraccia, una fiducia che non ammette dubbio.
Piano e voce e siamo in un altro mondo. In un italiano lento ci chiede se abbiamo capito il testo della sua canzone coreana ed ovviamente la risposta è no. Ma non è proprio vero, abbiamo compreso lo stesso: è stata la sua dolcezza, la sua bravura a far sì che le parole non diventassero indispensabili, ma solo il suono, il canto, il piano, riuscissero ad andare oltre la comprensione della lingua.
Continua e noi siamo lì, a cogliere tutto il sentire di un canto dentro uno sguardo e tanta voce. Potenza e delicatezza, compostezza, forza e sentimento. Tutto in un lungo abito azzurro, perfettamente in sintonia con quel pianoforte che suona per lei e per quella storia di bellezza e di amore che sta raccontando per noi.
Un titolo: Mother, sister e sono di nuovo tutte insieme.
Violino e piano; poi voce e violoncello. Come a tenersi per mano, come in un cerchio, come un legame che non può essere sciolto.
Io non so parlare il linguaggio universale della musica e non conosco neanche il coreano, ma vorrei che a loro giungesse chiaro e forte il nostro grazie per una meraviglia che ci ha lasciati davvero estasiati.
Nel saluto di Eufemia, viene fuori il termine “commossi”, che conferma come non sia stata impressione di un singolo, ma vero coinvolgimento generale. E per tanta commozione un bis è doveroso e una splendida “Music for a while” di Purcell, ci regala l’ultimo intenso brivido di questa serata “cristallina”.