Una vita a foglietti

Il cacciatore di aquiloni

Aquiloni

Cava 2/11/10

Ora che l’ho letto, so perché ho impiegato tanti anni a farlo. Non ero pronta per quell’ennesima sofferenza. Non sapevo cosa in particolare, ma dentro quelle pagine c’è troppo dolore.

Ti senti trasportare sulle colline con alberi in fiore, non riesci a sentire l’odore perché non è il tuo, non appartiene alla tua terra, ma sai che chi ne parla l’ha ben impresso nella mente, nel cuore. Poi camminerai nella polvere, tra gli spazi, tra macerie e vittime e anche questo ti farà solo tornare in mente immagini di telegiornale. Ma non basta a metterti al sicuro, a risparmiarti le lacrime, ad importi “tutto in un solo giorno”: perché questo libro non puoi posarlo se non l’hai finito.

Vittime e carnefici. Ogni volta nella vita si recita un ruolo: o l’uno o l’altro. E’ così per la maggior parte degli uomini, non per Hassan. E chissà perché, del dolore atroce di un popolo, come di tanti altri di cui non ho letto, né visto, né sentito, mi resta una luce. E’ in questo modo che immagino questo bambino così buono a cui il destino non risparmia proprio nulla, ma chissà perché mi ricorda la Stella Cometa, la guida verso una capanna, un luogo, un sogno da cui riprendere il senso di tutta una vita.

E mi permetto un altro piccolo pensiero: 15.000.000 di copie vendute nel mondo. Siamo in tanti a sapere, in tanti abbiamo sofferto per la storia di Hassan, di Sohrab, dei lapidati, dei morti per la “pulizia etnica”. Eppure di tutto questo non finisce nulla.

Ci diciamo inorriditi per tante barbarie, ma poi passiamo giorni e settimane a sbirciare dietro le porte della famiglia di Sarah (non so il cognome, mi vanto davvero di non essere tra quei telespettatori). Cosa ci aspettiamo di sentire o vedere? Sembra quasi che ci sia bisogno di sapere fin dove arrivano le bassezze umane. Come puoi fare una gita in un posto dove è stata uccisa una ragazza? Non so quale sia la risposta, io vedo una mancanza di dignità assoluta. Ma tutto questo è il mondo, un mondo però fatto di uomini, di vittime e di carnefici. C’è sempre un ruolo da interpretare e se fossimo certi che la scelta è solo nostra, se prendessimo su di noi qualche responsabilità in più, chissà quale percentuale salirebbe. Vogliamo provare a fare un sondaggio?

E qualcuno potrebbe anche aver notato che, senza la cattiveria di (… metteteci il nome che volete), non avremmo scoperto la grande bontà di Hassan. C’è sempre un prezzo da pagare (!?)

Nota: questa è un aggiunta del giorno 23/10/13. Rileggo queste parole e penso: nei giorni scorsi abbiamo tutti commentato in qualche modo la storia di Priebke. Ma lui quei morti li ha già ammazzati! Perché non ci battiamo per quelli che oggi sono vivi e che, tra l’indifferenza e gli interessi del mondo, moriranno? Forse di loro ci occuperemo con sdegno tra dieci anni.

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