Una vita a foglietti

Lebron James, quel 23 che sa di magia

Siamo quasi alla fine della serie dei playoff NBA. 3 a 0 e la ragione ci deve spingere a pensare e a dire questo, se non fosse per quella dose di follia a cui ci ha abituati quel signore in canottina nera, quel “Cavaliere” senza tempo.

Cavaliers contro Golden State, la sfida infinita. Negli ultimi anni ci sono sempre loro di questi tempi a correre ancora sui lucidi parquet americani. Ma come sono diverse queste squadre, come sono diverse le strade che percorrono durante tutta la stagione!

Golden State deve essere lì, è una squadra quasi “indecente” nella sua formazione. Impossibile pensare di batterla.

I Cavaliers sono l’opposto. Una squadra di tanti giocatori che devono sperare di aggrapparsi a quell’àncora immensa che è Lebron. Eppure, tra le due, non riesco a non fare il tifo che per lui, il cavaliere solitario, l’omone “vecchio” che riesce a migliorare col passare degli anni, che riesce a caricarsi sulle spalle l’intera squadra e accompagnarla come nelle fiabe al ballo del principe al castello. Sembra proprio così. Un cavaliere fatato che con rimbalzi, assist, canestri all’ultimo secondo, tocchi di bacchetta magica, trova la strada per evitare gli avversari e dire, per l’ottava volta di seguito, “in finale vi porto io.”

I numeri dei suoi trionfi riempiono pagine di ogni giornale, non c’è persona nel suo mondo e anche fuori, che non ne riconosca le immense doti e qualità sportive, ma io una piccola cosa la vorrei aggiungere.

Più che su di lui sugli avversari. Se c’è una cosa che impari guardando il basket, a quei livelli poi, è l’estrema forza che mettono in ogni giocata, la grinta, la rabbia, lo scontro, ma come tutto poi finisca all’ultimo quarto. Partita finita, abbracci e rispetto per tutti.

Eppure ci sono giocatori che non riescono ad elevarsi a quella classe immensa che invece appartiene agli eletti.

Stephen Curry ad esempio. Considerato, a pieno merito, uno dei migliori tiratori della storia visto che fa canestri da tripla in condizioni impossibili, che ha visione di gioco, che non a caso è stato premiato più volte come miglior giocatore dell’anno, a me, ditemi quel che volete, non mi scalda il cuore.

Non mi piace il suo atteggiamento da ragazzino che sbeffeggia l’avversario. Su quei campi da gioco, come su tutti gli altri dove si affrontano avversari, deve esistere il rispetto.

Caro Steve, giochi nella squadra più forte della storia probabilmente. Avere come vicini di banco Kevin Durant, Klay Thompson,  Andrè Iguodala, Draimond Green, Shaun Livingston e il resto vi invito a cercarli se non vi bastano, significa avere le spalle non “coperte”, molto di più. Significa che ti puoi permettere di giocare una partita e fare 10 punti come Thompson e vincere lo stesso perché Kevin te ne segna 40 e più, o perché McGee, in una serata di grazia, prende quasi ogni rimbalzo sotto canestro. E sai, in queste situazioni, quelle tue facce da sbruffoncello danno un po’ fastidio, quando sembrano soprattutto indirizzate all’unico che da quell’altra parte sembra abbia qualcosa da perdere.

Perché quello dall’altra parte, quello che è arrivato davvero con la magia del mantello delle fiabe a questa ennesima finale, è quello che quando gioca male ti fa più di 30 punti, quello che ha una media di oltre 40 punti a partita e ne ha saputi fare anche più di 50 perdendo lo stesso. Perché lui, sostanzialmente, gioca da solo. Adoro Kevin Love, George Hill, Tristan Thompson, mi arrabbio con J.R. Smith e non ne conosco molti altri perché le rotazioni in questo quintetto sono minime, perché questa squadra ha allo stesso tempo il più grande e il molto poco, ma questo non ti permette, a mio modesto parere, di deridere quella squadra e in particolare il Cavaliere magico.

Non puoi perché ancora non lo sappiamo cosa sapresti fare tu se giocassi da unico leader e talento in una squadra normale. Chissà cosa riusciresti a vincere, e nel frattempo ti ricordo che tre anni fa, quel signore col mantello, l’anello te l’ha soffiato. Aveva un po’ d’aiuto in più e lo hanno fatto pesare.

Però spero che tu possa crescere perché sei bravo davvero. I tuoi tiri incantano e ammaliano gli avversari. Hai saputo fare, l’altra notte, l’unica tripla su 16 tentativi al momento opportuno; è stata quella che ha spezzato le gambe agli avversari, perché però, nel frattempo, Durant le segnava pure dalla panchina.

Allora impegnati. Il mondo in generale, non solo dello sport, ha bisogno di avere grandi personaggi, di quelli che davvero sanno trasmettere messaggi e valori importanti. Lebron, con la sua vita difficile, ha scelto di essere personaggio trainante.

Io l’ho visto vincere e ho visto che il suo primo pensiero è stato per gli avversari, mai autocelebrazione. Nella finale contro  i Boston Celtic, giovani e talentuosi, quella del suo ex compagno Irving, alla fine ha abbracciato Jayson Tatum come se fosse stato un figlio da rincuorare. Forse era un abbraccio che significava un passaggio di testimone per il futuro. Lui sa guardare in faccia all’avversario, lui sa sempre contro chi gioca. Quello che lui fa finirà sui libri di storia. Lui è “storia in movimento”, come lo definiscono Tranquillo e colleghi, ma tu sei più giovane, potresti pensare di seguirlo su questa strada?

Sinceramente, penso che ti manchi quella polverina magica che fa di una persona un mago o una fata, però prova ad impegnarti, perché la sensazione che si ha sul campo di gioco, anche quando vinci tu, che ad uscire vincitore sia sempre quell’altro. Quello per cui vale la pena svegliarsi nel cuore della notte, quel gigante scuro che sorride poco, ma che, a mio modestissimo parere, al momento ancora ti sovrasta. In tutti i sensi!

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