Una vita a foglietti

Marco della domenica

eucaristiaMarco è lo specchio delle mie domeniche. Con lui condivido l’ora del raccoglimento, le parole delle omelie, il punto delle settimane che passano. Lui è stato presente in un giorno e in un momento unico. Lui è anche quello che legge i miei foglietti. Sempre.

E ieri mi ha fatto un appunto o meglio: mi ha chiesto perché io che scrivo di tanto, non ne avevo ancora parlato.

La domanda stessa ha liberato quelle sensazioni fortissime che avevo provato e che ora cercherò di descrivere, facendovi però prima una veloce premessa. Don Antonio aveva raccontato qualche domenica fa di un’ostia trovata a terra in una chiesa in Sud America e calpestata. Portata al parroco, fu messa in un bicchiere d’acqua nel tabernacolo della chiesa e lasciata lì tutta la notte, prima di decidere cosa farne. Quando al mattino fu ripresa, l’acqua era diventata sangue, come avrebbero rivelato successive analisi. Altre indagini affermeranno che era sangue del gruppo AB, se ricordo bene, che è quello di tutti i miracoli e che veniva dal cuore di una persona calpestata. Questo racconto è ben impresso nella mia mente  e poi…

…eccoci alla solita messa della domenica, mattina presto. Purtroppo c’è un funerale e quindi tanta gente. Ovviamente è forte la percezione del dolore, del raccoglimento della famiglia, della partecipazione di tutta la comunità. Anche leggere dà una sensazione diversa.

E arriva il momento della Comunione. Le ostie che si portano verso l’altare e il cenno della mano del prete che chiama. Il primo pensiero ovviamente è che sia per Marco, lui è parte della Chiesa. Invece è per me. Rimango per un secondo, che è un anno nel mio cuore, ferma a cercare di immaginare e capire cosa significa ma i piedi sono già partiti e mi ritrovo con il calice delle ostie in mano. Io che prendo “il Corpo di Cristo” con le mie piccole, terrene dita.

Sono talmente emozionata che con la prima persona, che poteva solo essere Marco, invertiamo le frasi di rito. Ci guardiamo e capisco che ora sono dall’altra parte e ho un altro compito. Tocco quei cerchietti di Pane che mi danno i brividi. Ho paura di quello che sto facendo, ma sono sicura che Dio perdonerà il mio tremore e il mio modo di guardare negli occhi le persone che mi sfilano davanti. E’ un momento unico, un’emozione, un onore che ricorderò per tutta la vita. Una foto che non è stata scattata ma che rimane nell’album del mio cuore come un marchio inciso con il fuoco.

Quando tutto finisce e torno al mio posto, devo avere ancora la faccia stravolta.

La signora nel banco dietro di me, mi guarda e mi dice qualcosa sull’emozione che deve aver percepito in me e mi sembra che tutta la comunità abbia capito che quella era la mia prima e forse l’ultima volta chissà, che vivevo un’emozione così forte. Mi veniva da piangere e ridere, ero tanto e niente contemporaneamente. C’era la grandezza del gesto e la certezza del nostro essere piccolissimi in quella immensità. Quante cose.

E poi le domande: “è possibile?”, “non è possibile?”, come mai. E quindi la spiegazione di Don Antonio che ci dice che ci sono preti e diaconi che possono dare l’Eucaristia, e poi ci sono ministri straordinari individuati in suore, catechiste persone cioè “abilitate” a farlo. E poi ci sono ancora casi particolari, in cui il parroco può decidere in maniera arbitraria, che una persona può aiutarlo nel distribuire la Comunione.

Ed è quello che è successo a me. Io, la pazza per eccellenza, io quella sempre pronta a fare questioni con tutti per principi in cui sembra che non creda più nessuno, io: ho avuto questo onore.

Sono stata in apnea quasi tutto il giorno, ho chiesto con occhi sgranati alla fine della messa come mai quella scelta e un sorriso di tranquillità mi ha rimandata a casa.

Così capita che in un momento qualsiasi si può essere scelti per un compito importante. E il nostro cuore deve essere pronto. Questo è quello che Dio guarda. Non i nostri peccati, le nostre debolezze, ma il nostro cuore, la voglia che abbiamo di migliorarci e migliorare le cose che abbiamo intorno. Questo credo debba essere la molla delle nostre azioni, lo scopo delle nostre giornate.

Questi pensieri sono rimasti chiusi in cassaforte per giorni e giorni, come se fossero troppo grandi per essere esposti, come se non potessero o dovessero essere conosciuti. Ma proprio quella domanda di Marco ieri, ha trovato la combinazione per tirarle fuori. Se lui, che era lì presente, ha avuto bisogno di sapere cosa fosse rimasto nel mio cuore dopo aver letto il mio volto nel momento in cui accadeva, allora c’era proprio bisogno di parlarne. E dunque questa pagina è dedicata a te caro amico d’infanzia.

Se quarantacinque anni fa più o meno, ci avrebbero detto che ci saremmo ritrovati nei banchi di una chiesa, non ci avremmo creduto  sei convinto? E invece… quante sorprese che ci regala questa splendida imprevedibile incredibile difficile vita.

 

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