Rassegna Li Curti: Peppe Miale
Si aspettava la seconda serata della III Rassegna Teatrale Premio Li Curti a Cava de’ Tirreni, perché le premesse dell’evento erano state ottime: Rosaria De Cicco aveva aperto in maniera formidabile la Kermesse di Geltrude Barba, direttrice artistica dell’evento. E dunque c’era attesa ieri sera, visto che è in corso una gara che dovrà decretare un vincitore finale, e a stabilirlo sarà la giuria presieduta da Franco Bruno Vitolo con i suoi preziosi collaboratori Angela Vitaliano, Anna Maria Borri, Maria Silvestri e Guglielmo Cirillo.
Nel sempre splendido scenario di Santa Maria al Rifugio, con una luna che ha preso posto in prima fila pronta anch’essa a curiosare e a chiedersi come mai si vedevano, su muretti e sedie, delle macchie di colore azzurro, viene presentato da Carmela Novaldi e il suo sorriso contagioso, il protagonista della serata: Peppe Miale.
Entra esibendosi subito in un palleggio che non è dei migliori, perché noi siamo abituati ad altro, ma lo perdoniamo visto che la colpa è sicuramente del pallone, di quelli buoni per la spiaggia, non per il talento necessario per un vero tifoso: il tifoso del Napoli.
Si, Peppe Miale ci racconterà una storia di sofferenza e di gioia, scritta da un artista della penna, Maurizio de Giovanni, padre del famosissimo commissario Ricciardi, che ha già varcato da tempo i confini nazionali, con traduzione dei suoi best seller in tante lingue e con riconoscimenti titolati anche su giornali di importanza planetaria come il New York Times.
Ma Maurizio de Giovanni, oltre alla maestria con cui scrive i suoi gialli, ha un’altra grande passione, che non è da meno: quella del Napoli calcio. Quel qualcosa che però qui da noi si trasforma in altro: “malattia”. Di quelle che non si capisce che origine hanno, ma che continuano a ripresentarsi “per contagio”, per “trasmissione genetica”, non si sa di preciso, ma non se ne trova la cura.
E dunque inizia il viaggio, perché sarà lungo gli 800 km circa per arrivare lassù e quelli del ritorno quaggiù, con colonne sonore quasi improponibili oggi come alllora, che si consumerà quella che non è solo la trasferta di una partita, no: è il condensato di quello che può rappresentare il calcio.
Potrei davvero dire tanto sugli spunti che vengono fuori da una serata “leggera” come quella che abbiamo vissuto ieri. E’ stata divertente fino alle lacrime; Miale non sembrava che stesse raccontando la storia dei tifosi, ma che quella partita la stesse giocando lui stesso a giudicare dall’adrenalina che “chissà se è liquida”, correva negli occhi pieni di stupore mentre assistevano al pareggio, spingeva le mani che applaudivano e cercavano compagni per abbracciarsi quando si è andati in vantaggio, e giustificava il corpo ormai stremato e appagato alla realizzazione del terzo gol, quello che sanciva la vittoria finale.
Raffaele, Luigi, Salvatore e il protagonista sono il concentrato del tifoso: in loro sono rappresentate tutte le paure, le gioie, le aspettative, le delusioni che attraversano la storia di un club e di chi vi partecipa da “semplice” spettatore, ma in realtà da vero, indispensabile, dodicesimo uomo in campo, perché su quegli spalti si porta tutto quanto si ha nel cuore e comunque vada, si è sempre pronti a riprovarci, nel bene e nel male. Il tifoso del Napoli ha da sempre imparato a perdere, ma non ha mai smesso di sperare di poter anche vincere e per questo vuole esserci, perché ogni domenica “può essere quella buona”.
Io amo questo sport e sono tifosa del Napoli. E non posso raccontare questo spettacolo con gli occhi di una persona qualunque. Non posso e non voglio essere solo spettatrice. Io ho sofferto quando ho ricordato la sufficienza con cui ci guardano “quelli del Nord”; quando quelli che vincono sempre si aspettano solo di continuare a vincere; ho pronunciato (Maradona) quel nome che, Peppe Miale non ha mai detto pur dicendolo sempre, non si può dire e l’ho visto prendere in mano partite e storie di vita come pochi altri hanno saputo fare.
Ecco quello che vorrei aggiungere: il calcio viene spesso usato, strumentalizzato perché ruota ormai intorno a troppi interessi e molte volte, pensare e parlare di calcio, può sembrare argomento futile e soprattutto inutile. Invece credo che, in qualcosa che sa smuovere le masse come fa il pallone, si dovrebbe saper leggere molto di più di una semplice “fede” per chi non ha “veri” interessi.
Un grande della nostra storia, un certo Mandela, che forse qualcuno ha sentito nominare, quando salì al potere, cercò proprio nello sport popolare, il rugby per loro, il mezzo per divulgare un messaggio di pace e convivenza che potesse arrivare a tutti. Quando si ha davvero voglia di dire e soprattutto fare qualcosa di buono, si devono aprire le porte di tanti cuori, di tante menti. E lo sport può avere questo compito. E’ per le masse, è una cosa semplice e grande allo stesso tempo e se lo lasciassimo anche pulito sarebbe una limousine di lusso con cui spostarsi, per un viaggio di ritorno veramente “in discesa”.
Vi aspettiamo al prossimo appuntamento, quello del 17 agosto: come vedete le nostre serate non sono mai banali!
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