Una performance straordinaria di Giuliana Carbone in “Giorni felici” di Beckett
Un manifesto a fondo nero con piccoli caratteri bianchi racconta ciò che avverrà al di là della porta mimetizzata del Centro Asterix di San Giovanni a Teduccio.
“Giorni felici” di Samuel Beckett, con Giuliana Carbone e Gianandrea Ventrella, regia di Mariano Bauduin.
Prima di andare a vedere questo spettacolo si dovrebbe essere preparati, mi chiedo?
L’opera in scena è praticamente un monologo anche se i personaggi sono due: Winnie e Willie. Un lui e una lei, marito e moglie, che raccontano un rapporto che si definirebbe facilmente unilaterale: Winnie ha il pieno dominio della scena e del discorso.
Ma come sempre possiamo andare ben oltre. Willie c’è ma non c’è. La sua presenza, per la maggior parte del tempo immaginata, è un messaggio forte delle vite che esistono senza lasciare segno. O lo fanno proprio con la loro indolenza. E questa passività li relega in secondo piano, li fa scomparire dalla scena, sulla quale si erge, letteralmente, Winnie.
La scenografia è semplice e diretta. Una montagna verde, con margherite ad abbellirla. Sembra accogliente, buona, peccato che al suo interno vi “abiti” la protagonista. Winnie compare a mezzo busto. La valigia che l’affianca è piena di tutto ciò che le serve e sono tutte cose estremamente inutili: specchio, spazzola, limetta per le unghie, pistola…
È proprio da quella montagna che scopriamo Winnie e la sua vita. Essere a mezzo busto significa che una parte di lei è già scomparsa, ma non sembra che le importi particolarmente: “Un altro giorno felice” cinguetta, tra sorrisi isterici, continua pulizia di occhiali che non le permettono di leggere i piccoli caratteri incisi sullo spazzolino da denti, discorsi vani e richieste di attenzione a quel Willie che, in abbigliamento intimo, si concede al pubblico ma solo per mostrare la schiena. Una scelta di anonimato, una continua affermazione di un esserci ma non aver peso. Un accenno di vita lo concede mentre si regala una masturbazione rumorosa che sconvolge Winnie, ma solo per un po’. Poi passa. E il suo raccontarsi, il suo riempirsi di parole, continua, continua…
Secondo atto, comincia “un altro giorno felice”. Un’altra parte di Winnie è scomparsa. Le è rimasto il cappello con i fiori allegri in testa, gli occhiali da sole e basta. Non più le mani neanche per aprire l’ombrello, non più il busto per cercare una torsione che le desse l’illusione di controllare Willie.
Una testa. Una bocca parlante. Neanche gli occhi tormentati dalla precedente pulizia… Solo una testa.
Ed è così che Winnie ha continuato ad augurarsi “un altro giorno felice”, così ha continuato ad illudersi di poter ignorare quanto la montagna delle sue illusioni, delle sue ipocrisie l’avesse tanto sommersa da lasciarle ormai pochissimo spazio. E in quella estrema, indistruttibile cecità, dopo aver avuto il regalo finale di un Willie in frac e tuba che le appare finalmente davanti a regalarle un bacio fuggente, tutto si spegne.
Questo lo spettacolo. Ora mi rimane Giuliana. È lei la protagonista di questa serata e non per l’ovvio motivo di aver impersonato Winnie. Lo è perché è stata fantastica, meravigliosa, affascinante, intensa, vera.
Mi permetto di dedicarle questi aggettivi perché ho la fortuna di conoscerla, di sapere dei suoi 26 anni, dei pochissimi giorni che ha avuto a disposizione per imparare un testo che è, solitamente, un banco di prova per le GRANDI ATTRICI. Perché a uno spettacolo così, come ha detto il mio amico Franco, “o tiri i pomodori, o ti inchini all’attrice”.
E noi ci siamo inchinati. Qualcuno si è pure inginocchiato.
Le ho visto fare tante cose fantastiche ma stasera Giuliana ha spiccato davvero un salto verso l’alto. Non so quanti avranno la fortuna di vederla, ma spero che in tanti capiscano le sue indiscutibili doti.
Sembrava che tutto fosse partito da un manifesto in bianco e nero, ma in realtà quel centro sociale aveva già previsto tante altre cose.
Mentre camminavo nell’attesa dello spettacolo, ho visto mura colorate, porte con occhi e bocca, pareti dove i quadri della luce continuavano ad esplodere oltre il loro spazio, invadendo quelli intorno vuoti e altre che permettevano viaggi interstellari. Ho visto abiti di scena de La gatta Cenerentola, ho visto manifesti di spettacoli tra cui ho riconosciuto “All of me” di Renata Fusco.
Ho visto tutto prima e ho capito molto di più dopo. Guardiamo tante volte cose dall’esterno e non sempre riusciamo a percepire il grande tesoro che si nasconde all’interno.
Come Giuliana stasera: dopo averla vista brillare per anni, ci ha mostrato il diamante vero che c’è in lei.
- “Attimi di vita” il calendario di A.P.D.D.
- In memoria di Luca – I 50 anni degli Sbandieratori Città De La Cava