A Santa Maria al Rifugio mostra dell’Accademia di Arte e Cultura
Una mostra d’arte, una collezione di idee e pensieri e concetti espressi con tele, ceramiche, foto, materiali vari. Come sempre arrivo tardi, dopo che tanti hanno già detto e fatto perché l’Accademia di Arte e Cultura arriva alla XXV Edizione ed ha ormai il sapore dell’evento internazionale, ma non ho la fretta di chi deve “per forza” raccontare qualcosa. Sono in quella condizione, forse di privilegio, che mi permette di cogliere tutto nella massima libertà. Non in senso di pensiero, perché quella credo di averla rispettata sempre, ma in termini di citazioni. Posso omettere qualcosa, posso evitare nomi e cognomi e lasciare che le uniche protagoniste siano le sensazioni. Lasciate ancora di più a briglia sciolta, libere di fermarsi dove vogliono, di cogliere ciò che prevale.
Così, equipaggiata di niente mi avvio nelle sale. Li guardo tutti e sembra che ognuna di queste immagini passi attraverso i miei occhi senza posarsi mai. Mi colpiscono i disegni dei bambini, età che mi viene spiegata dal foglietto illustrativo e non da ciò che vedo, che mi sembra, al contrario, abbia dei tratti talmente decisi che difficilmente avrei associato a dei dodicenni.
Poi all’improvviso vedo la differenza, intuisco la “mano” diversa, i paesi di origine straniera degli artisti e capisco il senso d’appartenenza, le radici che li hanno nutriti. Non tutti mi hanno entusiasmato, ma chi lo ha fatto, è entrato in maniera prepotente. Senza un motivo “tecnico”, senza saper riconoscere la reale presenza di un talento, ma solo fidandomi di quel colpo al cuore che ha saputo generare.
C’è una Madonna o una madre, che sempre Madonna diventa, che abbraccia il suo bambino. Rilievo su legno e quello spessore sembra rivolgersi verso di me e regalarmi un po’ di quel calore che dona tanta pace al piccolo. Pace. Ne serve tanta.
E poi quei due quadri ad angolo.
Grandi, che raffigurano grandi volti. Colori scuri ma vivi e forti e occhi brillanti. C’è un racconto dentro quegli occhi. Sono rivolti verso qualcosa che non vedo, qualcosa che non so neanche se la vedono loro; qualcosa che può significare paura, sorpresa, rassegnazione. Ma non speranza. Non la trovo. E questa sensazione di qualcosa che non può cambiare mi cattura. Anche il bambino portato sulle spalle non rende un reale pensiero. Il suo sguardo volge altrove, in mano porta ciabatte, come a delegare ad altri la scelta della strada che dovrà percorrere.
Li guardo da tanto, continuano a parlarmi: non so se capirò tutto quanto hanno da dirmi.
- Incontri ad Hyde Park
- “Hope, fame di vita” – Associazione Arcoscenico