Ancora un altro sogno.
Mi sveglio con una voce narrante nella testa. E il racconto non mi piace.
C’è un campo di prigionieri, c’è in particolare un uomo che è stato vicino a qualche importante leader decaduto. E’ bello, con lui c’è anche una figlia. Gente perduta. Si prostituiscono. Non apro gli occhi. Non ci voglio pensare, spero che, come spesso accade, il sogno svanisca con la luce del giorno.
E invece è lì. Il viso barbuto di quest’uomo con gli occhi spenti, ma ripeto belli. Cosa vogliono da me? Ricordarmi quanta gente c’è in giro senza nome, senza storia, ma che un nome ce l’ha, e anche una storia? Ma non hanno voce, non c’è chi li guarda e li ascolta. Per questo vengono a me? Mi dico che è un sogno, ma non mi convinco. C’era troppo. E’ uno di quei “miei sogni” che non mi abbandonano, che chiedono di essere ricordati e intrappolati. Come la sua prigionia lo incatena, così queste parole devono essere scritte. Per raccontare qualcosa che non so, di qualcuno che non conosco. Ma è una storia che c’è, di un essere umano che chiede aiuto. E ora la sua voce è qui.
- Due pagine, tante domande.
- Meglio ignoranti che pensanti.