“Basta, vado a dormire” a cura di Rita Francese
Pensare di scrivere una “recensione” del libro scritto a 100 mani “Basta, vado a dormire” (Les Flauners Edizioni), mi sembra riduttivo. Almeno per quello che intendiamo in maniera classica.
Il libro, a cura di Rita Francese, raccoglie le testimonianza di altre famiglie, di altri genitori che come lei vivono la solitudine a cui condanna l’avere in casa una persona autistica. La gestione di bambini e poi nel tempo uomini con questa problematica, diventa una montagna insormontabile, un fume in piena che fa deragliare vite, diventa un macigno che cancella la tua stessa vita, ma allo stesso tempo di permette di guardarla in un modo che non avresti mai lontanamente immaginato, e che per anni, non hai potuto condividere. Solo loro sanno la ricchezza di quelle anime pure imprigionate dentro corpi ingombranti, ma non sempre hanno il tempo e la forza per gioire di queste scoperte.
Per questo sarebbe facile ripetere una delle tantissime frasi di dolore, di rabbia, di frustrazione che emergono da tutte quelle pagine. Facile, ma sarebbero solo parole aggiunte. E non credo che Rita Francese e le sue numerose amiche ed amici ne vogliano sentire altre. Anche perché noi, quelli che non viviamo le loro giornate, non conosciamo il loro dolore, la loro rabbia, la loro frustrazione, fino a che punto possiamo davvero capire che razza di vita vivono?
Siamo per certo indignate leggendo queste pagine, lo siamo state anche per Ettore qualche anno fa, ma da allora continuiamo le nostre di vite, mentre di Oreste, Flavio, Maria Paola, Ciccio e tutti gli altri, non ci siamo occupati mai più.
Ma a questo libro non possiamo concedere di essere messo in libreria insieme alla collezione che già abbiamo. Questo libro dovrà stare sul tavolo, ma soprattutto nella nostra mente.
Come possiamo restare indifferenti?
Sopportiamo i morti nel Mediterraneo giustificandoli con la sicurezza nazionale, assistiamo a bombardamenti che ammazzano civili, ma basta un click del telecomando per renderli ricordi e non più realtà. Leggiamo di questo abbandono in una società che si vuole definire civile e che facciamo? Ci giriamo dall’altra parte?
Io non ho mai “vissuto” un bambino autistico. So qualcosa che li riguarda e quando li vedo non mi meraviglio di ciò che fanno, ma quanti di noi sanno cosa significa vivere con loro? IGNORANTI. Noi ignoriamo una condizione che nessuno vuole spiegare, che è molto più facile circoscrivere nelle quattro mura di una casa.
Ma adesso queste 100 mani, e di sicuro molte di più se ne potranno aggiungere, l’hanno aperta la porta di casa e hanno anche dato voce ai loro pensieri, portando fuori un problema che non possono più vivere da soli. È inumana la condizione della loro vita. È inumana l’assenza di assistenza per tutto quello che devono sopportare.
Ripeto: non lo so cosa significhi vivere con un ragazzo che devi guardare “a vista”, che ti tiene sui carboni ardenti h24, che devi tutelare e da cui ti devi difendere. Ma se esistono ragazzi così, allora deve esistere una soluzione.
E “La casa di Oreste” potrebbe essere proprio quello che serve: un luogo dove possano interagire ragazzi autistici, operatori qualificati e anche turisti. Il progetto c’è, bisogna attuarlo.
E allora cari politici, perché ci siete voi come sempre, in cima alla lista, stavolta dovete darvi da fare.
Sull’impegno delle famiglie coinvolte non ho, ovviamente, nessun dubbio, ma vorrei che questa volta, per una volta, noi “normali”, ci muovessimo per qualcosa che pure non ci riguarda da vicino. A parte il fatto che chiunque potrebbe entrare a far parte di questo “club”, abbiamo mille altri motivi per pretendere anche noi che questo Stato, che ci opprime per tutelare interessi personali, possa cominciare a ricordare che esiste PER NOI. NOI siamo lo Stato. Le tasse, i sacrifici quello che diamo, deve ritornarci sotto forma di servizi.
Chi ha bisogno deve ricevere perché non è vero che non ci sono soldi per tutti: non ci sono perché vengono gestiti male.
La lotta allora non sarebbe solo per i bambini autistici, ma per una società diversa, dove l’individuo deve poter contare qualcosa. Non lasciamoli soli. Non lo meritano loro e non lo meritiamo noi.
Se ci guardassimo intorno, ognuno troverebbe qualcosa per cui pretendere migliore dignità e rispetto.
Allora iniziamo una lotta per arrivare a parlare della qualità della nostra vita.
Dalla soluzione di un problema, potrebbero nascerne molte altre ancora.
- Povera Juve
- Cava tra due fuochi