Ciro Esposito – “La Cosa, dove porta quest’abisso”
Versione completa per una serata particolare. Parole dedicate ai protagonisti più che agli spettatori, che hanno avuto comunque modo di sapere della bellezza dello spettacolo messo in scena.
La seconda serata della Rassegna Invernale Li Curti, ve la racconto a modo mio. Ovviamente direte voi, sono io che scrivo, ma non intendevo questo. Ve la racconterò con una premessa, per quello che mi ha insegnato, per quello che mi ha obbligata a pensare. I presenti potranno ribattere, gli assenti dovranno fidarsi: o meglio potranno riflettere, che è la cosa che a me è capitato di fare da quando si è chiuso il sipario del Tennis Club.
La prima serata ci eravamo lasciati con la certezza che Cristian Izzo, primo protagonista della rassegna, sarebbe stato ancora con noi: quanto sarebbe stato ancora presente, non lo potevamo immaginare, anche se ha esaudito un mio, e forse non solo, desiderio: “poter rivedere al più presto uno spettacolo così”.
E come spesso accade i desideri si avverano e allora… ci siamo trovati di fronte una sempre bella e gioiosa Carmela Novaldi, forse per la prima volta un po’ in attesa anche lei degli sviluppi della serata, che ci anticipava di come alcuni tratti della matita di Cristian, che avevano disegnato un’idea in bianco e nero, si sarebbero trasformati in un’opera a colori completa.
E quest’opera d’arte noi l’abbiamo ammirata e ve la racconterò dalla fine, da quelle che sono state le conclusioni a cui sono arrivata.
Cristian Izzo ha scritto un pezzo in cui raccontava alcune delle miserie degli uomini. Ma le miserie degli uomini sono sempre le stesse: ignoranza, avidità, egoismo, amori sbagliati e tutti le viviamo. In cosa consiste la differenza tra un uomo che odia e un altro? Dove valutiamo l’egoismo di un essere rispetto ad un altro? Quando capiamo che un amore è diventato sbagliato invece che essere quello “per sempre”? Quando questi sentimenti sono vissuti da persone diverse!
E allora non è più la stessa commedia quella che andiamo a guardare, perché i quattro professionisti che ci ritroviamo di fronte, Ciro Esposito (Ernesto), Ivan Boragine (Giovanni), Cristiana Dell’Anna (Marisol) e Gabriele Rega (Andrea), anche dando vita ad una situazione che prende lo stesso spunto, ne creano una assolutamente nuova, inedita: “La Cosa, dove porta quest’abisso” , interpretazione che merita il rispetto, l’attenzione e gli applausi di chi ha avuto il piacere di ammirarli.
E ora vi posso raccontare cosa ci hanno regalato.
Il palco non è spoglio, un divano, un televisore, un telo che riporta in sala quelle che sono le immagini trasmesse dalla grande madre televisione e una sedia a dondolo: quella dov’è morta la cara zia!
Ma non è il vecchio Ernesto il padrone di casa che in maniera confidenziale ci accoglie in pantofole, sul salotto dove potrebbe essere in attesa della partita del Napoli, che forse stasera guarderebbe per davvero, ma che in realtà sta già assorbendo l’ennesima notizia negativa e inverosimile che viene trasmessa, in un gioco di confusione che cancella il limite tra ciò che è dentro e fuori dalla “scatola”. Ernesto è un fallito già conosciuto perché somiglia a quell’innumerevole quantità di persone che affidano la propria vita alle sorti del gioco pur di non affrontare l’esperienza del lavoro, che è sì difficile tesoro da trovare, ma che se si può evitare è meglio.
La forza di queste convinzioni, ci fa addirittura assistere ad un doppiaggio del film 300, tra il mitico Leonida e la sua coraggiosa moglie, che cambia la loro reale lealtà, in un dialogo di pochissimo spessore, indegno del loro tempo, ma che calza a pennello con le tante conversazioni che vagano nei nostri salotti.
È un altro Giovanni il cugino che scopre la condizione di recluso di Ernesto, a cui ha rubato la moglie Marisol, ma che, nel monologo che ci regala, parla della difficile condizione dell’essere serio, del vivere da onesto. La gente preferisce il perdente: non ha responsabilità e ispira maggiore simpatia.
Marisol fa testo a parte. Lei non esisteva neanche. E questa brasiliana, napoletana, Donna soprattutto, ci regala un misto di sfacciataggine, amore materno e carnale, sensibilità. Quando veste i panni naturali della condizione della donna, tutte noi ci siamo sentite chiamate in causa, tutte abbiamo capito quale era il senso delle sue parole.
E assolutamente l’amico Andrea, non lo riconosciamo. È sì quello che non capisce mai le situazioni al primo colpo, che crea confusione e che viene investito dell’importantissimo compito di ridare libertà e dignità a Ernesto. Ma questo nuovo Andrea ribalta la sua condizione di stupido. È lui che gioca con le paure degli altri tre. È lui che sfrutta l’annullamento verso la televisione che diventa il mezzo per manipolare le loro vite.
Quattro attori, ognuno con un passato breve ma ricco. Ciro dai suoi esordi con Io speriamo che me la cavo, Ivan dalla serie Gomorra, Cristiana da Un posto al sole, Gabriele da Colorado, insomma un poker d’assi che ha messo in gioco molto su questo palco stasera, ma la posta impegnata è ritornata ampiamente nelle loro tasche.
Nella storia che ho brevemente narrato, tutto è stato raccontato e vissuto in maniera impeccabile. I quattro protagonisti, sono riusciti a farci ridere delle loro miserie, facendoci dimenticare che sono le nostre. Quella musica da Profondo rosso, che ci ha fatto sobbalzare dalle sedie, che ha risvegliato le paure che sono nascoste dentro ognuno di noi quando sentiamo che LA COSA si sta avvicinando, ha messo a nudo una verità scomoda, come spesso diventa la verità, perché eravamo anche noi seduti su quel divano, pronti ad affidare la nostra vita alla televisione; anche noi, come Ernesto, vogliamo tutto nel modo più semplice possibile; anche noi come Ivan viviamo vite che non sappiamo più riconoscere come le nostre per scelta o perché “è giusto così”, ma non ne troviamo soddisfazione; anche noi come Marisol, mettiamo in mostra le nostre “forme”, pensando di abbreviare la fatica del nostro cammino, nascondendo quel mondo di sentimenti e di sensibilità che invece è l’essenza del nostro essere; anche noi come Andrea, vogliamo passare per “fessi”, se questo poi ci permette di affondare il coltello nello stomaco del nostro caro vicino e appropriarci delle sue ricchezze.
Quando Carmela Novaldi ritorna sul palco, ha un’aria decisamente più rilassata mentre saluta i suoi graditi ospiti. Mi colpisce il gesto spontaneo di Cristiana che, essendo stata fino a pochi istanti prima una provocante Marisol, quando riveste i suoi abiti civili, ricompone quella scollatura che le era servita per attirare di nuovo l’attenzione dell’ex marito. Gesto di una dolcezza infinita. E poi abbiamo visto Geltrude Barba, Direttrice artistica della Rassegna come ben sapete, che credo che stasera abbia affrontato una forma di esame di maturità a cui non era preparata, che non avrebbe voluto vivere, ma che ha superato brillantemente, con il coraggio e la forza che la contraddistingue.
Come ultimo ricordo lascio Ciro Esposito. Lui è il timoniere di questa barca e la prima cosa che ha fatto, è stata quella di ringraziare la sua ciurma. Sa di aver chiesto loro molto e molto ha ricevuto. E quando gli viene chiesto un piccolo ricordo “alla memoria”, parte con quel breve pezzo in cui si annuncia che ci saranno tre porte ad attendere gli uomini alla fine del cammino: quella grande dell’Inferno dove si piange solo, quella media per il Purgatorio dove un po’ si piange e un po’ si ride, e quella piccola piccola del Paradiso, dove ovviamente ci sarà solo gioia. Ed io? IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO
E in realtà caro Ciro, dopo averti visto in diretta circa 25 anni fa, rivedendoti stasera con gli occhi pieni di gratitudine per quello che hai costruito, ti dico che, secondo me, te la sei proprio cavata.
Questo ultimo pensiero è per gli addetti ai lavori.
Ogni ambiente ha le sue regole non scritte. Regole che nascono dal rispetto per lo stesso sudore, per lo stesso timore, per la stessa passione per questo mondo chiamato teatro.
Se qualche regola è stata infranta, deve esserci stato qualche motivo che a noi oggi non è ancora dato di sapere e quindi di comprendere appieno. E allora l’invito è che ci sia una spiegazione. In ballo ci sono personaggi troppo “giovani” per non pensare di incrociare di nuovo le loro strade e già troppo “maturi” per sapere che è meglio non caricare il proprio cammino di zavorre inutili e ingombranti.
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