Da Patrizia al mondo. Saluto e riflessioni
Ciao Patrizia, non sono certo io la persona che potrebbe fare la giusta presentazione di chi tu sei stata.
Non sono io la persona con cui hai condiviso tanti dei tuoi studi e delle tue battaglie.
Non sono io, ma nella tua morte, io raccolgo un pensiero che mi avvolge da tempo. Dai tempi di questa pandemia, dai giorni in cui la Morte è diventato un numero da comunicare.
Il tuo funerale sarebbe stato seguito da tantissime persone, tantissimi amici che hanno camminato con te, che hai incontrato nel corso delle ricerche e che hanno sorriso con te ai tuoi successi.
Ci sarebbe stata una Chiesa stracolma, dove lacrime e abbracci non si sarebbero lesinati, dove il segno della pace sarebbe stata ancora un’occasione per sentici vicini e invece tu, per quel che mi risulta, sei la prima persona “famosa”, che ci lascia obbligandoci a pensarti e a salutarti da casa, dietro una scrivania, in compagnia di un monitor, di una musica che sa di preghiere.
La Morte ai tempi della pandemia. È un pensiero ricorrente. Le bare in fila, l’esercito che le porta via, gli ultimi respiri mai accompagnati da sorrisi e carezze.
La Morte in questo periodo di grande globalizzazione, è ancora una volta il nostro controsenso. Una pandemia, il mondo intero coinvolto, Nazioni che cercano aiuto con lo Stato vicino e lei lì, sovrana, a dispensare Solitudine.
Come devo leggerlo questo messaggio?
Siamo chiusi in casa per la terza settimana e ancora ne trascorreremo così. Abbiamo sofferto per le privazioni degli affetti, delle comodità, come anche delle banalità. E da lì già arrivava questo messaggio sottile ma forte, un filo d’acciaio, che ci legava tutti ad uno stesso palo e ci imponeva di chiederci “chi siamo?”.
Siamo esseri sociali ma siamo valori unici. Viviamo in comunità ma seguiamo istinti egoistici. Amiamo le persone che ci stanno accanto ma non sempre sappiamo dirlo. Altre volte invece diciamo di amare senza comprendere il significato di questo sentimento.
“Chi siamo” “Voi chi dite che io sia?”. Domande famose, domande profonde.
Domande che implicano una responsabilità che fino ad oggi per molti non era ben chiara, anche se, con le famose parole, fin troppo spesso era stata evocata.
Ieri Conte ha detto, tra le tante cose, “non sarò più lo stesso” dopo questa esperienza. Nessuno di noi lo sarà. Nel bene o nel male lo diranno i posteri. Ma voi che governate, oggi, come vi sentite?
Lungi da me una discussione politica. Sono riflessioni. Di quelle che andrebbero fatte prima di candidarsi, prima di entrare in una cabina elettorale, prima di sparare a vuoto sentenze e colpe che nascondono interessi.
Una sola cosa oggi voglio sottolineare. Stanno chiedendo una raccolta per la Protezione Civile per aiutarla ad aiutarci. Benissimo. Grande spirito di sacrificio e di solidarietà in cui sappiamo ben figurare.
Ma la domanda è, come mai oggi si reputa così importante la salute pubblica e ieri no? Che forse morire a febbraio o a gennaio, era meno doloroso di oggi? Dove sono tutte quelle firme che hanno permesso tagli alla Sanità, come alle Scuole, o anche quelli che hanno lucrato sugli appalti, quelli che hanno permesso che ci fosse un paese diviso a metà come competenze e come opportunità di strutture?
Ripeto, non sono polemiche in un momento di difficoltà. Sono verità che non vanno dimenticate in questo momento di difficoltà. Ad ogni azione c’è una reazione. Se c’è chi ha rubato, e c’è chi non ha fatto il suo dovere, se c’è chi ha tutelato interessi personali piuttosto che quelli della comunità, motivo per cui occupava un certo ruolo, oggi va punito. In questa nostra Italia che ha sempre “un altro” da incolpare, forse questo “altro” va individuato. E sarebbero sicuramente tanti. Perché, nonostante il grande sacrificio della categoria dei medici e degli infermieri, che oggi valgono quanto l’oro in Borsa, non possiamo dimenticare che fino a qualche tempo fa avevamo ospedali senza personale, liste d’attesa vergognose e ticket salati anche per chi ha patologie dichiarate. Oggi si cercano come il pane. Addirittura freschi laureati e pensionati a fronte di vecchi concorsi per cinque posti e migliaia di pretendenti.
Oggi si sta scrivendo tanto. Finestre continue sulle vite di ognuno, poesie, paure, ricordi, lavoro, ma di queste parole cosa resterà? Non corriamo a cercare il complotto, perché mi sembra che l’uguaglianza del male attuale non consente certe riflessioni. Ma non mettiamo dentro il calderone tutto quanto e cerchiamo di far uscire il bucato bianco e immacolato. Queste tragedie, che non so se si potevano prevedere, hanno messo a nudo la grande responsabilità di chi governa. Fare politica non è il gioco tra pochi che guardano solo le loro tasche, anche se è spesso la cosa principale che si fa. Politica è sapere di avere la responsabilità degli altri, sapere di dover dare indicazioni e regole e farle rispettare. Come in una famiglia. Se ti minaccio di una punizione, devo mantenerla, se non so di poterlo fare non lo dico. Ne perderei di credibilità.
Credibilità. Quello che ci serve. Quello che vi serve. Piangere sul latte versato non serve a niente e a nessuno. Oggi si sta pedalando e remando in un’unica direzione, spero. Eppure qualcuno che non ha fatto il suo dovere, qualcuno che ha causato la sparizione dei letti in corsia, delle terapie intensive, dei farmaci, di qualunque cosa che potesse servire non solo adesso ma ad ogni singolo cittadino che aveva diritto a farsi curare e non l’ha potuto fare, spero stia soffrendo. Di nessuna malattia sia ben chiaro. Stia soffrendo nel suo cuore. Spero che si sentano addosso il peso di tante lacrime, perché è vero che il Covid19 non l’hanno causato loro, ma le ruberie che hanno compiuto ai danni della comunità, le scelleratezze fatte in nome solo dell’accumulo di benefici personali, sono gravi tanto quanto la Pandemia. In quarantena ci possiamo rimanere un mese o anche due, voi avete rubato per decenni. Trovando certamente, in un periodo così lungo, qualche opportunità per mettere fine a tanto schifo, ma non sembra che siano state colte queste occasioni.
Per cui ora spero vivamente che questa responsabilità, questo peso, questo dolore vi si marchi a fuoco sulla pelle, per poterlo guardare come uno dei tatuaggi che tanto si amano. Una visione quotidiana, che vi ricordi il vostro reale ruolo nella vita del Paese. Guidare i cittadini, non depredarli. E quando si trova qualcuno che vuole fare in modo diverso, cacciatelo fuori. Sono i ladri a dover lasciare l’appartamento, non i proprietari. Non si dica mai più, “fanno tutti così”, perché non si dovrà fare tutti così.
Quando usciremo dalle case, non corriamo a bere e a festeggiare; andiamo a sottolineare quali sono i nostri doveri di rispetto e di civiltà che abbiamo dovuto “subire” quasi con la forza, ma che potevano essere compresi più facilmente. E facciamo sentire quali sono i nostri diritti, a cominciare dal lavoro che mancherà, dagli aiuti che già adesso non sembrano essere equi per tutti e soprattutto non chiari.
Siamo tutti uguali, nei diritti e nei doveri di fronte allo Stato. Dobbiamo dare non solo per solidarietà, ma perché la democrazia vuole che si partecipi attivamente alla vita sociale. Dobbiamo ricevere perché, se paghiamo tributi, dobbiamo avere in cambio servizi di qualità. In egual maniera.
E qui torna il pensiero della Morte. Quella che, sola, mantiene la parola data. Uguaglianza, ma solitudine per tutti.
E voi oggi, siate portatori di tutta questa solitudine. Per ogni soldo rubato, per ogni decisione presa nei vostri soli interessi, siate colpevoli. Fate i conti con le vostre coscienze. Sperando che ne siate ancora in possesso e che possano risvegliarsi da un’anestesia totale a cui le avete condannate per anni.
- Un’idea, un sogno, un Angelo…
- Un messaggio
Coscienza?
Ma se l’avessero non sarebbero sciacalli.
Temo che non ci cambierà questa minacciosa pandemia, che se e quando finirà, riprenderemo dopo un po di mesi la vita di prima. È stato così dopo l’HIV, e dopo altre catastrofi che hanno preoccupato ma non cambiato l’umanità.
Purtroppo.