Emanuela Canepa – L’animale femmina
Una vita. Il libro letto non è questo e sembra un errore cominciare col titolo di un altro testo, bellissimo, di Maupassant, ma non lo è: è solo un concetto, quel concetto che si ripete all’infinito da secoli e lo farà ancora, fino alla fine dei tempi.
Una vita, due vite, tante vite nascoste dentro incontri casuali, dentro scelte sofferte, dentro storie che non sapevano di esistere se non per dare un senso proprio a quelle vite lì.
L’animale femmina di Emanuela Canepa vincitore del Premio Calvino è un libro da leggere.
L’ho incontrato per quel solito “caso” in cui non credo, mentre guardo con stupore quante centinaia di ragazzi riescono a passare con colpevole indifferenza davanti ad un tavolo di libri, mentre io rubo pagine di lettura che vanno giù come bicchieri d’acqua che dissetano nel deserto. Poche ore in tutto e la necessità di finirlo, di capire, di scoprire i perché di quelle vite vissute in un certo modo.
Rosita è un personaggio che fa di tutto per sembrare anonima: lei si sente anonima. Ludovico, che incontra sul suo cammino, al contrario, è uomo di grande carattere, di forte personalità, di notevole conoscenza della vita in generale. Un uomo che ha bisogno di catalogare le scelte degli altri, di giudicare, per far rientrare ogni azione dentro parametri definiti. Un uomo che, nella sua crudeltà verbale, mostra di conoscere a fondo l’universo delle donne, ma anche degli uomini.
La sua vita è passata osservando i comportamenti altrui. Dimenticando di vivere la sua di vita, ha pensato che potesse soddisfare le sue necessità, le sue curiosità, le sue ambizioni, semplicemente salendo su un gradino più in alto degli altri e da lassù muovere i fili delle vite di chi gli capitava a tiro.
Si può pensare che sia gratificante uno stile di vita del genere. Comandare, manipolare, decidere. Verbi che danno l’idea del potere, dell’onnipotenza. Sapere e verificare che chi ti sta di fronte abbassa sempre il capo può dare un piacere profondo, tale da giustificare certi comportamenti, ma all’improvviso, proprio una di quelle vite che pensi di avere in pugno, può cogliere un’occasione. Può decidere che quella sua piccola vita strumentalizzata, può pretendere di avere una voce propria, può assumersi delle responsabilità, può dare inizio ad una VERA VITA.
Sarà questa scelta a svelare quelle altre vite, quelle sommerse, quelle nascoste, soffocate che non hanno avuto la possibilità e la forza di essere vissute.
Un romanzo che si fa leggere, una scrittura profonda e attuale, la fotografia di un mondo molto più vicino a noi di quanto si possa credere. Un’analisi che a tratti sembra una diagnosi, una serie di parametri dentro cui le persone si muovono quasi senza personalità, ma solo spinte da un riflesso condizionato:
“…dato un certo input, e tenuto conto delle variabili, il comportamento risulta sempre prevedibile”.
C’è una naturale rabbia verso Ludovico, una implicita condanna alla sua arroganza, anche se spaccati del passato tendono ad aprire spiragli, a dare letture diverse. Ogni personaggio, dalla madre lontana e onnipresente, dall’amante assente e vigliacco, dall’amica silenziosa ma presente, da quel mondo di uomini prigionieri del proprio sesso e dei propri standard sociali, dalla collega perfetta, ma che ha rinunciato ai suoi sentimenti, è fonte di riflessioni.
Da ognuno di loro nasce il desiderio di comprendere, ma senza giudicare. Ci sono tante storie d’amore al suo interno, storie sbagliate, ma anche storie intime, che squarciano il cuore perché raccontate con notevole intensità; eppure quello che aggredisce è la sensazione dello spreco di quegli amori. La trama non ti lascia e non vedi l’ora di arrivare alla fine per capire quale sarà il percorso che decideranno di seguire, quale rilevanza daranno a quegli incontri, quale messaggio vorranno lasciare.
E a me ritornano queste parole: una vita. Quell’altro titolo, quella necessità di cogliere fino in fondo il valore di questa unica possibilità che ci viene concessa.
Arriva sempre il momento che ci metterà di fronte alle nostre scelte, ma per chi avrà voluto e saputo fare un percorso di conoscenza personale, di accettazione di sé in senso generale, quel momento significherà avere tempo per viverla appieno la propria vita.
Diverso sarà per chi si sarà nascosto dentro schemi, paure, modi di dire e di fare, che avrà girato lo sguardo dal lato opposto al proprio io, pur di non riconoscersi come qualcuno non unificato agli schemi. Per chi avrà deciso che non valeva la pena difendere ciò che gli era stato dato con la magnificenza dell’unicità e avrà preferito mischiare il suo particolare con l’uniformità della massa. Perché credi di essere più protetto da quello che fanno tutti, perché il giudizio degli altri è più importante del Tuo personale pensare.
Errore. Solo che, quando te ne accorgi alla fine del tuo cammino, ti resterà forte il peso di quello spreco incredibile che hai fatto, il rammarico per tutte quelle emozioni e gioie che ti sei negato in nome di qualcosa che a quel punto non avrà più nessun senso, ma a cui un tempo hai dato un tale peso da permettergli di segnare il tuo cammino.
Vivere, conoscersi, accettarsi. Forse questi verbi qui andrebbero coniugati molto più degli altri.
Non daranno il brivido di quell’onnipotenza che in molti cercano, ma rendono la gioia della pienezza del nostro passaggio terreno.
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