Una vita a foglietti

“La Settima Arte”, con Arte Tempra cinema e teatro si incontrano

“La settima Arte” – Il senso della vita fra cinema e teatro. È questo il titolo della penultima rappresentazione della Rassegna Autunno Cavese di Arte Tempra, tenutasi all’Auditorium De Filippis di Cava de’ Tirreni domenica 20 e lunedì 21 in replica.

Il senso della vita…, un modo forte di approcciare al lavoro, ma l’aria che si respira all’interno del teatro è particolarmente calda, ha qualcosa di diverso. Il prima non svela mai tutte le sue carte ovviamente, si lascia solo intuire, ma quando tutto sarà finito, sarà tutto più chiaro, tutto rivelato. E ne capirò anche il perché.

Il lavoro che hanno preparato è un tentativo di sperimentazione, un modo di avvicinare il mondo del Cinema a quello del Teatro. Due modi completamente diversi di raccontare storie, nel primo la possibilità di spaziare realmente da un luogo all’altro, di provare e riprovare fino a trovare la sfumatura giusta nella voce, nello sguardo, mentre nell’altro è tutto davanti ai nostri occhi. Tutto quello che questi artisti vogliono farci arrivare, deve essere prodotto qui, adesso, in questo tempo dedicato a noi. A noi? O a loro?

Cosa significherà questo percorso? Dove ci porterà questo viaggio lungo che hanno deciso prima di tutto di intraprendere loro, i protagonisti di questa fatica, Gabriele Casale, Gerardo Senatore, Manuela Pannullo, Lella Zarrella, Antonietta Calvanese e Mario Fusco, per poi offrirlo a noi, che credevamo di essere venuti come spettatori e invece ci siamo ritrovati ad essere beneficiari di un grande regalo.

Non so se andremo per ordine, in un viaggio alcune scene si possono accavallare, alcune sensazioni possono prendere il sopravvento. Quello che spero di lasciarvi è la potenza di un messaggio.

Una voce ci accoglie e ci rimanda ad una prima riflessione sul Tempo, che già, qualche tempo fa, un certo Seneca spiegava…

Quando si apre il sipario mi aspetto sempre di restare colpita dalla scenografia e ovviamente non resto delusa. Sei cubi occupati da esseri vestiti di bianco, circondati da un cilindro di velo e illuminati in cima. Esseri teletrasportati? Le tute intere, i capelli raccolti e spruzzati d’argento, il trucco pesante a sottolineare gli occhi. Aperti, attenti, curiosi.

Alle loro spalle uno schermo su cui vedremo proiezioni, che iniziano con l’universo e la sua immensità. “Siamo soli.. piccoli, piccolissimi esseri in un universo… Dove siamo prima della nostra nascita?”

E qui comincia il nostro viaggio.

Le domande sono sempre le stesse, per chi se le pone! Da dove veniamo, che senso ha la nostra presenza nel mondo, quale compito dobbiamo svolgere, quale beneficio dobbiamo portare agli altri e regalare a noi?

Veniamo da lontano forse? Da un luogo dove tutto è già conosciuto, ma quando arriva il turno di ogni nuovo bambino, un semplice gesto, un indice sulle labbra in segno di silenzio cancella la conoscenza e arriviamo qui, col nostro primo pianto, che non si sa se è di gioia o di paura.

Bambini passano sullo schermo, silenziosi e sorridenti, che si scambiano gesti e cose e sorridono… Sono felici. Di cosa è fatta la felicità? Solo di piccole cose. Di tanto Amore. “Il viaggio termina quando gli innamorati si incontrano” scriveva Shakespeare e le citazioni qui si susseguono

Vivere senza amore è come non aver vissuto

La terra girò per renderci più vicini

Rendete straordinarie le vostre vite

L’arte ci migliora, ma non basta conoscere Michelangelo se non si è sentito l’odore della Cappella Sistina.

Lo schermo ci regala immagini di “Risvegli” e l’idea della malattia ci prende. Ma ci può essere Amore nel dolore? La clown terapia dice di si. E forse questo concetto dovrebbe diventare materia di studio, perché è fondamentale saper dare degli esempi, saper raccontare esperienze dirette. Una rivoluzione sarebbe necessaria e se la si fondasse sull’Amore? Saper regalare sempre una speranza, anche quando la Morte è vicina, perché l’indifferenza è la peggiore delle malattie. “Se curi la malattia si vince e si perde, se curi la persona vinci sempre. Per chi studia medicina, non saranno mai i voti a decretare che tipo di medico diventerà…”

E il teatro guarda il cinema. Paura, perdono…

Lo schermo proietta immagini di eruzioni e in sottofondo ci accompagna la musica dei Pink Floid. Come passa il nostro tempo? Lento o bruciato?

E poi ancora la galassia immensa e riflessioni su questo Tempo che non è considerato come un reale valore, ma che diventa determinante in momenti cruciali: un malato spenderebbe tutti i suoi averi per guadagnare altro Tempo da vivere.

E Tim Robbins compare con il giradischi che diffonde musica all’interno della prigione. Che tempo si vive al suo interno, quali errori irrimediabili si commettono, quante scelte sbagliate ci condannano?

Guardo le scene proiettate, ascolto le voci dei ragazzi e mi torna quella sensazione di non essere seduta in una sala a “guardare” uno spettacolo. Non lo sto guardando perché loro non lo stanno recitando.

Quanto hanno chiesto alla loro memoria? Ripetono parti lunghissime senza sbagliare una parola, un’intonazione, un’entrata. Eppure non c’è fatica, come se stessero raccontando qualcosa che fa parte della loro vita, che forse hanno vissuto, che forse hanno provato, su cui di certo si sono soffermati a riflettere. Ecco dunque la magia di quanto accade. Ancora una volta quel teatro che diventa vita, quella vita che pretende di essere raccontata e quei valori semplici e fondamentali che vanno difesi e divulgati. Quei ragazzi si stanno raccontando, ci stanno raccontando, oltre le tante citazioni da film famosissimi, pezzi di se stessi . Ed è una confessione che accettiamo con riconoscenza. Abbiamo portato un bicchiere e loro lo hanno riempito come se fosse un secchio. In maniera più che abbondante.

Tempo, Amore, Morte. Non concetti astratti. Fondamenta delle nostre vite, perni su cui ruotano le nostre scelte. Passaggi fondamentali che spesso hanno per compagna la Fede e come contraltare il Male.

Il terrore è figlio del buio, esibizione del caos e i ragazzi si rivedono proiettati come protagonisti dei video alle loro spalle. Uniti, singoli, raddoppiati: magia del cinema, lavoro immenso. E Angeli.

La magia del teatro è che le immagini prendono vita e quegli Angeli dalle candide ali, si materializzano sul palco, ci parlano…

“Siamo solo messaggeri, portiamo risposte, luce… Sentire tutto, essere tutto ma non sentire niente, non provare niente”. Shine on you crazy diamond fa da sottofondo. Meraviglia aggiunta.

E il grande dilemma: vale la pena perdere l’immortalità e il sapere, per vivere quella vita fatta di dubbi ma anche di ricerca, che può dare dolore, ma anche tanta gioia? Che può regalare lo stesso l’immortalità ma in maniera diversa, non nelle galassie, ma nei cuori di chi li avrà amati?

E dunque angeli che diventano bambini e arrivano nel pianto, mentre altri gli sigillano la bocca con quel gesto che cancella ogni conoscenza e ci rende simili agli altri. Simili e unici, come vuole la grande caratteristica dell’uomo. Senza confini e confinato nel suo spazio – tempo che dovrà imparare a gestire per ottenerne il massimo. E conoscere il timore della Morte, perché è Lei che ci spinge a nuove conoscenze.

“La Morte è la curva della strada, morire è non essere visto”

21 grammi: è questo il peso della nostra anima? Davvero la perdiamo nel solo momento della morte o in tanti altre occasioni?

E il pensiero della  Morte deve, sempre, farci essere grati per ogni singola, semplice vita?

Ricomincia la musica, accompagnata da esplosioni nello spazio e tanti corpi si muovono raccontando quelle emozioni che arrivano da lontano, sconosciute, ma allo stesso tempo forti e reali.

Quando Renata Fusco, che ha curato la regia dello spettacolo arriva sotto il palco, ha anche lei un volto diverso, una voce diversa, un’emozione particolare. Ringrazia i tanti collaboratori, Giovanni  Noviello, Giuliana Carbone, Maurizio Della Rocca, il fratello Alberto Fusco e la signora Clara Santacroce, mamma ma soprattutto colei che la sostiene in queste nuove avventure.

Regala un bacio ad ognuno di quei ragazzi che hanno seguito le sue indicazioni ma hanno saputo mettere dentro quel copione tanti pezzi della loro ancora giovane esperienza di vita. Si vede la fatica che è costato, si vede il desiderio di portare un discorso nuovo, di sottolineare quei valori che vengono quasi abusati nelle citazioni, ma che molto meno spesso ritroviamo nella realtà. Sono tanti i lavori da cui hanno preso spunto, i monologhi e le immagini di grandissimi film. Oltre ai già citati ricordiamo Mr. Nobody, Patch Adams, Lo strano caso di Benjamin Button, L’attimo fuggente, The Truman Show, Genio ribelle, La tigre nella neve, Il cielo sopra Berlino, L’avvocato del diavolo, Settimo sigillo, American Beauty, La ricerca della felicità, Cloud Atlas, oltre al repertorio classico De Brevitade vitae di Seneca e le Nozze di Figaro di Mozart.

Non lo pensate come un freddo elenco. È la misura del lavoro fatto, è un modo per scegliere qualcosa da vedere, leggere, ascoltare che può parlarci di questi valori fondamentali.

Quello che abbiamo visto è stato molto più di uno spettacolo: lezione di vita. Pensare che tanto lavoro si esaurisca in due giorni di rappresentazioni è quasi “offensivo” e davvero si sente il “dovere” di riportarlo, raccontarlo, renderlo reale anche se solo su delle pagine; perché non c’è una pellicola da rivedere, solo emozioni da rileggere.

Inoltre tante volte ci preoccupiamo di quanto succede sul palco, di quello che vediamo, ma stasera mi sono fermata a riflettere su quello che sarebbe stato bello vedere di fronte a quel palco, alle mie spalle. Un pubblico giovane, educatori, insegnanti, tutti quelli che avrebbero potuto cogliere tanti spunti su cui riflettere.

Noi ci siamo stati, ci hanno pagato un biglietto per un viaggio che hanno organizzato loro, un itinerario intimo e allo stesso tempo universale, toccando mete conosciute da tutti ma che spesso, banalmente, non visitiamo mai con la dovuta attenzione.

Foto di Simone De Juliis

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