Gli abbracci del dolore
È il 18 di maggio. Andiamo ad un funerale. Se ne vedono troppi di questi tempi e quasi ci arrivo “a cuore freddo”. Per ora è un nome, la mamma di un amico, una foto su un manifesto, un’altra anima chiamata via dalle fatiche della vita.
La funzione ci regala le parole del conforto, della consolazione miste al dolore, ma sembra che questa volta la corazza regga molto bene.
Faccio la brava, seguo tutto con rispetto ma a frequenze ridotte, per non andare in collisione con il mio mondo alternativo, quello che, se risvegliato, mi mette ko.
Ma nel bosco secco e arido basta davvero poco per far scoccare la scintilla dell’incendio. E io ci cado dentro di nuovo.
È una scena semplice: una figlia che piange la sua mamma che non c’è più e ha intorno, a sorreggerla, le sue due figlie.
Un dolore grande travolgente che chi ti ama vuole aiutarti a sopportare ma che in qualche modo comincia a sua volta ad assaporare. Il pensiero di quanto sia impensabile rinunciare a chi ti ha dato la vita e a cui tu hai riempito una vita intera. Una catena, una preparazione alla vita alla continuità all’abbandono…
Un albero che ha radici e fa germogliare rami. Ma un albero non fa mai morire nessuno dei suoi rami senza essere morto a sua volta. Mai.
E quell’abbraccio è il pugno sul cuore che mi toglie il respiro. Sono le lacrime che piango sulla spalla di chi mi accoglie senza dirmi più niente: la storia è sempre la stessa.
È per me il granellino di sabbia che rompe il meccanismo imperfetto che cerca di tenersi in piedi.
Si è rotto ancora una volta. Lo faccio ripartire, ma col tempo, i pezzi di ricambio sono sempre di meno…
- My life
- Un po’ per gioco, tanto per passione, un po’ per eleganza, tanto per solidarietà. All’Atélier Anter una coloratissima sfilata di moda per le popolazioni terremotate.