Intervista con Cristian Izzo, attore di talento che parla d’Italia nel mondo
Qualche giorno fa, una finestrella di quelle virtuali, che troppo spesso restano solo “virtuali”, ha mandato un invito. Un invito felicemente accolto che ha permesso un incontro.
Ritrovo Cristian Izzo, nuovo look, barba e una nuova consapevolezza negli occhi. Dovrei spiegare di Cristian e, avendolo conosciuto mentre recitava, dovrei definirlo “attore”, ma qualcosa mi lascia un attimo in dubbio. È solo un attore Cristian? È solo un regista? È solo un ricercatore? Penso che sia tante cose insieme.
La nostra conversazione comincia e tocca momenti lontani, quelle situazioni che ci hanno fatti conoscere e che sono poi il motivo per cui Cristian è qui con me oggi a parlarmi dei suoi progetti. Il desiderio di raccontare di un cammino che è iniziato l’anno scorso, quando ha deciso di inviare i suoi testi “visionari” a qualcuno che non avesse solo domicilio in Italia, ma anche all’estero. In questo modo ha scoperto che, oltre i confini nazionali, succede qualcosa di concreto: leggono i tuoi copioni e se li ritengono validi, ti invitano a rappresentarli.
Così ha partecipato, vincendolo, all’International Youth Theatre Festival Vreme in Bulgaria nel giugno del 2015 con il monologo “L’ultimo primo giorno di Re Ferdinando VIII e la fragilità della Luna di cartapesta” . In quell’occasione, essendo luogo di ricerca e di scoperte, Cristian è stato contattato dalla “Janacek International Academy of Music and Performing Art” di Brno, nella persona di Michaela Mikulova. Per loro scriverà il testo di “Pornocinella” partecipando ad una selezione con in gara 66 testi provenienti da vari paesi. La motivazione che l’ha portato ancora una volta ad essere scelto è stata “per l’idea rivoluzionaria di interpretare il teatro”.
L’essere risultato vincitore gli ha permesso di fare una settima di prove all’Accademia dove ha conosciuto il professore di drammaturgia che è rimasto incantato, e subito gli è stata concessa una tournee di quattro date tra Slovacchia e Repubblica Ceca, mentre dal 13 al 18 aprile sarà in Romania all’Apollo International Theatre Festival, con Ferdinando. L’elemento di grande innovazione che hanno voluto sposare è stata l’idea di un teatro non come mediazione tra attore e pubblico, ma come qualcosa che rendesse al teatro una dimensione quasi spirituale.
Pornocinella è un testo con quattro attori, dove ognuno recita in una lingua diversa: italiano, napoletano, inglese e ceco. L’obiettivo è quello di sovrapporre voci, musiche, luci e il risultato è un mantra, una cantilena dove lo spazio e il suono divorano la comunicazione. Proprio lì vuole arrivare Cristian: rifiutare la comunicazione che è l’arma di distruzione del teatro di massa. Il tentativo di fusione rende l’unicità del singolo. La musicalità che non ha bisogno di immagini, di suoni, di gesti. E il titolo Porno richiama la pornografia dell’immagine che deforma l’individuo fino a renderlo prodotto. Porno, il concetto oltre l’Eros. Sacrificato l’erotismo rimane la pornografia, l’inutilità del talento. Il tentativo di unificare il tutto, deforma il tutto stesso: il suono, la parola, l’immagine.
Cristian si tocca continuamente la barba, sarà questo il motivo per cui l’ha fatta crescere. Si tira su i capelli, sembra quasi che cerchi un contatto continuo con se stesso per rimanere presente, agganciato ad una realtà che, sinceramente, gli sta molto stretta.
– “L’uomo si dice che fa parte dell’universo, ma per me l’universo fa parte dell’uomo.”
Queste sue continue sottolineature, questi passaggi che approfondiscono concetti che spesso si sentono “dire”, in lui escono fuori come un’appartenenza, come qualcosa che gli rende ossigeno per respirare.
E mi torna in mente una frase che mi ha detto appena ci siamo seduti, come un biglietto da visita, come una giustificazione:
– “sono condannato a fare teatro come un pesce che non può smettere di nuotare”.
Il discorso tra di noi non segue sempre un filo logico, il racconto si fonde con le citazioni, “…di uno o è quell’altro?”, non importa. In Cristian certi concetti hanno messo radici e non importa più tanto da dove sono arrivati, importante è quello che hanno creato.
Il racconto delle sue “visioni”, si mescola alla realtà del teatro italiano di oggi.
– “Amo il confronto con un pubblico che non sia fatto solo di parenti e di amici che non sai mai fino in fondo se ti dicono bravo per affetto o perché lo sei per davvero”
e stare così lontano da casa lo ha “obbligato” a confrontarsi con sconosciuti. Sconosciuti a cui ha preteso di portare il suo Ferdinando in italiano, perché è la sua lingua, insieme al napoletano, che definisce appunto un vero e proprio idioma, come ricorda nel monologo Devolution Revolution, “e se nunn o capisc, sturia”.
Anche perché restare sempre nello stesso posto crea “il ricreativo”.
– All’estero, quando ti contattano per uno spettacolo si parla di teatro, del tuo progetto; qui da noi ti chiedono se riesci a rientrare delle spese per la pulizia del locale!
È questo modo strano di sentire parole che dicono cose e fatti che ne raccontano altri che sta stretto, giustamente, a Cristian.
– “Non si contano le persone che mi dicono ti amo, ma io sono sempre solo.”
Essere stato scelto, da chi ha guardato ciò che fa e dopo aver ascoltato cosa ha da dire, è motivo di grande orgoglio per lui, ma soprattutto di spinta per continuare a lavorare su quelle idee che lo mettono in contrasto con molte della banalità che si respirano in giro.
– “La gente è abituata a vedere il quotidiano, ha paura di essere libera. Tutto si banalizza per poterlo rendere accessibile alla massa.”
Cristian per questo è fortemente convinto che portare qui, al Polo Artistico Torrese a Torre del Greco il suo spettacolo Pornocinella, sarà una vera occasione per tutti quei ragazzi che studiano o solo amano il teatro, per poter vivere un modo diverso di affrontare le prove, il sudore.
Cristian è di quelli che quando lavorano, lo fanno completamente, non hanno mai dieci appuntamenti in un giorno, non riesce a conciliare tante parti in così breve tempo, “perché non hai neanche il tempo di cambiare personaggio”. Non a caso le loro prove dureranno l’intera giornata e l’unica cosa che si chiede è il silenzio, l’attenzione e il rispetto per chi sta lavorando. Sono gradite le persone, non cellulari rumorosi, o ogni cosa che possa disturbare gli attori in scena.
Evitare il concetto di “evento”, questa esperienza non avrà uno spettacolo a chiusura degli otto giorni, ma solo una “prova generale” il 12 sera: dieci spettacoli non fanno cultura in una città, osservare un lavoro per otto giorni di fila, può regalare molto di più. Per questo a maggio l’esperimento si ripeterà con l’”Amleto”, per un tempo ancora più lungo. La nuova compagnia di Cristan si chiama “Il Luogo in Buio” e con loro vuole mostrare come nasce una performance internazionale, come ha potuto pensare di mettere in scena quattro lingue diverse, per poter concepire un nuovo teatro. Dimostrare che un ragazzo campano può portare le sue idee in tutto il mondo.
Ad un certo punto chiedo a Cristian quanti anni ha. In realtà so che è giovanissimo, ma alla sua risposta
– Venticinque
lo guardo ancora un po’. Di fronte non ho un ragazzino. Il discorso, i discorsi che mi ha fatto, non hanno niente a che vedere con la presunzione. Non è venuto fin qui a elencarmi i suoi progetti, i suoi successi per farsi adulare.
È venuto per mostrarmi i suoi limiti, per dirmi che sta cercando di superarli. Mi dice che quando lo definiscono idealista lui risponde in maniera colorita “E grazie al … la realtà fa schifo”.
È venuto per dirmi che crede nelle differenze, che non ama la definizione “siamo tutti uguali”, perché la pretesa di renderci tutti simili ci annulla completamente, cancella la nostra individualità, aliena la nostra creatività.
Se Cristian ha deciso di segnare una strada, l’ha fatto per necessità, perché quella strada ancora non è stata percorsa. Perché ha deciso di sfidare qualcosa che è più grande di lui, di difficile realizzazione, ma che è l’unica cosa per cui valga la pena combattere. Perché ha voglia di togliere quella necessità di dover per forza raccontare il teatro come strumento civile sociale solidale: no. Il teatro è popolare in senso elevato, in quanto appartiene al popolo. Il teatro è estasi contemplativa, non deve mandare messaggi; non è classico, non è sperimentale. Esiste il teatro per come lo vede l’individuo: è l’unicità del soggetto da vedere sempre.
– Non voglio cambiare i codici esistenti. Voglio utilizzare il mio. Non appartengo a nessun mondo, passo molto tempo da solo, faccio cose con persone con cui non devo confondere i ruoli. Non sempre chi ti vuole bene ti fa capire come ti giudica.
In Italia per fare grandi cose devi appartenere ad un’Accademia, come la Silvio D’Amico ad esempio, ma lì lavorano solo i loro alunni, in un cerchio chiuso. In Romania i professori cercano il meglio che trovano in giro e lo portano davanti ai loro alunni per farli confrontare con altre realtà, Per questo Cristian terrà anche delle lezioni da loro, per poter trasferire le sue idee non solo attraverso il palco, ma con un confronto diretto.
Ci fermiamo quando si apre la porta e ci fanno notare che si è fatto buio. Sono passate quasi tre ore, noi non ce ne siamo neanche accorti.
Stavamo parlando ancora di Pornocinella, di come Napoli si impegna a mostrare un’immagine pornografica di sé, di come tutto ciò che si fa, se non ha una narrazione praticamente non esiste…
Insomma, potevamo parlare ancora a lungo. Che poi non è altro che la stessa sensazione che mi è sempre rimasta dopo gli spettacoli che ho visto di lui. Quella voglia di ascoltare ancora quei sogni, quel cercare di afferrare tante di quelle cose che le parole a volte non dicono, ma che passano attraverso gli occhi, dove si riflettono immagini di esperienze vissute, ma molto di più ancora ci sono i tumulti di quello che ancora deve accadere.
Perché Cristian, che non si riconosce negli atteggiamenti tipici dei napoletani “furbetti”, ha qualcosa che lo rende perfettamente figlio di questa terra: il tumulto di quel Vulcano che ci guarda, che ci protegge le spalle, che ogni giorno ci ricorda il potere che ha. Un magma in movimento che attira per la sua forza e che terrorizza per la sua capacità distruttiva.
Ecco. Questo c’è negli occhi di Cristian Izzo: la certezza di avere una storia da raccontare. Non la storia della sua vita, quella ogni uomo ce l’ha, ma la Storia che gli è stata tramandata. Quella cultura che rende unici gli uomini e che non vorrebbe mai essere sprecata e confusa in quelli che sono i bisogni quotidiani, che si dovrebbe sottrarre alle regole del denaro.
Quel sapere che ti consente di riflettere su quanto ci deve migliorare, che ci deve rendere felici, non famosi. Perché la fama contata con i “mi piace”, le “visualizzazioni”, i followers, è cosa effimera che appaga spiriti vuoti. La soddisfazione del fare per crescere è qualcosa che poco si sposa con questa società, ma che è ancora la spinta per chi questa società vuole viverla e non subirla.
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