Una vita a foglietti

Maurizio de Giovanni a Nocera Inferiore presenta “Cuccioli”

LucaDa Vivimedia

Sabato 12 marzo, presso lo Sporting Club Casino Sociale di Nocera Inferiore, si è avuto un ospite di grande prestigio: Maurizio de Giovanni, che ha presentato il suo ultimo libro Cuccioli (Einaudi Stile Libero). L’evento non è di quelli che passano inosservati perché de Giovanni è uno degli scrittori gialli più prolifici; il suo commissario Ricciardi, la banda dei Bastardi di Pizzofalcone, hanno già creato fazioni da stadio, e il termine non è casuale, visto che negli ambienti calcistici è altrettanto famoso per la smisurata passione per gli azzurri del Napoli. Sembra ancora più opportuno comunicare fin da subito chi sarà il moderatore della serata e cioè Luca Badiali, presentatore ufficiale Einaudi, noto juventino. Chiarisco queste posizioni, perché l’argomento non sarà mai secondario nel corso della lunga serata, né tra i protagonisti e tantomeno tra il pubblico.

La prima cosa che noto è l’assenza forzata di Gaetano Fimiani, dell’Associazione Fedora e Rosa Aliberti, rappresentate egregiamente da Antonio Pisano, e contemporaneamente la presenza di un’importante rappresentanza del Club dei Lettori di Cava. A quanto pare la sinergia tra i più significativi gruppi di cultura della zona, con la collaborazione di Claudio Bartiromo, responsabile del Punto Einaudi di Nocera, può davvero produrre risultati notevoli. La sala è infatti più che piena e si rende necessaria l’aggiunta di altre sedie per i numerosi intervenuti.

Sottolineo la folta presenza, perché rende il giusto plauso a chi lavora dietro le quinte di queste serate e che cerca sempre di offrire spunti di approfondimento e arricchimento.

Anche il Presidente del Club, Raffaele Contursi, non nasconde la propria soddisfazione ed emozione mentre fa gli onori di casa, brevi, ma di sincero ringraziamento per gli intervenuti e per lo spessore dell’ospite in sala.

Luca prende la parola per raccontare, ai pochi che ancora non conoscono la storia di De Giovanni, l’inizio della sua carriera che è nata per caso, perché alcuni amici lo iscrissero ad un concorso letterario a sua insaputa.

Ma come novità ci informa che i Bastardi di Pizzofalcone saranno i protagonisti di una fiction prodotta dalla Rai, questo a testimoniare il grande impatto che questo personaggi hanno avuto dalla loro nascita.

Quando de Giovanni prende la parola esordisce così: “Quanto devo volervi bene se devo venire qui a farmi presentare da uno juventino?” A dimostrazione di quanto detto sopra.

Ma è una parentesi divertente, una delle tante che si apriranno tra due persone che si conoscono bene e che in queste situazioni, a ruoli alterni, si sono già trovati tante volte.

Si comincia dunque a parlare del libro e l’autore ci confessa che il titolo e la trama dovevano essere diversi: “Rabbia” e doveva parlare di stalking. Prima che potessimo chiederci il perché di questo cambiamento già arriva la risposta.

Quando cominci a scrivere e segui le idee che arrivano, allora la strada che percorri può essere diversa da quella che ti eri prefissato. Dalle pagine dei giornali si prendono molti spunti, ma non dalle principali. Il delitto mediatico, quello, io direi, da cui parte ad esempio Carrisi per le sue denunce, non è quello che interessa agli ispettori di de Giovanni. No. Lui cerca la storia semplice, e Cuccioli nasce proprio da una di queste storie.

La cronaca riportò tempo fa la storia di un poliziotto, a cui era morto da poco il figlio di 5 anni per leucemia, che trovò nei cassonetti dell’immondizia un neonato in ottime condizioni. Quel ritrovamento segnò il destino dell’uomo che, quando venne premiato dal Presidente del  Consiglio di turno per l’eroico gesto, ebbe il coraggio di chiederne l’adozione. Al politico non costò molto fare una promessa in più, tanto fanno tutte la stessa fine, e così ovviamente il neonato fu affidato ad una casa famiglia. Ma la mancanza del lieto fine, non ha mai scoraggiato il poliziotto che da anni si reca in questo posto, a 50 km di distanza dal luogo in cui vive, solo per accertarsi dello stato di salute del piccolo. Alla domanda ovvia “Perché lo fai”, lui risponde di sentirsi responsabile di quella vita. Trovandolo gli aveva impedito di morire e questo faceva di lui un nuovo papà, con tutte le conseguenti responsabilità.

Ecco, questa frase, confessa de Giovanni, ha messo in moto un processo di convinzione sulla necessità di scrivere una storia, adattandola, spostando il cassonetto vicino al commissariato, trasformando il neonato in una femminuccia, costringerla ad uno stato di salute più che precario, e lasciando il compito del ritrovamento proprio a Romano, il più duro della squadra di Pizzofalcone.

Ovviamente poi questa scelta comporta tutta un’altra serie di passaggi, come il doversi documentare sulle sofferenze reali dei bambini, e per raccontare il dolore di Romano, doveva imparare a soffrire dello stesso dolore. Ma quando cominci a scrivere un romanzo, bisogna avere molta correttezza. Tu non sai come andrà a finire e devi lasciare che la storia compia un percorso reale e che i protagonisti facciano ciò che è giusto in quel contesto, non quello che vorrebbe il lettore. Uno scrittore è un testimone, racconta ciò che vede. E la convinzione di de Giovanni è che quella storia, quella di Cuccioli, sia arrivata fino a lui, e non ha potuto far altro che raccontarla.

Siamo rimasti un po’ tutti con il fiato sospeso, come se già avessimo cominciato la lettura di un nuovo romanzo, ma visto che non lo leggeremo in sala, Luca alleggerisce la tensione tirando un nuovo calcio al pallone.

–          In una presentazione a Napoli con De Silva, davanti a 200 persone, si è preso il microfono e ha detto “Lui è juventino”. Ma poi è stato così gentile da accompagnarmi fuori a fine serata.

Ecco, tra una battuta e l’altra si ritorna a parlare della fiction che avrà un protagonista di altrettanta fama e bravura, Alessandro Gassman. de Giovanni riconosce alla Rai di aver avuto un bel coraggio nel decidere di portare sul piccolo schermo i suoi personaggi che decisamente non si possono smussare. E scrivere una sceneggiatura è diverso dallo scrivere un romanzo. Lì sai che ci saranno gli attori a doverci mettere la faccia. Nel romanzo il lettore diventa personaggio nel libro. A cinema lo spettatore non è mai l’attore. È questo che spesso rovina le sensazioni che si sono avute mentre si leggeva il libro, se poi vengono raccontate in maniera diversa nel film che si realizza. Alcuni luoghi, filmandoli, rendono più di quanto avresti potuto dire, ma quando si tratta di sentimenti, la parola serve.

Racconta che in questo nuovo rapporto tra parole e immagini, è importante il feeling con il regista che lo vorrebbe tutti i giorni sul set e racconta un altro episodio carino. Mentre guardava una scena che stavano girando, uscì fuori la frase: “Si è sparata con un solo colpo in bocca”. L’immediato commento “Non mi sembra che qualcuno si possa sparare con due colpi” è risultato decisivo per evitare una brutta figura. Tra l’altro in quel mondo ci sono tempi allungati a dismisura: circa 12 ore di lavoro si concretizzano in massimo 5 minuti di riprese ottimali; “per me una perdita di tempo inconcepibile”.

–          Cosa ti hanno portato dal punto di vista personale?

–          Bisogna voler bene ai personaggi che si creano. A me Ricciardi e i Bastardi, piacciono allo stesso modo. Il primo è una storia più sentimentale, più emotiva e quindi più lenta, mentre Bastardi è più da giallo.

A questo punto, con la sala in fermento per le varie prese di posizione, è giusto dare l’opportunità di fare qualche domanda. Luca, che “è l’unica valletta che ci possiamo permettere”, corre a consegnare il microfono.

–          Utero in affitto, tema toccato (ma non sveliamo la trama), quanto ha inciso l’attualità?

–          Quando racconti storie non devi dare messaggi, non ne ho i titoli, anche perché quando ho cominciato a scrivere non era così attuale. L’unica cosa che dico è che considerare su basi economiche un certo tipo di valori è pericoloso. Diverse sono le scelte responsabili di persone adulte, che non ledono i diritti di altri. E poi nella storia ogni personaggio fa quello che vuole.

Altra domanda riguarda il tema delle difficoltà in amore e la morte che sono comuni sia per Ricciardi che per i Bastardi.

–          Questi sono le travi portanti del libro nero. Questo tipo di letteratura va per strada, mette le mani nella melma. Come narratore mi devo chiedere perché l’uomo del trafiletto del giornale uccide la moglie dopo 40 anni di matrimonio. Dentro tutto questo tempo ci sono figli, vacanze, bollette, anni di vita condivisa e dobbiamo porci la domanda: Perché l’ha fatto. Cosa c’è di noi che non va. L’amore e la morte sono dunque le due sponde dentro cui si scrive un romanzo nero.

–          Questo fa di te un sociologo?

–          Dio me ne guardi. La città è un luogo non un’entità. Napoli rappresenta il 10% della popolazione italiana e per lo Stato è un problema! La criminalità organizzata è una macchina che funziona bene ed io non ho la competenza per parlare di come si sia radicata nel tessuto sociale. Come non so parlare di spionaggio. Per questo parlo di sentimenti. Voglio capire se gesti estremi si possono fermare. Io parlo del particolare, sarà il lettore a farlo diventare generale. Se il nostro vicino o noi stessi lo riconosciamo nella follia dei protagonisti dei miei libri.

–          Di Ricciardi si parla molto delle sensazioni extrasensoriali, le vedi anche tu?

–          Ricciardi ha una sensibilità che è “compassione”. Soffre talmente tanto che “vede” la persona perché la riconosce nel dolore. E questo lo rende solo; ed è terribile perché invece la compassione dovrebbe unire. Se ripensiamo ai profughi, sappiamo che per mesi sono arrivati bambini e molti di più sono morti lungo le spiagge, ma per noi non erano niente. È bastata la foto di quel bambino morto, la sua maglietta rossa a scuotere le nostre coscienze perché qualcosa che era solo teoria assumeva i contorni di una storia. E Ricciardi diventa unico perché racconta storie.

Ancora una volta siamo rapiti da questo vortice di considerazioni che forse non dicono niente di nuovo, ma la partecipazione con cui si fanno delle affermazioni, ci tiene tutti sulle corde, come se da un momento all’altro dovessimo “scoprire l’assassino”.

Il riferimento alla mancata squalifica di Bonucci prima della partita con il Napoli, è l’elemento di disturbo per riportarci un attimo fuori dalle strade della vecchia Napoli del commissario.

Quando tira fuori un quaderno con la copertina rigorosamente azzurra, possiamo pensare che sia un album di foto, ma ovviamente contiene parole. Che poi saranno parole che fotograferanno un dolore, lo scopriremo presto.

Nel frattempo le foto c’entrano lo stesso, riguardano quelle dell’archivio privato di Troncone Parisio che raccoglie foto di Napoli dal 1834 al 1956. La ricchezza di questa raccolta è un patrimonio che Napoli non deve perdere, anche se il rischio si sta correndo visto che il proprietario, malato, si è trasferito a Lecce. de Giovanni confessa che si è messo a disposizione per una sottoscrizione e si è offerto di scrivere i testi di una mostra itinerante che possa raggiungere la somma necessaria affinché il Comune possa acquistare l’intera collezione e regalarla al popolo napoletano e non solo.

Come vedete la partecipazione emotiva delle parole e delle azioni di de Giovanni sono sempre molto evidenti e noi pensiamo di aver ricevuto abbastanza, ma non è vero. Vi ricordate il quaderno? Ebbene è l’ora della lettura. È un racconto breve, l’incontro di Ricciardi e Modo, un medico.

Gli anni sono lontani, ma le storie della povertà e della speranza sono cicliche. Una mamma, un bambino, un medico. Ognuno dei tre deve recitare il suo ruolo: la mamma deve tutelare i figli, il bambino deve essere protetto, il medico deve lottare per salvarlo. Ecco così dovrebbe essere, ma i dialoghi quasi muti tra quella mamma e il dottore, la difficoltà di capire il perché di un abbandono, la tragedia di un abbandono forzato a tutela di altri figli a cui sperare di dare ancora una possibilità, una vita che non ce la fa a sopportare gli stenti. Tre vite, tante guerre interiori, tanti sogni, tanto dolore.

Un racconto che vale tutta la serata che pure è stata bella. Dopo non ci sono più parole, né domande, né commenti.

Vorrei che le persone andassero via, a riflettere su quel dolore, su quelle parole. Che le portassero a casa e le conservassero come gioielli. Chi sa raccontare così il dolore, è persona che ha un cuore.

Ed è stato bello vederlo.

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