Una vita a foglietti

L’intensità del ballo con “Cuartetango Ensemble” per un’altra eccellenza delle Corti dell’Arte

Il meraviglioso Giardino delle Clarisse del Complesso di San Giovanni, ci accoglie per la serata delle Corti dell’Arte dedicata al tango; Cuartetango Ensemble il gruppo che si esibirà per noi qui a Cava, dopo aver suonato a Vienna, come a Istanbul, Roma e addirittura in Kuwait per citare solo alcuni dei Paesi che li hanno ospitati e per definire ancora una volta l’internazionalità della Rassegna guidata da Giuliano Cavaliere, e degli ospiti che ci propone.

Una delle noti particolari di questo  gruppo, è di aver ricevuto partiture autografe di Astor Piazzola direttamente dal figlio Daniel, che gli ha così consegnato un’eredità non da poco e che è stata ampiamente ripagata con esibizioni di altissima caratura.

Sono queste le premesse mentre ci accomodiamo in una fresca serata di agosto, con Eufemia Filoselli, “padrona di casa”, quando ci accoglie e che si trasforma in “presentatrice ufficiale” mentre ci parla del tango, ballo che racconta un modo particolare di esprimere sentimenti, il gruppo e i ballerini che li accompagneranno.

Al violino Giuliano Bisceglia, al violoncello Gianfranco Benigni, al pianoforte Luis Gabriel Chami, al bandoneon Giampaolo Costantini e al flauto, ma anche come voce narrante di questo viaggio che stiamo per intraprendere, Raul Dousset. Per il ballo Marcelo Alvarez e Sabrina Amato, ballerini che, come i musicisti che accompagnano, hanno caratura internazionale.

Iniziano subito con un pezzo di Piazzolla ricco di intensità che mette in evidenza la grinta, l’imposizione, la conquista dello spazio e del tempo dove suonano.

Ma questo nostro incontro, come detto, non sarà fatto solo di musica, ma di aneddoti, di conoscenza, di piccoli dettagli. Raul, con il suo italiano cadenzato da un accento sudamericano, ci dice che il tango è forse il primo prodotto della globalizzazione del mondo. L’espressione di tante culture che si ritrovarono insieme negli anni delle grandi migrazioni e che, con la loro contaminazione, diedero vita a queste atmosfere calde, dove l’influenza italiana, il Bel canto e la melodia di Napoli, si sente fortemente.

E ovviamente i ballerini arrivano a mostrarci ciò di cui si parla.

Incontri, movimenti, perfezione: un ballo che non ti concede errori. Loro volteggiano, noi incantati.

Raul ha voglia di mostrarci altri aspetti e ci parla di come questa musica abbia avuto molte evoluzioni, passando da ritmi africani, formando la milonga per poi giungere al tango che noi conosciamo. Molta di questa musica era creata principalmente per il ballo, ma con Piazzolla si arrivò ad una musica anche di ascolto.

Ciò che arriva a noi è una musicalità bellissima, come colonna sonora di pezzi di vita non di semplici film. Ogni strumento è una voce del coro e il flauto regala l’assolo di una musica conosciuta, riconosciuta dentro piccole pieghe intimamente nascoste.

E ancora il tango che veniva dalla periferia, il Caminito, qui il pianoforte sembra essere molto più protagonista, molto incisivo.

Quando alla musica si accompagna il ballo, noi ne siamo decisamente “distratti”.

I due ballerini partono lontani e passi decisi li portano a sfiorarsi. I loro movimenti filtrano tutta la musica, l’uomo conduce la sua donna senza quasi mai guardarla in viso, c’è un punto preciso del suo sguardo attraverso il quale percepisce ogni dettaglio di quel corpo che si muove come un giunco tra le sue braccia.

Altre piccole notizie, come quelle del compositore Evaristo Carriego, che non amava registrare per non subire le influenze dei manager, ma che si ritrovò poi a diventar famoso con gli arrangiamenti di Osvaldo Pugliese, mitico musicista argentino. Per una volta mi lascio assorbire da tutto senza voler ricercare nulla in particolare. È tutto troppo coinvolgente: lo struggente violino, la sincerità del bandoneon, la forza del piano, il tocco del violoncello e le note del flauto che diventano parole.

Ma Piazzolla è un po’ il protagonista di questa serata e tanti aneddoti sono dedicati a lui. Ci raccontano che aveva un violinista talmente bravo che riportava i suoi pezzi con una facilità che quasi sminuiva il suo impegno, per questo volle fargli uno scherzo. O così credeva. Gli consegnò gli spartiti di un nuovo brano solo la sera prima di andare in sala di registrazione scusandosi di quel disguido. Il violinista non si lamentò e quando erano pronti per registrare, disse che aveva dimenticato i suoi originali in albergo e che avrebbe provato a suonare ricordando…  Cercate il pezzo “Escualo” e capirete quanto possa esserci rimasto male quando Piazzolla lo ascoltò eseguito al primo colpo! Io alle prime note già la amo. Il violino è ovviamente eccezionale. Gli strumenti suonano sempre tutti insieme e a momenti alterni ognuno sembra prendere il sopravvento, ma è solo un’impressione. Tra di loro, nella loro musica, c’è un racconto e la differenza è che non c’è un solo narratore; a ognuno viene concesso spazio e modo di esprimersi. Risultato magnifico.

Ma di Piazzola si può saltare Oblivion? E questa non si può non ballare. Voi ascoltatela, io la guardo e la sento nascere su queste assi che sanno di sudore.

Le emozioni continuano. “Adios nonino” è la musica che Astor Piazzolla scrisse quando seppe di aver perso il padre mentre era in tournnée e non volle che fosse un pezzo per la morte, ma un inno alla vita. Quando non sei presente davanti alla morte devi lasciare che la forza della mente e quindi la vita, prenda il sopravvento. E allora si viaggia veloci, liberi, alla ricerca di quello che non vedi, che non sai, che non riesci a provare. E che, in fondo, non arriverà mai più. Sono note e sono dubbi. È un aspettare alla finestra e non veder arrivare nessuno, solo i tuoi pensieri. Che pensano alla vita.

Un passaggio attraverso Anìbal Troilo e il suo bandoneon per ritornare al caro Piazzolla, famoso grande ma irascibile personaggio. Di lui ci racconta che negli anni 70 venne in Italia e gli fu proposto un album con pezzi della durata di non più di tre minuti l’uno. La risposta fu tremenda perché un compositore non può essere legato al tempo, “come Beethoven”. Ma a questa sfuriata gli fu risposto che Beethoven era morto cieco e morto di fame e tanto bastò. Uno dei pezzi di quell’album è Libertango, voi che ne pensate?

Ma se parli di tango non si può non citare Carlos Gardel, il più famoso in Europa e la sua  El dia que me quieras. Anche qui ci svelano un retroscena. A Parigi, Gardel e un giovanissimo Piazzolla si incontrarono e a quest’ultimo fu chiesto di unirsi al gruppo ma il papà non volle perché non aveva completato gli studi. Quel rifiuto gli salvò la vita, perché l’aereo che trasportava tutta la band di Gardel e il seguito, precipitò senza nessun sopravvissuto.

Casi strani del destino, di vite che si sono sfiorate e mai veramente intrecciate, come i nostri ballerini che si muovono dando l’impressione di essere quasi una cosa sola, ma che tengono ben evidenziate le distanze tra i corpi, seguendo questa musica che attrae, che ti spinge a cercare l’altro come parte indispensabile per poter condividere un’emozione.

Non c’è molto da un aggiungere, le nostre suggestioni sono nate qui, le raccogliamo e le portiamo via per arricchire il nostro bagaglio di conoscenza e di emozioni.

Per il commiato bastano le parole di Eufemia: “La bellezza ha abitato questo giardino e noi ne siamo felici.”

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