Per re Giorgio
Me ne devo liberare. E’un pensiero che mi sta tormentando da giorni. E il modo è sempre lo stesso: scaricare su carta (…)
Sere fa guardavo un servizio sul presidente dell’Uruguay José Mujica . Ne avete sentito parlare sicuramente ma non troppo, perché esempi del genere non vanno seguiti. Conoscevo di lui stralci di un pensiero che mi aveva colpito, ma erano ancora parole. Parole che vi riporto perché non vanno riassunte, non vanno interpretate, ma credo vadano conservate per ricordare che volendo, si può essere diversi.
Vi sembrerà lungo perché l’ho copiato per intero, le parti pubblicate lo hanno fatto sembrare più il discorso filosofico di un sognatore, ma in realtà è una lucida visione della realtà, che smentisce tutte le false buone intenzioni che circolano nel mondo. Ma leggete e giudicate da soli, ognuno ha capacità di riflessione.
Il discorso di Josè “Pepe” Mujica al G20 tenutosi in Brasile
“Un grazie particolare al popolo del Brasile, ed alla sua Signora Presidentessa, Dilma Rousseff.
Grazie anche alla sincerità con la quale, sicuramente, si sono espressi tutti gli oratori che mi hanno preceduto.
Come governanti, tutti manifestiamo la profonda volontà di favorire gli accordi che questa nostra povera umanità sia capace di sottoscrivere.
Permettetemi, però, di pormi alcune domande a voce alta.
Per tutto il giorno si è parlato di sviluppo sostenibile e di affrancare, dalla povertà in cui vivono, immense masse di esseri umani. Ma cosa ci frulla per la testa ?
Pensiamo all’attuale modello di sviluppo e di consumo delle società ricche?
Mi domando: che cosa succederebbe al nostro pianeta se anche gli indù avessero lo stesso numero di auto per famiglia che hanno i tedeschi?
Quanto ossigeno ci resterebbe per respirare ?
Più francamente: il mondo ha le risorse materiali, oggi, per rendere possibile che 7 od 8 miliardi di persone possano sostenere lo stesso livello di consumo e di sperpero che hanno le opulente società occidentali ?
Sarebbe possibile tutto ciò ?
Oppure, un giorno, dovremmo affrontare un altro tipo di dibattito ?
Perché siamo stati noi a creare la civiltà nella quale viviamo: figlia del mercato, figlia della competizione, che ha portato uno sviluppo materiale portentoso ed esplosivo.
Ma l’economia di mercato ha creato la società di mercato che ci ha rifilata questa globalizzazione.
Stiamo governando noi la globalizzazione oppure è la globalizzazione che governa noi ?
E’ possibile parlare di fratellanza e dello stare tutti insieme, in un’economia basata su una competizione così spietata ?
Fino a dove arriva veramente la nostra solidarietà ?
Non dico queste cose per negare l’importanza di quest’evento, al contrario.
La sfida che abbiamo davanti è di una portata colossale, e la grande crisi non è ecologica, ma è politica!
L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma sono queste forze che governano l’uomo … ed anche la nostra vita !
Perché noi non siamo nati solo per svilupparci.
Siamo nati per essere felici.
Perché la nostra vita è breve e passa in fretta.
E nessun bene vale come la vita, questo è elementare.
Ma se la vita ci scappa via, lavorando e lavorando per consumare di più, il vero motore del vivere è la società consumistica, perché, di fatto, se si arresta il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, spunta il fantasma del ristagno per tutti noi.
E’ il consumismo che sta aggredendo il pianeta.
Per alimentare questo consumismo, si producono cose che durano poco, perché bisogna vendere tanto.
Una lampadina elettrica non deve durare più di 1000 ore, però esistono lampadine che possono durare anche 100 mila o 200 mila ore!
Ma questo non lo si può fare perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere la civiltà dell’usa e getta, e così restiamo imprigionati in un circolo vizioso.
Questi sono i veri problemi politici che ci esortano ad incominciare a lottare per un’altra cultura.
Non si tratta di immaginare il ritorno all’uomo delle caverne, né di erigere un monumento all’arretratezza.
Però non possiamo continuare, indefinitamente, a lasciarci governare dal mercato, dobbiamo cominciare ad essere noi a governare il mercato.
Per questo dico, con il mio modesto pensiero, che il problema che abbiamo davanti è di carattere politico.
I vecchi pensatori, Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara, dicevano: “povero non è colui che ha poco, ma colui che necessita tanto e desidera sempre di più e di più”.
Questa è una chiave di carattere culturale.
Per questo saluterò di buon grado gli sforzi e gli accordi che si faranno, e come governante li sosterrò.
So che alcune cose che sto dicendo, possono urtare.
Ma dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e del clima non è la causa.
La causa è il modello di civiltà che abbiamo messo in piedi.
Quello che dobbiamo cambiare è il nostro modo di vivere!
Appartengo a un piccolo paese, dotato di molte risorse naturali.
Nel mio paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, tra le migliori al mondo, e circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore.
Il mio paese è un esportatore di cibo, di latticini, di carne.
E’ una pianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile.
I miei compagni lavoratori, hanno lottato molto per ottenere le 8 ore di lavoro.
Ora hanno conseguite le 6 ore lavorative.
Ma quello che lavora 6 ore, poi cerca il secondo lavoro, per cui lavora più di prima.
Perché? Ma perché deve pagare una quantità enorme di rate: la moto, l’auto, e paga una rata ed un’altra e un’altra ancora, e quando decide di riposare … è oramai un vecchio reumatico, come me, e la vita gli è volata via.
E allora uno si deve porre una domanda: è questo lo scopo della vita umana?
Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità.
Lo sviluppo deve favorire la felicità umana, l’amore per la terra, le relazioni umane, la cura dei figli, l’avere amici, l’avere il giusto, l’elementare.
Perché il tesoro più importante che abbiamo è la felicità!
Quando lottiamo per migliorare la condizione sociale, dobbiamo ricordare che il primo fattore della condizione sociale si chiama felicità umana!
Grazie !”
Di una parte di queste parole mi era rimasto qualcosa, ma come dicevo forse solo filosofia. Poi però, l’ho visto. Ho visto dove abita, ho visto come veste, ho visto sua moglie che condivide le sue stesse idee e modo di vivere, ho visto. E ho avuto immediatamente l’idea del nostro re Giorgio. Si: re Giorgio. Lo posso chiamare così perché lui conduce vita da re, il suo comportamento è da monarca e la prima cosa che gli sta a cuore sono i suoi interessi. Lui che vive in una reggia che costa più della Casa Bianca e Buckingham Palace, lui che gira con scorte come tutti i suoi colleghi del Parlamento. Lui che parla delle nostre problematiche ma non le conosce, lui che ci chiede sacrifici e non ne fa nessuno, lui che si commuove ai funerali di stato e non so quanto faccia per evitarli. Questo è il NOSTRO Presidente, forse solo quello che ci meritiamo. Ma almeno scrivo il mio distacco da questa persona e dai pupazzi che ha messo nei posti chiave del Governo, per consolidare la sua posizione.
Spero capirete che era veramente un chiodo che mi si era conficcato nel cervello e per liberarmi dovevo piantarlo da qualche altra parte
- Neck nomination
- Gramellini e Il Laureato