Una vita a foglietti

Post Fata Resurgo – Cristian Izzo e Gianfelice Imparato raccontano la verità delle Terme di Castellammare

palcoSe vai su Google e cerchi Terme di Castellammare, ti vengono date una serie di informazioni sulle numerose opportunità curative che questa città e le sue acque possono offrire: 28 sorgenti che dal Monte Faito hanno donato, per quasi mezzo secolo, salute e benessere ai cittadini Stabiesi e non solo, tanto che la loro città viene chiamata, con molto orgoglio “la città delle acque”. Solo che se poi scavi un po’ più a fondo, e vai sulle terme in Campania, magicamente Castellammare sparisce! Si, scompare dalla cartina.

Perché la nuova realtà è questa. Sono ormai tre anni che questa grande concessione della natura, questo dono che la città ha ricevuto, è stato accantonato, messo da parte come uno dei giocattoli superflui che abbondano nelle ceste dei bambini viziati. Uno dei tanti, uno “usa e getta”. Ma quando altri guardano lo spreco fatto da chi non ha voglia di dedicare la giusta attenzione ad una meraviglia di questo genere, allora può nascere una reazione, può crescere un pensiero nuovo, una strada di ribellione: Post Fata Resurgo.

Questa è la premessa dello spettacolo che abbiamo visto ieri sera allo Stabia Hall di Castellammare di Stabia. Un testo scritto da Cristian Izzo con la regia di Gianfelice Imparato, una coppia di questa terra, entrambi nativi di Castellammare, che la storia delle terme l’hanno conosciuta, l’hanno apprezzata e che oggi non ci stanno a subirla. Le foto di scena sono di Angelo Sorrentino, le musiche sono scritte e dirette da Salvatore Torregrossa e la sua band, Giuseppe Rapicano alla chitarra, Domenico Guastafierro al flauto, Stefano Califano al basso  e Paolo Scairato alla batteria. Per loro dico solo: perfetti nelle scelte musicali e nell’esecuzione. Se la magia è stata quella che è stata, loro hanno contribuito con tanta tanta bravura e professionalità.

Quando entriamo vediamo questa figura immobile, messa in alto, ancora non sappiamo chi è.

L’attesa della sala è tanta. Quando si spengono le luci, sappiamo che siamo ad un passo dall’inizio e cade un silenzio che porta quasi tensione, come se gli spettatori aspettassero questa prima come una rivelazione. O forse come una condanna. Minuti e minuti di silenzio, poi i musicisti si appropriano degli strumenti e la figura prende vita e con la vita arrivano le parole…

Forse questa recensione andrebbe scritta in dialetto, così come Cristian ce la racconta dal palco. Ma confesso di non esserne capace!

Quando comincia a parlare, dalle sue parole di rabbia e di dolore arriva chiara anche la sua origine: è monte Faito che parla, la montagna che regala le acque magiche, quelle della salute, quelle adatte ad ogni tipo di problema, quelle che gli abitanti della sua città possono e devono utilizzare per essere sani e forti. Quelle che abbiamo trovato ad accoglierci al’ingresso, in uno spaccio clandestino di acque legittime. È lui a scoprire che c’è qualcosa che non va nel percorso delle sue 28 sorgenti, per questo le incita all’attacco, alla guerra contro coloro che hanno osato pensare di interrompere il flusso della salute e penalizzare gli stabiesi.

Le sorgenti allora si materializzano in 12 splendide ragazze, Giuliana Barbato, Anna Bocchino, Clara Bocchino, Marianita Carfora, Valeria Cimmino, Roberta Inglese, Grace Lecce, Eliana Manvati, Laura Pagliara, Fabiana Russo, Ida Sorrentino e Chiara Vitiello. Armate di scudi, lance e soprattutto orgoglio, sono pronte a combattere per il diritto alla loro esistenza e al benessere degli uomini di questa terra. La loro rabbia la cantano con maestria, con partecipazione.

E poi sono spinte da quel monte, quello che ricorda la battaglia delle Termopili, che inneggia a Leonida, al valore suo e dei suoi uomini, quelli che non si erano preoccupati di essere solo 300 per fermare un nemico, non avevano pensato alla loro vita pur di salvare quella dei loro cari, quelli che avevano lasciato le proprie case per poter essere pronti a difenderle. Perché se oggi c’è ZERO, domani ci sarà NIENTE, ma se oggi sono TRENTA, domani potranno essere CENTO.

L’interpretazione di Cristian sembra ricordare una gestazione. La sua rabbia vomita parole dure, pesanti, contro chi promette cielo e mare e poi prosciuga il mare ed oscura il cielo; contro chi cambia e si salva perché non vuole cambiare e non vuole salvarsi; contro chi vive sentimenti sporcati, rapporti malati, e versa sangue su una pizza che si dividono sempre le stesse persone. Gelosia, invidia, falsa allegria, “putarria”, “vularria”, “mi salvarria”.

Il testo è forte, Cristian non risparmia niente da quel palco. A un certo punto sembra sfinito, come se davvero la battaglia che ha voglia di combattere l’avesse distrutto. Potrebbe arrivare a dargli fiato e forza la voce del Mare, quello che si è ritirato per dare spazio alla città e che potrebbe ancora rivoltarsi per purificarla. Ma le parole che vengono pronunciate sono un’ulteriore condanna!

Il Monte e le sorgenti che avevano deciso di combattere per salvare le vittime di Castellammare, scoprono che sono proprio loro a vestire i doppi abiti: vittime e carnefici.

La scoperta è drammatica. Le sorgenti sono bloccate. Il Mare le invita però a non desistere e loro ci avvolgono nella sala, ci arrivano alle spalle, si mischiano voci che ricordano il blues, i canti gospel, un misto di meraviglia che se pure non rende chiare le parole, lascia nella musicalità, nei timbri splendidi delle loro voci la magia di un dolore, di una scoperta e allo stesso tempo di una presa di coscienza che non deve rimanere vana.

Solo Dio capisce il dolore di chi offre la propria vita per salvare gli altri.

La paura non tocca chi percorre il sentiero della libertà.

Ma l’acqua pura può anche attraversare le fogne e sapere di trasformare il marcio in purezza. Questo sarà il compito di quelle acque pure, salvifiche, determinate ad arrivare allo scopo, anche a costo di distruggere la stessa città.

Come sempre quando si arriva alla fine degli spettacoli di Cristian Izzo, siamo certi di aver preso tutto da lui. Non c’è parte di sé che non abbia la necessità di essere trasferita a chi ha avuto il piacere di ascoltarlo, di ammirarlo, di sentire quella voglia profonda e forte di voler combattere l’apatia di un mondo dominato da interessi personali, da cattiveria nascosta da benevolenza, da violenza giustificata da odio.

L’applauso è lungo, convinto. Le parole di saluto di Gianfelice Imparato, assente giustificato, a cui Alessandro Langellotti dà voce, sottolineano la necessità che l’autore ha provato nel denunciare un’offesa, un degrado a cui le autorità competenti hanno portato la città di Castellammare. Di come si sia data forza alla recitazione, alle parole e alla voce e non alle scene, che risultano essenziali. Perché la denuncia è già talmente forte, sentita, vera, che quasi quei versi “… non meritano l’onta della recitazione”.

Quando prende la parola Cristian, non ha quasi più fiato, ma la grinta non gli manca mai.

Il saluto alle autorità assenti e non patrocinanti, forse a sottolineare un’ottusità congenita, una voglia di essere ciechi e sordi verso quelle che sono le esigenze delle persone comuni, di coloro che dovrebbero trovare ricchezza e sostentamento dalle ricchezze che la natura ha spontaneamente offerto e che loro hanno rinchiuso dietro maschere di falsità, perché c’è molta più cattiveria che bontà, molta più corruzione che trasparenza.

Non so cosa cambierà dopo questa serata, non so come torneranno a casa gli abitanti di Castellammare che hanno voluto omaggiare un parente o un amico sul palco, ma che si sono comunque ritrovati ad essere testimoni di una denuncia reale, concreta, forte che sta anche a loro non far passare inosservata. Non sempre si è colpevoli solo di aver compiuto una cattiva azione: si può diventare complici di un “delitto” anche se, assistendo alla colpa, giriamo lo sguardo.

Quello che so è che quando siamo andati via da questa città, mi sono fatta accompagnare da una splendida luna che ha giocato a nascondino con quei monti alti, maestosi, che raccontano in ogni momento la ricchezza che nascondono. Montagne che proteggono, arricchiscono, che hanno offerto le loro pendici, come fa un collo ad una collana, per far risplendere diamanti di persone, di luci, di vite che devono essere vissute e non schiacciate, che non vanno abbandonate e violentate.

Luoghi che hanno solo regalato ciò che avevano a chi ha scoperto quelle ricchezze e che si sono visti negare anche la semplice realtà della loro esistenza.

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