Una vita a foglietti

Uomini da traguardo

Difficile trovare un inizio a queste pagine. Difficile a volte capire perché ci sono pensieri che pretendono di venir fuori immediatamente dopo essere stati partoriti, che scoppiano nella testa e si cercano uno spazio e di come altri invece, si depositano come semi in un terreno che sperano possa essere fertile, per poter crescere e, una volta maturi, dare i loro frutti.

Pochi giorni fa ho visto un film; uno di guerra.  Non ne conoscevo il titolo, e non capivo neanche perché non avevo immediatamente girato come spesso mi accade nel vedere le scene di quella follia chiamata appunto “guerra” , che porta solo violenza e distruzione e che qualcuno, in qualche modo assurdo, cerca di giustificare in nome di qualcosa.

Non mi piaceva, non sopportavo quegli abusi, ma non ho girato. Quelle scene, quelle persone, avevano qualcosa da dire. Non sapevo cosa, niente apparentemente lo poteva far immaginare diverso dagli altri, eppure non ho cambiato canale.

To end all wars (Per finire tutte le guerre), una storia vera tratta dalla biografia di uno dei sopravvissuti; se avessi conosciuto il titolo forse mi  sarebbe stato più chiaro perché lo guardavo, ma non lo sapevo. Tutto a scatola chiusa.

Sono state tante le considerazioni che ho fatto alla fine, ma le parole non mi sorreggevano. Non sapevo spiegare quello che avevo visto. Le immagini si sovrapponevano, per certi versi, all’altro film di cui ho parlato: “Ostili”, ma era più difficile trovare una collocazione a queste nuove emozioni.

Poi stamattina in Chiesa, il luogo dell’illuminazione, il mosaico si compone.

È il giorno che festeggia l’Ascensione al cielo di Gesù. Quando Padre Giuseppe inizia la lettura del Vangelo, arriva fortissimo il profumo dei gigli che addobbano la chiesa per le prossime Comunioni che si celebreranno. Erano già lì quando siamo arrivati, ma solo adesso arriva quel profumo intenso, come un risveglio.

La partenza e il traguardo, sembra che la nostra vita possa essere paragonata ad una semplice competizione in cui si parte e si ha un obiettivo. Ma cosa sappiamo di questa gara? Cosa abbiamo in partenza e cosa troveremo alla fine?

Ciò che è a nostra disposizione è il nostro punto di partenza. Dalla nostra realtà, qualunque essa sia, dobbiamo essere pronti a cominciare. Non c’è da lamentarsi sentendosi penalizzati, né da ringraziare come se fossimo privilegiati. Siamo così. Il nostro patrimonio è stato dato, a noi sta utilizzarlo in un certo modo.

Immagino vi siate persi nei miei pensieri come spesso faccio anch’io, ma la strada che hanno fatto è stata proprio questa e non mi sento di cambiarla.

Il mio bagaglio aveva quei pensieri in sospeso e le parole di don Giuseppe sono state l’acqua che le ha fatte crescere.

Ecco cosa c’era in quel film. Prigionieri scozzesi in un campo di giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Non solo apparenti vincitori e vinti, ma anche scontro di culture. I giapponesi non hanno rispetto dei prigionieri perché non si tolgono la vita una volta perso l’onore delle armi. Una convivenza difficile dunque, che implicava non solo un dominio fisico, ma anche filosofico.

Che armi hanno dei prigionieri di guerra? Cosa puoi usare per parare i colpi della fame e delle violenze che ti vengono inflitte? Come puoi dimenticare l’amico che viene ucciso brutalmente davanti ai tuoi occhi, o far finta di non vedere l’apparente egoismo di chi pratica un misero mercato per ottenere piccoli privilegi? Perché dovresti giustificare un assurdo tentativo di fuga in una giungla che non ti lascia nessuna via di scampo?

Il nulla dunque. Solo duro lavoro e tentativi di sopravvivenza guardando ad un domani che si allontana sempre di più.

Ma c’è qualcosa di prezioso in quel campo di prigionia. Ci sono uomini! C’è Dusty, che custodisce un tesoro, la sua Bibbia. Lì sceglie il versetto per accompagnare l’ultimo viaggio del suo comandante ucciso “Se il seme non muore non può dar vita alla pianta…”, lì trova l’esempio di un’umanità che non conosce cattiveria, che va oltre le violenze, che insegna l’Amore e il Perdono. Non quelli che possiamo pronunciare, no. Quelli sono per tutti. Lui li sperimenta davvero quei sentimenti. E viverli non è come raccontarli, perché è quell’insegnamento, quell’esempio che regala tutta la forza del mondo, che rende il prigioniero più libero del suo carceriere.

Noi non riusciamo sempre a percepire questa sottile ma profonda differenza tra ciò che esiste fuori di noi e la forma e il peso che esso assume se diventa parte di noi.

Questo c’era in quel film. Una storia di uomini che hanno creduto di poter mantenere alto il loro spirito più del loro corpo. Hanno usato il sapere, la filosofia, la letteratura, l’arte, la musica e tutto quello che conservavano nella loro memoria di uomini che avevano avuto una vita libera, per sopravvivere non alla durezza di quella vita, non alla guerra in sé, ma a se stessi. Uomini che hanno sperimentato fino alla morte il valore di quegli insegnamenti con la certezza di aver vissuto e di aver lasciato nuovi semi dietro di sé.

Ci sono ferite che l’uomo non può infliggere. Un carnefice può martoriare il tuo corpo, ma se la tua fede è forte e viva, lì non potrà arrivare mai e la sua mano non ti farà del male.

Sarai tu, con un nuovo insegnamento a lasciarlo sgomento.

Sarai tu ad arrivare al traguardo unito al Signore, indipendentemente dal bagaglio che ti è stato assegnato per il viaggio, perché se lo saprai usare, sarà sempre quello giusto per te.

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