Una vita a foglietti

Giacomo Casaula, la sua band e un cielo blu

goTornare. Ad ascoltare Giacomo Casaula e a Casa Apicella. In una sera ho fatto le due cose.

Con Giacomo la musica ha sempre il sopravvento, ma per lui va anche vissuta e raccontata per questo un “concerto” diventa spettacolo.

Il contesto racconta un’introduzione, la bambolina in tutù rosso, Carolina, e l’omino, Mario, che l’accompagna ci parlano del teatro, della citazioni di Cocteau, di Hugo, di Shakespeare, ma io stavo guardando quella valigia piena di cappelli e il Cappellaio Magico che ce ne avrebbe raccontato e suonato le storie.

Ho parlato altre volte di Giacomo e delle sue grandi passioni: Giorgio Gaber, Rino Gaetano ed è quest’ultimo il nostro protagonista. La serata attraversa gli anni del giovane cantautore e ogni racconto introduce le canzoni che hanno generato. O forse la musica che aveva dentro gli facevano cercare.

E per Giacomo la ricerca è lì: provare a tirare fuori da quelle parole un significato sempre più profondo. E per farsi aiutare chiede aiuto alla sua band. Tutti total black. Alle chitarre acustica ed elettrica, Davide Trezza, alle tastiere e fisarmonica Ernesto Tortorella, al basso Luca Masi, al sax Ermanno Ferrara, alla batteria Vincenzo Gigantino.

Vi anticipo adesso la grande qualità dei ragazzi che spero per professione facciano proprio i musicisti. Meravigliosi. La loro presenza e la loro bravura ha di sicuro innalzato la qualità di tutto lo spettacolo.

Gli argomenti trattati sono di grande peso, come la Rivoluzione e proprio mentre ne parla, arriva un leggero vento, come se la nostra Casa vivente avesse emesso un vero respiro mentre ricordava un passato che sembra sempre più presente.

Poi dalla valigia spunta il sombrero e si parla di Ahi Maria, donna messicana, tra fantastici passi di una danza che non ammetterebbero in nessuna Accademia ma che non potrebbero essere diversi qui, con lui, fatti da lui. Quella camminata sbilenca, quella magrezza che gli consente di districarsi tra aste di microfoni e fili, passandoci quasi attraverso e la certezza che “…altri hanno scritto canzoni d’amore più belle delle sue”, ma una forse se la concede. Ernesto parte da solo con le sue tastiere e mi restano in testa quelle parole: “…non ho bisogno di denaro ma di sentimenti…” e con Sfiorivano le viole, parla d’amore a modo suo. Il sax con le sue note aggiusta tutte le parole che non ci sono.

Con la bombetta nera, arriva l’esperienza di Sanremo. Il cappello un regalo di Renato Zero e la partecipazione un tentativo per cercare di cambiare qualcosa dall’interno e far ballare chi non aveva mai ballato. E le indimenticabili note di Gianna arrivano.

A mano a mano di Cocciante non so se diventa ancora più bella nella versione di Rino Gaetano. Ascoltatela e provate a rispondervi. Ma qui, adesso, è davvero una poesia.

La voglia di far rivivere una vita, una storia che meritava e merita di non essere dimenticata.

E il retroscena dell’appellativo “vile maschio”, datogli da due bellezze con cui aveva rifiutato di fare sesso a tre. Femministe convinte, finite a fare le vallette per una TV privata. E le note lente di Resta vile maschio, dove vai, fanno da sottofondo per un’altra storia.

La sigaretta accesa e la sedia, come se fosse davanti al bar con gli amici e stesse raccontando un pezzo della sua vita.

E perché non ricordare lo spunto preso da Bocca di Rosa di De André per scrivere a sua volta una canzone sulla rosa? Ma Rosa d’amore, non serve per paragonarsi al grande maestro, le tematiche di Rino sono state sempre il sud, le migrazioni la politica le ingiustizie. “Ho vissuto a Roma ma le mie mani erano a Crotone”.

Mentre lo guardo sono sempre convinta che con ogni cosa che fa, sta per dirti qualcosa di speciale. Forse non è vero, forse è solo una mia aspettativa, ma la sensazione, la speranza e poi la certezza è che davvero fai nuove scoperte.

Mano mano che andiamo avanti, i tanti fogli del leggio finiscono nella valigia insieme ai cappelli, per cui invece di svuotarsi diventa sempre più piena. Ci sono cose troppo serie da mettere dentro una canzone?

E quale canzone è più piena di sogni, desideri, di amore, di politica, di guerra, di ricostruzione, di senso civico, di speranza, di storia di Aida? Scritta a 20 anni, in quegli anni in cui tutti pensiamo che sarebbe bello cambiare il mondo cancellando ingiustizie e violenze, ma che quando la cantiamo a 50 di anni, forse scopriamo che il mondo ha provato a cambiare noi. Quanto glielo abbiamo permesso ognuno lo sa nel profondo di se stesso.

Aida, la patria, la donna immaginaria “…di cui ancora cerco il bagliore…”, perché racconta una storia che non abbiamo voluto imparare.

Meriterebbe un bis. Ma si arriva alla solitudine, alla bellezza che pure contiene e che ci portiamo dietro e non può che arrivare Mio fratello è figlio unico e la certezza di avere la possibilità di “…raccontare tante piccole storie anche senza aver letto Freud…”

Ma Rino torna ad essere Giacomo quando cita Higuain che non poteva andare alla Juve e all’onore del Crotone che è rimasto in serie A. Ne sarebbe stato fiero il caro Gaetano.

Per i saluti finali ognuno dei musicisti ritorna e con una frase evidenziano le grandi contraddizioni di questo nostro tempo, delle nostre società che ci dicono di fare delle cose e poi agiscono in maniera tale da non permettercele. NO RELATIONS.

Ma perché lasciare a loro la possibilità di spegnere le nostre speranze? Se alziamo gli occhi, la luna quasi piena e il cielo stellato di questa calda sera di luglio, sembrano chiedere quell’ultima canzone Ma il cielo è sempre più blu, perché qualunque disamina di un tempo che da sempre predilige la sopraffazione sul più debole, a noi, che pure siamo dalla parte “sbagliata”, non può togliere la possibilità di continuare a sperare.

Perché il cielo è blu. Per tutti quelli che hanno la voglia e la forza di alzare gli occhi e non guardarsi solo la punta dei piedi.

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