Una vita a foglietti

I figli, perché così sconosciuti?

Nella foto ci sono i nostri figli. Noi con loro abbiamo la presunzione di credere di conoscerli un po’.

Dove sono esiliato?

Questa è la domanda che mi resta nella testa della seconda domenica d’Avvento. Una domenica che arriva prestissimo, molto legata alla fine della notte che è stata lunga e inaspettata.

Non sono più abituata alle ore piccole, direi piccolissime, soprattutto se il giorno dopo hai una ventina di persone a pranzo. Ma sono tutti di famiglia e non mi faccio nessun problema.

Perché allora quella domanda? Tra l’altro riportata in fretta nell’agendina della domenica, quella che coglie espressioni e sensazioni al volo. E nella stessa pagina un’altra domanda in sospeso: “Dicono che tu sei…”

Ogni pagina del Vangelo è un continuo richiamo al nostro IO. Dicono che tu sei: gli altri dicono e noi cosa facciamo? Parliamo con le stesse parole degli altri o siamo in grado di pensare e affermare “Io dico che tu sei?”

“Dove sono esiliato” è allo stesso tempo un monito e una ricerca. Essere esiliato significa essere fuori dal posto di origine, lontano dal luogo dove si dovrebbe e si vorrebbe essere. Ma è anche la domanda che ti poni se sei fisicamente nel posto giusto e con la mente sei altrove! Perché non sempre le due cose coincidono.

E torna l’augurio del Vangelo, del Signore: cerchiamo il nostro deserto dove poter ascoltare noi stessi e chi ci parla?

Queste considerazioni che sembrano campate in aria, in realtà hanno forti legami con la quotidianità e con la mia lunga notte. La nostra lunga notte, perché eravamo in tanti seduti ad un tavolo mentre si parlava, si beveva e si cercava una soluzione ad un vecchissimo problema.

Figli. Genitori separati. Nuovi compagni. Nuove compagne. Nuove vite che non sempre sanno esserlo. Vecchie e giovani vite che rischiano di disperdersi nelle vecchie contraddizioni di grandi poco consapevoli.

L’argomento “figli” sembra un mero esercizio dialettico. Su di loro si fanno dibattiti, in questi giorni purtroppo se ne parla per la tragedia di Ancona, di cosa ascoltano, degli esempi che gli diamo, di quello che, “sempre gli altri”, gli fanno vedere.

Non credo che ci siano regole da consigliare in assoluto. I figli sono parte di noi genitori senza che siano nostri; noi, come genitori, saremo sempre una cosa loro. Noi apparteniamo ai nostri figli e ne siamo responsabili per un piccolo, minimo, eclatante dettaglio: noi li abbiamo scelti. Noi li abbiamo voluti.

Perché sapete, l’inizio è tutto lì. L’educazione di un figlio è una cosa a cui devi cominciare a pensare prestissimo, ma sempre dopo quell’altra riflessione: lo voglio? Non se sono capace di crescerlo, ma “lo voglio?”. Come ci chiedono nel momento del matrimonio: Vuoi tu? Volere. Scegliere, decidere, non inteso come pretesa di un giocattolo, di un vestito, di una novità che poi  se non piace si butta via.

Volere un figlio significa esserci per sempre per lui. Non cancellare la propria vita per lui, ma continuare a crescere, a migliorare la propria e di conseguenza insegnare meglio anche a lui.

Da anni molti seguono riviste, prendono alla lettera le teorie dell’educazione…  Ben vengano le nuove scoperte che migliorano la qualità della vita, ma qualche volta vi siete chiesti se potete affidarvi all’istinto? Quello bello, che vi fa guardare i vostri figli come un miracolo che avete ricevuto e non come un trofeo da mostrare e se poi c’è da studiarlo nel particolare, non sappiamo come trattarlo? Perché il giornale vi parlerà sempre di casistiche di massa, vi dirà quello che in generale va fatto, ma voi siete di fronte ad un essere unico. Anche se avete due tre quattro … dieci figli, saranno sempre unici. Con ognuno avrete una relazione diversa. Già questo dovrebbe farci aprire gli occhi e dimostrare quanta attenzione si deve mettere per arrivare alla meta con ognuno di loro (intesa come crescita personale) e allo stesso tempo capirne le diverse esigenze, le diverse attitudini, le diverse paure, le diverse aspettative.

Come vi sembra questo compito? Siamo davvero certi di poter o saper dare tutta questa attenzione? La cosa bella è che, prima, non lo sa nessuno. Non ci sono corsi che ti spiegano come fare il genitore. Non ci sono lauree in merito. Ci sono solo giorni di gavetta, di errori, di gioie, di dolore. Tutto c’è nella vita di un genitore e la cosa più bella che si può fare, è sapere che in tutti questi sentimenti, in tutte queste emozioni, devi metterci solo sincerità.

Una sincerità che devi a te stesso e che di conseguenza donerai ai tuoi figli. Non è sbagliata la canzone rep, non è proibito il tatuaggio, il viaggio, il fare tardi la notte. Non ci sono proibizioni se tu hai insegnato ai tuoi figli a vivere come tu vivi. Con la stessa tua coerenza, con i tuoi stessi principi.

E badate bene che io non sto indicando quali devono essere! Non ho nessuna presunzione nel dire cosa sia giusto o cosa sia sbagliato. Quello che dico è che bisogna essere coerenti.

Certo, qualcuno più attento mi potrebbe dire: come faccio a sapere se sono coerente? Bella domanda!

In una società che ci vuole fatti in un certo modo, coerente, non è la parola giusta per raccontare un punto di vista. Oggi ci sentiamo coerenti se seguiamo tutte le mode, se vestiamo abiti firmati o se facciamo tutti le stesse cose. Non importa se poi la moda non ci piace o non ci sta bene, se l’abito firmato ce lo possiamo davvero permettere o se le stesse cose significa farci seguire un branco di cui forse non condividiamo niente, ma restarne fuori fa più paura che farne parte a malincuore.

Allora chi siamo noi? Quali opinioni abbiamo? Perché ci lamentiamo se i figli hanno troppi compiti? Perché discutiamo un professore che mette un brutto voto? Perché ci rivolgiamo al tribunale se ce lo bocciano? Perché carichiamo le vite dei nostri figli con le aspettative delle NOSTRE vite?

Forse ci siamo dimenticati di viverla la nostra e adesso pensiamo di non avere altra valvola di sfogo che non passi attraverso la loro. E così avremo sbagliato due volte: nei nostri confronti e nei loro!

Ne ho ascoltati di genitori separati che si contendono i figli. Ognuno è convinto di fare il massimo, ma tra se e quel figlio, c’è sempre l’ombra dell’altra persona. Il lui o la lei che non c’è più e che si trascina dietro, oltre il veleno e gli alimenti, anche quell’altra cosa, quel fagotto che passa da una parte all’altra senza capirci molto. Questi figli che oggi “capiscono di più perché ce ne sono tante di coppie separate”, come se anche questa fosse una moda, come se anche a questo ci si possa o ci si debba abituare.

Ma voi genitori, quando litigate per i vostri interessi, per le vostre incomprensioni, vi siete veramente chiesti cosa pensano i vostri figli? Quando vi sputate addosso veleni facendo apparire “l’altro” un misero essere, vi ricordate che state parlando dell’altro genitore di quel figlio? Di quell’altra parte che è stata indispensabile per la sua nascita, una delle due figure che si vorrebbero sempre avere nella vita, perché un padre e una madre sono indispensabili! Non si chiede ad un figlio di scegliere chi preferisce! Quello che accudisce o quello che paga. Quello che dice no o quello che ti accontenta sempre.

Perché siete così ciechi? E non dite che “voi” non lo fate. A chiacchiere non lo fa nessuno, ma nei fatti lo fanno in molti. È nella natura umana criticare e se io non sto più con te, vuol dire che tu sei cattivo e io sono  buona.

Non pensiamo mai di fare un passo oltre il nostro egoismo e lasciare che i litigi dei grandi non diventino le colpe dei figli. Loro saranno i nuovi genitori di domani. Dove dovranno imparare la correttezza, la responsabilità se non hanno avuto modo di sperimentarla nel loro cammino?

Perché poi capita che uno dei due si stanchi dei litigi, degli attacchi e delle pretese e allora cosa si fa? “Basta, fai come vuoi tu!” Ci si arrende o ci si toglie di mezzo? Ma noi siamo grandi, noi possiamo decidere di cambiare, ma un ragazzino come deve reagire di fronte a questa frase? Cosa pensate che voglia? Forse vorrebbe dirvi qualcosa, forse vi vorrebbe meno acidi e più sensibili, ma glielo lasciate spiegare questo concetto?

O lo imballate dentro gli standard che abbiamo costruiti, dove l’aiuto lo vanno trovare dall’amico che forse ha vissuto quella situazione prima di lui e se ne è già fatta un’esperienza. Ma in cosa lo potrà consolare? O forse potrebbe dirgli che dai divorzi si ottiene qualcosa in più, perché puoi chiedere. I sensi di colpa in genere aprono i portafogli. E si inizia il giro del materiale che tenta di riempire i buchi del cuore, come un formaggio con i buchi, butti da una parte, ma esce dall’altra e mai niente basterà, perché quello che servirebbe sarebbero braccia  a scaldarti, a chiudere quelle fessure dentro cui butti cose, ma che vorrebbero ricevere luce e amore.

I figli! Ne parliamo tanto, sono la nostra croce e la nostra delizia. Soprattutto sono il mondo che non conosciamo, e che, colpevolmente, spesso non vogliamo conoscere.

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