Una vita a foglietti

Trappola per topi – Brividi e grandissima qualità alla Rassegna teatrale ArteTempra

Da laredazione.eu

La pioggia e il vento improvviso di questo lunedì 10 dicembre, ben si intonano con l’atmosfera da “giallo” che la signora Clara Santacroce ha scelto di rappresentare per questa terza serata dell’Autunno Cavese all’Auditorium De Filippis, presso I.I.S. Della Corte-Vanvitelli a Cava de’ Tirreni.

La scelta è caduta su uno dei tantissimi racconti della grande scrittrice Agatha Christie che è arrivato in teatro e che, nella capitale britannica, è in cartellone ininterrottamente dal 1952. Parliamo di Trappola per topi che, per l’occasione, è stato anche riadattato dalla signora Clara, con la collaborazione di Lello Conte.

Mi siedo con grande curiosità perché, anche se il genere  non è una novità per l’eclettica scuola d’arte di Cava, a me non è mai capitato di vederlo.

Buio in sala e silenzio.

Tre topolini ciechi… parole di una vecchia canzoncina, ma che i bambini che l’ascoltavano hanno conservato quasi come una maledizione, ci introducono in una scenografia davvero ben congegnata: un salotto con varie sedute che si apre su un’enorme vetrata – finestra che mostra un paesaggio innevato e che permette di seguire l’arrivo dei particolari ospiti della locanda“Monkswell Manor”,  dove si svolge tutta la storia.

Noi siamo stati particolarmente fortunati perché, ad introdurre le scene, abbiamo avuto l’ospite più qualificata che potessimo immaginare: Agatha Christie. Non importa che noi la conosciamo come Brunella Piucci; in questa serata, in quegli abiti, in quel personaggio dall’accento inglese, abbiamo scoperto che ci stava talmente bene, che forse è quello che le piacerebbe vivere per davvero.

Ci racconta il punto di vista della scrittrice, di come spesso si può credere che l’omicidio sia l’inizio di un racconto, mentre in realtà ne è solo l’epilogo. Sono fatti, storie, circostanze che creano i presupposti affinché persone, apparentemente estranee, si ritrovino in un determinato luogo, come a ricomporre un puzzle che rende l’immagine completa e chiara.

Per questo diventa necessario introdurre i personaggi uno alla volta, presentarli al pubblico, cominciare ad unire vite, come piccoli pezzettini dai lembi combacianti ma che ancora non sanno come si incastreranno.

Tre topolini ciechi… e Molly Ralston (Vivian Apicella), entra in scena. Si guarda intorno, nasconde un pacco dentro una panca sgaiattolando via già furtiva, imitata poco dopo dal marito Giles (Gerardo Senatore).

I due sembrano già nascondersi qualcosa, solo l’arrivo del primo ospite, Christoper Wren (Francesco Savino), interrompe i  loro discorsi. Altissimo, nevrotico, sguardo ficcante, regala alla giovane e bella Molly commenti che poco piacciono al marito Giles. La nostra Brunella Piucci, torna tra i protagonisti: è la signora Boyle, petulante e lamentosa, critica verso tutti, ma che pure dimostra di avere qualcosa da nascondere.

Seguiranno il signor Metcalf (Lello Conte), misterioso maggiore in pensione e la signorina Casewell (Luciana Polacco), persona chiusa, tenebrosa, con grandi sbalzi d’umore.

Poi l’inatteso signor Paravicini (Carmine Squitieri), quello senza prenotazione, capitato lì a causa della neve che “lo ha sbalzato fuori dalla sua Rolls Royce” e che, come gli altri, mostra comportamenti poco chiari.

Ultimo ad arrivare sarà il sergente Trotter (Gianmaria Salerno), dopo una breve telefonata che Molly riceve convinta che sia del posto di polizia di Londra, che sta indagando su un omicidio avvenuto proprio nella capitale da poche ore, ma che ha collegamenti  con una storia di violenze e dolore di molti anni prima.

Tre bambini orfani di madre furono affidati ad una famiglia apparentemente meritevole, ma che torturò e seviziò i tre piccoli, fino a causare la morte di uno di loro. Quella matrigna disdicevole era stata assassinata e la locanda, che si trovava nei pressi della fattoria in cui erano avvenute le sevizie, poteva essere scenario di altri sviluppi della stessa storia.

Con un poliziotto in casa, tutti si sentono in discussione e tutti sono timorosi. La storia che Trotter racconta comincia ad avere contorni che ancora non svelano la verità, ma dimostrano come ognuno dei presenti ha qualcosa da nascondere. Molly ha riconosciuto nella signora Boyle il giudice che decise a chi affidare i tre piccoli bambini, ma le prime conversazioni non impediscono all’assassino di commettere un altro omicidio e la vittima sarà proprio l’anziana signora.

La paura è ormai padrona della scena. Tutti si guardano con timore e sono pronti ad accusarsi l’uno con l’altro. Ciò che prima sembrava conosciuto diventa tenebroso, anche per i proprietari  della locanda: Molly non vuole credere che suo marito possa essere un assassino, ma il giornale della sera che ha portato a casa, dimostra la sua presenza a Londra. E pure Giles trema, mentre lo sguardo gli cade sui guanti della moglie al cui interno c’è un biglietto del treno della capitale.

Ma anche Christopher non riesce a scagionarsi del tutto. I modi introversi, gli scatti, i tremori continui delle mani e dei piedi, lo sguardo sempre nevrotico, non lo rendono affidabile.

Come la signorina Casewell che cerca di crearsi un alibi mostrando la lettera pazientemente piegata e infilata nel taschino, che afferma di stare scrivendo al momento dell’omicidio. Solo è difficile pensare che mentre senti un urlo hai la lucidità di riporre la lettera in questione!

O il maggiore Metcalf che afferma di trovarsi nelle cantine, ma senza apparente motivo.

E quel signor Paravicini? Che nessuno si aspettava e che non aveva neanche prenotato?

La tensione è altissima, ogni parola, ogni gesto sembra avere significati diversi, sembra essere preludio ad un nuovo colpo di scena. E il colpo di scena si rivela.

Alle nostre spalle la rediviva signora Boyle, che per l’occasione ha di nuovo il cappellino di Agatha Christie, che la rende molto Miss Marple,  ritorna. Il gioco di luci che gestisce da sola, nella sala completamente buia con una torcia puntata sul viso, sugli occhi spalancati, ci fa incollare un po’ di più alla sedia. Fa un riepilogo dei personaggi, sottolinea sfumature dei loro caratteri e ci interroga. Si avete capito bene: la sua torcia adesso è un puntatore e io sono la sua prima interlocutrice. Chi è l’assassino? Rispondo a bassa voce, come a non volerlo svelare, anche se è solo una mia impressione e non ne sono sicura “Il sergente Trotter”. Altri vengono interrogati, altre risposte in un soffio e di nuovo Agatha scompare…

La scena finale è quella che deve svelare tutto. L’assassino davvero è il sergente Trotter che però sergente non è. È lui uno dei tre piccoli tornato per vendicare la morte del fratello. E la prima a riconoscerlo è stata la signorina Casewell, perché è sua sorella. Il maggiore Metcalf è il vero poliziotto della situazione, arrivato per indagare in incognito, mentre Christopher era amico di scuola del bimbo morto ed entrambi erano alunni di Molly, che all’epoca, come insegnante, aveva ricevuto una richiesta di aiuto alla quale non aveva potuto rispondere perché gravemente malata. Ma quel grido lasciato in sospeso non le aveva dato più pace.

Molly ha mentito e pure Giles, ma solo per nascondersi il  regalo che si erano comprati a vicenda per il loro primo anniversario d matrimonio.

Il signor Paravicini infine, era solo un trafficante di oggetti rubati trovatosi per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Ecco dunque il mistero svelato. Un racconto che ci ha tenuti col fiato sospeso, ma che ci ha regalato riflessioni profonde. Chi sono le persone che ci circondano? Siamo sicuri di conoscerle fino in fondo? È l’apparenza che ci condiziona o l’essenza delle cose? Gli uomini che vite vivono? Di ricerca, di scoperte, di vendetta, di dolore? Tanti personaggi, tante filosofie di vita. L’omicidio, nel caso del testo, obbliga i presenti coinvolti ad interrogarsi sul loro passato: nella vita reale è la morte in assoluto che ci dovrebbe far rimanere vigili sulle scelte e sulle decisioni che prendiamo?

È teatro, è scrittura, in verità sono lezioni di vita. I ragazzi in scena stasera hanno dato una prova davvero superba di qualità e dedizione. Sono una nuova generazione di studenti del Teatro Arte Tempra, nuovi talenti che, grazie alla signora Santacroce, a Renata Fusco e ai loro storici collaboratori, stanno avendo la possibilità di far sbocciare delle qualità cristalline. Tutti sono stati più che bravi, anche se una nota la dedico a “Molly e Christopher”: Vivian ha saputo raccontare con atteggiamenti e sfumature tantissimi stati d’animo, dall’allegria alla paura alla disperazione. Tutti credibili, tutti vissuti. Il dinoccolato Francesco, ha sfruttato la sua fisicità per raccontare un disagio, una sofferenza che non lo abbandonava mai, né quando era protagonista della scena e tantomeno quando ne era solo spettatore. Ogni suo movimento era giusto, adatto alla situazione, era ancora una parte del racconto, anche senza parole.

Grandi meriti. Loro e di chi li sa guardare, li sa scegliere e sa regalare un’opportunità.

Foto di Simone De Iuliis

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