La laurea di Emanuele
“Se scrivi mandami il link”.
È arrivata questa frase così, all’improvviso, non so se quando era già riapparso il sole o mentre ancora c’era la pioggia, improvvisa anche lei, a farmi correre il rischio di perderla dentro quegli scrosci violenti.
“Se scrivi mandami il link”.
Ho sentito e non credo di aver capito subito, come se fosse una richiesta strana, anche se non lo era per niente. Di certo non ci ho pensato molto a caldo, come se potessi non farlo, come se non fossi pronta per farlo.
Ma quella frase è rimasta lì, in quel parcheggio dove sanno accomodarsi le parole e con infinita pazienza mi aspettano. Non hanno mai fretta, non mi rimproverano se le faccio attendere, non si scompongono se arrivo all’improvviso e provo a rimetterle insieme.
“Se scrivi mandami il link”.
Perché ho questa difficoltà a scrivere?
È il giorno della laurea di Emanuele, sono arrivata a casa loro con calma, mi sono accodata nel viaggio fino a Caserta e non ho responsabilità di guida né di strade da trovare. Ecco, mi sembra che già queste prime descrizioni raccontino di un mio ruolo molto soft.
Abbraccio Giorgia che non vedo da tempo, trovo Gianmaria che invece mi raccoglie nel suo di abbraccio e incrocio Emanuele, quasi pronto, bellissimo, pallido, emozionato. Grazia e Claudio sono efficienti, come sempre. Loro organizzano, cuciono i fili che legano le cose da fare; fanno sempre qualcosa per qualcuno.
Il viaggio è tranquillo, i ragazzi sono in un’altra macchina e noi tre adulti siamo tutti un po’ persi in un sonnolento andare, invogliati da quel tempo che minaccia pioggia, che oscura il cielo, ma che in realtà genera molta afa e quella pesantezza si accumula sulla mia notte insonne, ma di sicuro anche sulla loro, che hanno vissuto questo giorno già da diversi giorni di certo.
La prima sorpresa è l’Università Vanvitelli a Caserta. Un caseggiato basso e non i mastodontici edifici nei complessi universitari che ricordo io; un primo indizio a ricordarmi che le cose non devono per forza essere come noi le immaginiamo.
Ci accomodiamo nella sala della discussione, Emanuele sarà il primo candidato da esaminare.
L’attesa non è lunga ma mi trovo tra le mani la sua tesi.
L’apro, leggo le prime pagine, scopro l’argomento che ha deciso di trattare, poi qualcosa mi porta in fondo. Trovo blocchi di pensieri dedicati. Non è l’ordine giusto, inizio con Giorgia e Gianmaria, poi trovo Claudio Grazia, e tutti quelli che ha citato.
Leggo e mi sembra di prendermi qualcosa che non mi appartiene e che lascio da qualche parte, non sono pronta a rifletterci su; iniziano le discussioni.
Sono in una fila di banchi come non mi capitava da tempo e mi piace l’idea di avere ancora la possibilità di prendere lezioni, di assimilare concetti. Parliamo di psicologia, di comportamenti, di persone e l’argomento mi intriga.
Seguo tutti i laureandi con molta attenzione, tanto da far meravigliare qualcuno, ma distrarmi mi fa immaginare di sprecare il mio tempo. Anche perché l’alternativa sarebbe lasciarmi distrarre dai comportamenti degli altri, di chi ha deciso di impiegare diversamente il proprio di tempo, incurante delle conseguenze di quella scelta.
Molte delle tesi hanno una finalità statistica. Mi perdo in una riflessione molto personale ed anche egoistica, confesso. Sebbene gli studi si fondino sui numeri, io ho sempre in mente la persona che ti puoi trovare davanti, la sua unicità e farla rientrare in uno stretto tunnel di percentuali, mi mette in difficoltà. Ma io sono ben lontana dalla cattedra e questo aiuta molto.
E così, dopo i minori non accompagnati, le problematiche delle relazioni con i social, i numeri dei femminicidi, la tutela della privacy nel rapporto online con i pazienti, l’importanza del mindfullness che però è difficile da proporre come semplice “materia” e così via, si arriva alla proclamazione.
Ciascuno riceve la propria valutazione con poche sorprese immagino e si dà il via ai festeggiamenti.
È il momento degli auguri, degli abbracci, delle foto.
È il momento in cui, senza essere di nuovo in un banco, mi sembra di continuare a guardare, ad ascoltare. A ricordare.
Perché quello che vedo si mescola a quanto avevo letto nei pochi minuti che hanno preceduto tutto quanto.
Quelle dediche. Ripenso al fatto che mi erano sembrate delle rivelazioni, delle confessioni.
Per ciascuna delle persone citate c’era un ricordo, un legame profondo, un desiderio di svelare sentimenti e di renderli partecipi non solo di un momento importante come una laurea, ma molto di più. Qualcosa che restasse per sempre.
E gli abbracci che vedo, l’amore che si racconta… resto spesso fuori da quel cerchio invisibile e non perché io non ne faccia parte. Solamente ora c’è qualcosa di diverso, io lo sento come un momento troppo intimo nonostante ci siano tante persone oltre loro cinque.
Emanuele sembra capire questo mio stato d’animo, si avvicina e mi stringe la mano “Ne avevo voglia” mi dice. Lo abbraccio, perché è il suo modo di invitarmi ad entrare in quel cerchio e gliene sono grata.
Riprendiamo le macchine e la via di casa. C’è Gianmaria ora in più con noi e con lui inizia qualche riflessione su quanto ascoltato, ma non per tanto tempo.
Quella stanchezza che già c’era al mattino, ma che era combattuta dall’adrenalina dell’attesa, ritorna a distendersi su di noi, come una coperta che avvolge.
Ed è lì che arriva lo scroscio di pioggia e quella frase: “Se scrivi mandami il link” e forse ora è più chiaro perché l’avevo lasciata scivolare via, sotto la coperta della stanchezza.
In fondo era la laurea di Emanuele, ma erano solo i miei occhi ad averla guardata e il mio cuore ad averla vissuta.
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