Mal di Libia – Nancy Porsia
Ho terminato la lettura di questo libro da poco. Un libro che non avrei scelto di leggere se non avessi ascoltato con le mie orecchie la voce della sua autrice e non le avessi stretto la mano dopo averle visto gli occhi lucidi.
Un libro che ho lasciato sul tavolo senza leggere per diversi giorni quando mi ha accolta con il suo “soffietto editoriale” o “book blurb”, come ho scoperto da breve ricerca.
“… Dopo aver letto queste pagine ringraziamo la sorte per averci fatto nascere dalla parte fortunata del mare”. A firma Roberto Saviano.
La parola “fortuna” mi ha inibita, mi ha spinto a fare osservazioni che non potevano ancora essere legate al testo, ma a indicarmi come sarebbe potuta essere la percezione che ne avrei avuto accettando il punto di vista di chi raccontava e di me che leggevo.
Banale? Tante cose lo sono, come la parola “fortuna”, ma sono le piccole cose che cambiano le storie, che possono cambiare La Storia.
D’altra parte non è neanche facile sedersi davanti a una tastiera e scrivere i propri pensieri appoggiata al tavolo di casa tua, con la musica che scegli in sottofondo, con la tua tazza di caffè in mano e la certezza di poter uscire fuori al terrazzo senza rischiare di essere colpita da un proiettile o da una bomba.
Le mie parole rischiano di diventare banali o poco adatte a questa storia scritta da una Giornalista, da una donna che ha permesso alle sue idee di essere la spinta per partire, ma soprattutto la base su cui costruire le motivazioni per restare. Allora io comincio ad usare termini diversi: coraggio piuttosto che fortuna.
Ci vuole coraggio e Nancy lo ripete spesso nelle sue pagine.
“Ho paura della guerra e della morte. Ho paura di morire in guerra… Forse perché quello che mi spaventa più della morte è morire senza capire”.
Coraggio che non significa disprezzare la Paura, no. Quella ti tiene sveglia, ti mangia lo stomaco, ti fa guardare le spalle, ti fa temere della tua e della vita altrui, ma non ti fa mai indietreggiare. Perché il Coraggio, quello che hai verso di te, dentro di te, la certezza di voler capire qualcosa che non è ciò che appare, è più forte di quella Paura. Uno ti concede di vivere, l’altra ti fa morire anche se respiri.
Il mio racconto, quello che nascerà dopo il tuo, dal tuo, partirà da queste base cara Nancy.
Anche io mi assumo il coraggio di usare le mie parole, di tener fede al mio pensare, alla mia visione e so che per questo mi capirai. Potrai non essere d’accordo, ma apprezzerai di certo la mia scelta.
Libia, fine di una dittatura, sogno di una democrazia. In fondo si pensa sempre alla storia come periodi di alternanze. La fede, la ragione, il romanticismo, la tirannia, le democrazie.
Abbiamo dato tante definizioni al nostro “evolverci”, eppure quello che mi viene in mente dopo le oltre 200 pagine che ci hai regalato, è che in fondo dietro, dentro tutta questa storia c’è sempre stato un elemento che cambiava le prospettive: l’uomo. Belle parole, grandi slogan, idee splendide e poi realtà diverse.
Tu hai raccontato questo Nancy.
Hai vissuto per anni in un posto che doveva lottare per la sua nuova democrazia, che doveva cambiare gli anni della dittatura, ma, come spesso accade, dopo averla così tanto sognata quella parola “Libertà”, quando ce la ritroviamo tra le mani, ci accorgiamo che ha un peso così grande che non siamo in grado di sopportarlo.
In nome di un’idea una guerra è “giusta” e i morti che causa non hanno nomi, né volti, né età. Ma se così fosse, quale idea sarebbe quella giusta, quella per cui lottare? Libertà si può usare facilmente come motivazione, ma cos’è la Libertà? Libertà da chi, da cosa?
Domande che si affollano, che mi chiedono di essere appuntate durante la lettura, mentre la mente si perde dentro quelle strade distrutte, in mezzo a quella polvere che corrode.
Confesso che la mia ignoranza non mi ha permesso di avere sempre chiari i giri che facevi, le località che toccavi, forse avrei dovuto essere più scrupolosa, leggere con accanto una cartina geografica, ma in realtà non erano le terre conquistate che mi invitavano a proseguire ancora.
Mi sono immersa nel racconto dei due bambini che hai conosciuto e perso, quelli per i quali ancora piangi e mi è venuto in mente che tutte le storie cambiano quando a dei volti noi associamo un nome.
Tu, come tutti noi, di certo hai sentito di quanti morti ci sono stati in quelle acque, molti più di quelli contati certamente. Eppure la nostra sopravvivenza a queste vicende, è il non aver mai dato delle reali identità a quelle persone. Quella maglietta rossa a vestire un piccolo corpo lasciato su una spiaggia, che un fotografo colse, anni fa, provò per un po’ a scuotere le nostre coscienze; solo una maglietta rossa, ma non fu abbastanza.
Tu sei rimasta imprigionata dentro quei volti, dentro quelle voci, dentro quei sogni che ti erano stati svelati.
Sei stata bravissima ad andare avanti, a superare le tante vite spezzate che ti hanno accompagnata, hai avuto Coraggio a guardare con i tuoi occhi i posti di cui noi conosciamo l’esistenza, ma di cui non sentiamo l’odore, nemmeno guardiamo gli occhi e i volti di chi, in quei posti indefinibili, è costretto a viverci.
Non mi prendo niente di quelle che sono state le tue sofferenze, le tue paure; ho per loro lo stesso rispetto che hai avuto tu in una delle tante “prigioni” dove hai scritto “Mi arrogo il diritto di raccontare il dolore, lo faccio per mestiere. Ma provo a non arrogarmi il diritto di viverlo. Sarebbe come trafugare il sacro”.
Ci sono cose che possiamo sfiorare, non possiamo farle nostre.
Non lo hai preteso tu, figuriamoci se provo a farlo io.
Ma quelle storie Nancy, quella storia che hai tessuto a così caro prezzo, a me ha aperto finestre su altri scenari, su altre latitudini, mi ha generato sensazioni.
È la delusione che hai provato anche tu quando ti sei resa conto che l’aiuto che si doveva a quella gente che aveva sogni e non sapeva come realizzarli, doveva arrivare da chi, apparentemente, già vive in democrazia. Già ha delle strutture che tutelano la democrazia.
Ma ti chiedo: quando sei uscita fuori da quell’orrore, quello del lerciume, della violenza, dell’assoluta assenza di diritti, dove la Vita non ha nessun valore se non come merce di scambio e di guadagno, quando sei ritornata in quel mondo civile, quello dei “fortunati”, quanto ti sei sentita più a tuo agio?
C’è un posto nel mio pensare che mi consente di accettare quella frase del “soffietto”, uno solo però.
Noi siamo stati “fortunati” perché abbiamo conquistato un Tempo. Un Tempo che non dobbiamo dedicare più alla ricerca del pasto quotidiano, che non ci spinge a lasciare le nostre Terre perché pericolose, o da cui veniamo rapiti per fare numero su quei barconi e generare guadagni.
Ma se abbiamo il nostro Tempo, se viviamo in democrazia, se conosciamo i diritti, se parliamo di giustizia, come mai non la mettiamo in pratica?
Questa Europa così confusa nella gestione dei migranti, queste organizzazioni che non hanno interessi a risolvere il problema, questa necessità di mettere in primo piano potere e ricchezza, quanto ci fa inorridire?
Ma cosa potrà cambiare tutto quanto?
Ti dico cosa penso, seduta qui al mio tavolo, davanti al mio caffè, sicura di non essere colpita da nessun proiettile, eppure consapevole che ho bisogno di Coraggio anche io.
Penso che solo l’Uomo, il singolo uomo, può portare il cambiamento.
La rivoluzione, le guerre, non hanno mai risolto nessun problema, ne hanno solo nascosto altri.
Lo scriviamo e lo studiamo sui libri da secoli, eppure non decidiamo di cambiare mai.
Tu sei sopravvissuta agli attacchi in un territorio di guerra, ti sei potuta difendere da proiettili e bombe correndo più forte, o con l’uso della tua intelligenza o anche grazie all’aiuto di persone coraggiose che si sono prese cura di te, eppure non hai neanche saputo di essere “spiata” dal tuo governo democratico, quello dei fortunati.
È meno grave di una tortura fisica in un paese allo sbando o mettere a tacere è più grave in un paese “libero”?
Quanto è assurdo tutto questo?
Cosa ci racconta tutto questo?
Il problema sono le bombe, sono le fazioni o è la sete di potere?
E a questa apparente necessità a cui non sembra ci si possa sottrarre, noi come ci contrapponiamo?
Qui, ora, oggi, in questo continente “fortunato”, dove ci può essere libera espressione, libertà di stampa, su cui tu potresti spendere certamente più parole di me, ma che ti assicuro, anche qui, lontano dalle redazioni, suona abbastanza stonata come definizione.
Eppure ci sei tu. Ci sei tu che mi dai la prova, la dimostrazione, non di aver saputo raccontare una storia drammatica a costo della tua vita, ma di aver avuto il Coraggio di fare una scelta. Una scelta per te stessa, per il rispetto che hai deciso di darti.
In fondo la storia che hai vissuto l’hai guardata con i tuoi occhi, tu hai sentito quelle voci seguirti quando lasciavi le prigioni, dopo aver provato a contattare ambasciate, organizzazioni umanitarie, sapendo perfettamente che non ne avresti ricavato niente. Tu hai metabolizzato quella sconfitta, tu hai ingoiato la rabbia per quelle vite senza futuro e da quei tuoi sentimenti è nata la tua visione.
Tu, un’unica persona capace di osare.
Allora io torno a quel concetto di rivoluzione che non è mai di massa, che non potrà mai appartenere a intere generazioni, ma ai singoli.
Ne abbiamo avuti di esempi nel corso della Storia, ma da loro abbiamo imparato solo finché ci hanno guidato, poi abbiamo trasformato la bellezza di un esempio, di un valore, in un “però” che ci ha portati altrove.
L’educazione, la cultura, quella di cui abusiamo come termine, non significa continuare a riempire vasi di parole, ma dovrebbe consentirci di togliere il superfluo che è fuori di noi e a cercare quanto di buono e di magnifico abbiamo dentro.
Ci sono tantissimi ambiti dentro cui ci troviamo e dentro cui scopriamo che ciò che conta non è il bene comune, ma la salvaguardia di una singola necessità.
Tu hai parlato dei migranti, molti hanno scritto di Salute, altri lo faranno della guerra in Europa.
Da ogni singolo punto di vista ci sarà una motivazione, una ricerca del buono e del cattivo, di una presa di posizione che ci porti in una direzione o in un’altra, ma troppo spesso dentro scelte indotte e mai consapevoli.
È lì che dobbiamo puntare la nostra attenzione. Nella responsabilità di ciascuno.
Tutti siamo indispensabili in questo processo.
Non c’è nessuno più importante di te o di me perché ricopre un ruolo diverso.
Se la mia coscienza è rivolta a quella ricerca di un bene superiore, allora non ci sarà nulla che potrà impedire la mia crescita, la mia rivoluzione. Che diventerà la Nostra, non perché siamo “fortunati”, ma perché saremo consapevoli e responsabili di tale condizione.
Grazie Nancy, grazie per i tuoi anni, per le tue paure, per i tuoi occhi, per il tuo cuore che hai dovuto indurire per sopravvivere, capita di doverlo fare, ma questo ti ha dato la certezza di possederlo un cuore e di potergli ridare respiro in un altro luogo e in un altro momento.
Grazie per questa testimonianza che è diventata un’altra occasione di riflessione personale.
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