Riflessioni
Sbarco di migranti.
Barconi affondati.
Frontiere chiuse.
Bombardamenti.
Europa unita.
Europa divisa.
Popoli in guerra.
Popoli in fuga.
Ognuna di queste frasi è un inizio, un potenziale inizio. Per raccontare speranze, per documentare morte, per osservare crudeltà, per sentire dolore.
Raccontare un racconto dei nostri giorni può risultare molto semplice. Le notizie ormai ci colpiscono come colpi di mitragliatrici, anche loro passano veloci dentro le nostre orecchie, sopra i nostri occhi, non tutte fanno in tempo ad occupare uno spazio, ma tanto quella che perdi è subito sostituita da una peggiore.
Dovresti preparare la cena, la sera è una come tante, e la giornata? Perché la ricorderò? Per un ingorgo causato da non so cosa, o per lo splendido sole che ha asciugato le pozzanghere di ieri, pozzanghere fatte non solo di acqua, ma anche di lacrime. Potrei ricordarlo anche per quelle corone bianche, per quell’altro sogno interrotto, per quella debolezza che si è nascosta dentro una corda.
Hai un nome, ma non è l’unico, hai un volto, ma somiglia purtroppo a molti altri, hai una storia, irripetibile sì, ma che diventa comune. E sei il risultato dei nostri fallimenti. La tua breve vita è ciò che resta a testimonianza di altre vite che sono passate intorno e dentro alla tua senza aver avuto la forza di piantare nessun seme.
Da sola mi chiedo perché accomuno le grandi problematiche del mondo e il “piccolo” dramma di una comunità. Cosa è uno di fronte a cento, mille? Apparentemente non c’è confronto se consideriamo freddi numeri, ma è il concetto di essere che accomuna i conti. Uno, cento , mille non cambiano per ordine di grandezza. Perché anche il cento e il mille sono fatti di uno. Uno ad uno, dieci a dieci, cento a cento, fino a diventare migliaia sono gli uomini in cammino. E non parlo solo dei profughi. Parlo dell’umanità intera, di quella che ha iniziato e che ogni giorno inizia nuovi viaggi verso un qualcosa che non sappiamo più cos’è.
È questo il nostro dramma. Nessuna storia andrebbe raccontata con effetto mitragliatrice, ogni uomo andrebbe accolto o forse, meglio ancora, non dovrebbe essere obbligato ad abbandonare la propria casa, la propria terra. Il problema dei profughi, che etichettiamo con un termine generale che comprende tutto, è un problema che va ben oltre quelle frontiere chiuse o aperte. È un problema di coscienza.
Da poco più di un mese abbiamo ricordato ancora un’altra shoa, il giorno della memoria, ma perché continuiamo a prenderci in giro? Ho visto per la prima volta una parte del film Schindler’s List. Non so cosa vorrei raccontare di quelle sensazioni. Non so cosa mi passava prima nello stomaco e poi nella testa guardando quelle immagini. Esseri umani cancellati; viventi, pensanti, con sentimenti, ma allo stesso tempo appiattiti dalla paura, dalla debolezza, dalla loro condizione di continuo stupore di fronte ad un orrore che la mente umana non dovrebbe poter spiegare. Semplicemente perché non ne dovrebbe concepire l’esistenza. Ma noi abbiamo visto fin dove ci siamo spinti, e l’avevamo già visto anche prima, nei secoli passati. Casacche di colori diverse avevano accompagnato uomini verso battaglie in nome di qualcosa che doveva essere giusto: idee da difendere, valori da consolidare. E non ci siamo accorti che sotto ognuna di quell’idea, dentro ognuno di quei valori, automaticamente si spegnevano quelli che erano i diritti più elementari del vivere civile. Ogni volta si perdeva di vista la vera, unica cosa che conta nel corso della nostra vita: il rispetto.
Ma non quello che si deve come salamelecco, non quello da riconoscere al potente, no. Il rispetto per l’essere umano. La certezza che non ci sarà mai qualcuno che possa valere più dell’altro, che non si dovranno pensare idee che possano prevedere di sottomettere un popolo ad un altro. Niente. Non siamo stati creati con differenze, siamo nati tutti perché in ogni vita, dentro ogni corpo, c’è un progetto da portare avanti, un sogno da completare.
Gli uomini dovrebbero imparare a conoscere i loro sogni, dovrebbero avere la possibilità di ascoltare i suoni che nascono dal proprio io, seguire le strade che hanno da percorrere camminando, non andando di corsa. Se corriamo sempre, saremo obbligati a scontrarci con chi è più lento, e pur di superarlo, lo calpesteremo.
Cava 8/3/16
Rileggo quelle parole che avevo scritto per il mio solito bisogno di alleggerirmi. Quei pensieri fanno male da tenere dentro. E oggi ce ne sono altri. Peggiori? No. Inconcepibili.
Avevo parlato di come l’uomo si lasci trascinare per sete di potere, di vendetta, di ignoranza, di tutti quei sentimenti che si accumulano dentro le nostre vite chiedendo spazio e giustificazione per esistere. Ma non ne dovrebbero meritare. Ma poi ascolto QUELLA notizia.
Ucciso perché volevamo scoprire cosa si prova a farlo.
Non vi chiedo se avete capito perché credo che tutti l’abbiano sentita.
Ucciso perché volevamo scoprire cosa si prova a farlo.
La scrivo, la leggo e non ci credo. Mi tremano le gambe al pensiero di ciò che significa questa frase, questo gesto. Non mi metto nei panni di nessuno dei protagonisti, né delle vittime, né dei carnefici. Non voglio immaginare di essere nemmeno il parente lontano di queste famiglie. Mi basta pensare che sono madre. Mi basta pensare alla responsabilità che ho nel crescere i miei figli. Al dovere che ho di insegnargli, non solo a parole, che esiste il rispetto degli altri. Che viviamo e dobbiamo lasciar vivere nel modo più civile possibile. Che abbiamo un ruolo, sempre, per il semplice fatto di essere arrivati su questa terra.
E che nessuno, NESSUNO, ha il diritto di prendersi la vita degli altri, di nessun altro.
Fermiamoci: non a giudicare, non credo che da qualche parte, qualcuno, possa trovare giustificazioni a questo. Fermiamoci: a riflettere su cosa stiamo facendo, dove viviamo, cosa mostriamo. Fermiamoci: e cerchiamo di arrivare con lo sguardo un poco più lontano del nostro naso, immaginando le conseguenze della nostra follia.
Ve ne prego, davvero. Guardo e penso ai bambini che conosco, a quelli che non vedo, a quelli che so che esistono ovunque e tremo. Tremo al pensiero del loro futuro. Tremo perché questi giovani folli trentenni dovrebbero già essere il nuovo che avanza, dovrebbero già rappresentare i nuovi esempi. Ma cosa possono insegnare?
La scuola, la famiglia. Queste sono le basi per tutto.
Renzi per la “Buona scuola” ha fatto entrare nelle classi soggetti più che discutibili, persone già esaurite per aver forse aspettato vent’anni un posto che alla fine neanche gli spettava vista l’inadeguatezza delle loro competenze non solo cognitive, ma soprattutto morali, e che oggi si ritrovano a contatto con i piccolissimi, quelli della prima elementare. E urlano, li minacciano, li offendono, li puniscono senza motivo e senza nessun esempio costruttivo. E questi soggetti si associano alle altre maestre a loro volta stanche delle abitudini dei nuovi alunni, ipertecnologici, super accessoriati, come le macchine che guidiamo, super protetti da genitori che non li vogliono educare, ma solo veder crescere come la pianta in giardino a cui dai acqua e basta. E questa confusione di ruoli, di responsabilità delegate, di scarica barile, ci restituiscono una massa di invertebrati senza carattere, senza midollo spinale, senza coraggio. Che non sanno affrontare nessun ostacolo, nessuna privazione, che non sanno dare valore alle cose.
Un enorme movimento di molluschi che cercano di scavalcarsi l’uno con l’altro per poter vedere lo spiraglio di luce e avere una boccata d’ossigeno.
Ma è questa la vita? Ce lo chiediamo mai cosa e come dovrebbe essere vissuta la nostra storia?
Accontentarci, “perché siamo tutti così”; chiudere gli occhi “perché tanto così fanno tutti”. Se questi sono gli slogan del nostro quotidiano, allora arrendiamoci. Arrendiamoci a questo nemico invisibile e ingombrante che ha riempito la nostra mente, ha cancellato la nostra morale, ci ha trasportati indietro di millenni nella storia evolutiva. L’uomo delle caverne, la legge della giungla e del più forte è l’unica che facciamo valere.
Ma dovremmo avere anche il coraggio di rimetterci a camminare a quattro zampe. In fondo siamo di gran lunga peggiori degli animali: loro non conoscono il modo per umiliare l’altro, lo combattono per difendere la specie; non costruiscono prigioni e lager; e uccidono solo per sopravvivere, mai per piacere.
- Ponzio Pilato: è così lontano da noi?
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