Un maestoso Antonello De Rosa con “Jennifer” chiude la Rassegna Li Curti
Il 19 Aprile nella sala del Social Tennis Club, abbiamo assistito alla serata conclusiva della Rassegna invernale Li Curti. Dopo cinque mesi di spettacoli davvero di altissimo livello, durante i quali siamo stati coccolati da una Geltrude Barba, che non ha lesinato sforzi e impegno per portare nella nostra Cava attori e registi di spessore nazionale, abbiamo chiuso con uno spettacolo davvero unico: Jennifer, da un testo di Annibale Ruccello, diretto e interpretato da Antonello De Rosa, coadiuvato da un tris di magnifici attori.
Ma mi permetto di farvi aspettare un attimo per questo, partendo dalla fine e ve ne spiego il motivo. È una forma di rispetto verso il teatro. Se le considerazioni extra palco le facessi dopo, resterebbe quel velo di polvere ad attutire una serata splendida e non voglio che accada.
Dunque vi dirò prima della sorpresa che abbiamo avuto quando Geltrude Barba, presentata da una splendida signora “in rosso” Carmela Novaldi, ha annunciato la chiusura della Rassegna senza poterci dare il nuovo appuntamento per il Li Curti estivo, non essendo stata garantita per il tempo occorrente (un mese circa) la sede di Santa Maria del Rifugio, splendida location della Rassegna 2014.
A questo punto dell’anno, a pochi mesi dall’inizio di una manifestazione che ha ormai assunto carattere di levatura nazionale, ci sembra quantomeno strano che non si riesca a trovare una soluzione a quello che ormai è diventato un vero problema di gestione. In questa sede mi permetto di fare solo pochi appunti: come è possibile che amministratori (termine generale perché non sto facendo campagna elettorale per nessuno) non riescano a fare ciò che risulta essere un vantaggio per il Comune che rappresentano? Abbiamo coniato termini che dicono tutto e il contrario di tutto, noi passiamo dall’abuso d’ufficio al voto di scambio e qual è il limite che divide le due definizioni? Se si fa ciò che si ritiene valido, abbiamo “abusato” del nostro ruolo, se andiamo a chiedere di poter fare ciò che si ritiene valido, abbiamo ottenuto un favore e dunque abbiamo “corrotto” qualcuno? Qual è l’inghippo?
C’è chi suggerisce una soluzione anche formalmente utile. Questo Premio, fiore all’occhiello per tutta Cava e non giocattolo di una persona, perché non organizzarlo con una gestione comunale? Questo darebbe lustro all’Amministrazione, non farebbe cadere nel “favoritismo”, non priverebbe noi del piacere di vedere, a pochi passi da casa nostra, attori e registi che si ammirano in ogni parte d’Italia e anche all’estero.
Insomma signori amministratori, pensateci bene prima di non spianare la strada ad una iniziativa che ormai cominciano ad invidiarci in tanti.
E dopo questa parentesi che spero mi perdonerete, con un’emozione ancora molto forte a dettare le mie parole, vi parlerò di “Jennifer”.
Jennifer ci ha accolti nella sua casa, luci soffuse, un salotto, un tavolo apparecchiato in modo elegante e raffinato, una lunga vestaglia rossa con strascico, trucco vistoso, lunghe ciglia e sguardo basso, un po’ perso, in attesa…
La sala è stracolma, siamo stretti l’uno all’altro, sedie aggiunte, posti prenotati, balconata gremita, nessuno di quelli che sapevano della serata di Antonello De Rosa, che tante volte ha diretto attori in questa Rassegna, ma che stasera è protagonista lui stesso in questo salotto, ha voluto perdersi la sua performance. Ed ha fatto molto, ma molto bene.
Antonello ha riaccompagnato per l’ennesima volta in scena, ma con le ennesime trasformazioni “in crescita” il testo di Annibale Ruccello “Le cinque rose di Jennifer”. Lo aveva fatto la prima volta 17 anni fa andando a vincere ad Agrigento il Premio speciale “Città di Vigata-Agrigento” con la motivazione dello scrittore Camilleri: “Tu non hai interpretato Jennifer, tu SEI Jennifer”.
La Jennifer di Ruccello nasce rasata nei capelli e nella barba, è l’uomo/donna che aspetta per mesi a telefono che arrivi la chiamata del suo Franco, l’amore perfetto che deve venire a toglierla da quella vita che è una via di mezzo tra tutto. Ma la telefonata di Franco non arriva, è sempre intercettata da quei “file fracite” che accavallano vite e situazioni. Fino ad un gesto estremo che Antonello De Rosa rispetta per rispetto al testo, ma che non approva nella vita reale.
In questi lunghi 17 anni però Jennifer è cresciuta, come le sono cresciuti la barba e i capelli. Sale sul palco con una maestria eccezionale. Tutto racconta di Jennifer attraverso Antonello De Rosa e il suo corpo, le sue movenze, il suo abbigliamento, le sue nudità , la sua voce, le sue parole, i suoi silenzi, il suo dolore.
Ha smosso tanti tasti, è stato un prisma che ha fatto riflettere tutto e il contrario di tutto. Se dovessi dire che ha interpretato un personaggio sbaglierei, diminuirei ciò che lui è stato durante il tempo in cui ha rivoltato ognuno di noi. Lui non è stato uomo, non è stato donna, non è stato elegante, non è stato cafone, non è stato volgare, non è stato gentile, non è stato solo, non è stato in compagnia, non è stato credente, non è stato ateo, non è stato falso, non è stato realista, non è stato vestito e non è stato nudo.
Lui è stato TUTTO questo.
E rende forse l’idea di quello che abbiamo vissuto. Non riuscivamo ad entrare dentro uno degli stati d’animo di questa persona che già dovevamo cambiare idea, pensare un’altra cosa, guardarla da un’altra angolazione. Antonello-Jennifer, ci ha strapazzati, ci ha portati dalla solitudine del suo divano all’ilarità delle telefonate “intercettate” con esseri senza volto, ma con voci che diventavano storie possibili. Voli di una fantasia che si ribellava alla “prigionia” di una vita che innalza cancelli di cui diventiamo prigionieri e carcerieri . Alla quotidianità del pratico e alla compagnia falsa di “Radio Cuore Libero”, da dove arrivano note di canzoni bellissime e tristi e parole di tragedie riconducibili all’incapacità di accettare “gli altri”.
Ma in questo suo gioco con noi, come il gatto con il topo, in cui non sapevamo se venivamo inseguiti o dovevamo inseguire, si è “moltiplicato”. Da lontano una Simona Fredella che, senza parlare, ha quasi rubato la scena al suo maestro mentre si rifletteva nei suoi gesti. Una presenza forte, la donna che accompagna l’uomo, un pensiero che si materializza, un tutt’uno che si fonde rimanendo separato ma così visibile ai nostri occhi da non concederci dubbi; mentre ci dava la certezza della differenza.
E poi il ballo che aveva nella testa si è materializzato con un solitario “tanghero” Alessandro Della Rocca, che delicatamente ha danzato al centro dei suoi pensieri, ma davanti ai nostri occhi, mostrando anche a noi le sensuali immagini di un ballo che sa toccare l’erotismo senza essere volgare, che ti sa trasportare lontano anche tenendoti ben stretta tra le braccia.
Ma Jennifer non era sola nella sua testa e dunque la sua “follia” si è personificata in Francesca Pica, un alter ego degno dell’originale, con momenti di tensione pura. Il colloquio sulla solitudine, sul dolore nel dover accettare l’impossibilità dell’uomo di concepire un figlio e del suo desiderio di donna che vuole diventare madre. Francesca e Antonello hanno sofferto insieme il voler essere una cosa e contemporaneamente il suo contrario. Si sono regalati momenti di dolcezza e di pura violenza. Ancora una volta bianco e nero, giusto e sbagliato. Ma dove, cosa, chi?
Jennifer, sola e mai sola, battagliera e debole, vittima e carnefice, uomo e donna, sana e folle. Non c’è stato momento in cui si sia avuta certezza di qualcosa. Ogni considerazione che volevi fare veniva scavalcata dalla scena successiva.
Jennifer è il nostro ossimoro per eccellenza. È la prova che siamo fatti di limiti e che nella maggior parte dei casi non li sappiamo neppure riconoscere, figuriamoci superarli.
La Jennifer di ieri è anche colei che però prende una decisione, che Simona Fredella ha magnificamente materializzato ai nostri occhi: è diventata donna Carillon, una musica fluida, che muove i pupazzetti in maniera regolare, ma basta un granellino di sabbia, un ingranaggio difettoso, e il suo percorso si modifica, si inceppa su alcune note, va ancora avanti e indietro ma in maniera irregolare, non c’è più logica nei suoi giri secolari. E mentre il carillon mostra segni di cedimento, Jennifer ritorna uomo, solo, sconfitto. Unica compagna un’arma che scriverà la parola fine su questa storia, mentre subito dopo squillerà ancora una volta il telefono. Ma questa volta nessuno risponderà e non si saprà mai se Franco è davvero esistito.
Chiedetevi ora se tutto questo, l’applauso sincero e riconoscente che Antonello De Rosa ha ricevuto insieme ai suoi eccezionali attori del gruppo Scena Teatro, con la bella signora in rosso Carmela Novaldi e la testarda quanto brava Geltrude Barba e i suoi collaboratori, potevano essere oscurati da misere considerazioni politiche e di interesse.
Chapeau maestro e arrivederci a presto.
- Rassegna Li Curti – “Una patatina nello zucchero” con Aldo De Martino
- La carica dei 101
Un grazie davvero speciale a Paola La Valle.
Ti ringrazio, non perché scrivi sempre bene dei miei spettacoli, ma perché grazie alla tua alta professionalità e sensibilità, riesci a portare sul foglio tutte le emozioni.
Tutte le emozioni che vivi.
Non è facile far arrivare ad altri quello che si prova a teatro.
Tu ci riesci. SEMPRE.
Mi piace molto la tua curiosità.
Ecco, questo leggo nei tuoi articoli, la grandezza di arrivare diritti al cuore di qualsiasi lettore.
Queste sono virtù di pochissime persone, sopratutto dei giornalisti.
Grazie Paola.
Grazie per tutto l’amore e professionalità.
Come se lo sapessi che eri anche tu, ancora qui, su questa pagina.
Ti ringrazio per quello che riesci a tirare fuori dalle persone, per quello che le costringi a guardare. Ciò che tento di fare non è solo “condividere” con chi non è presente, ma fissare nella mente momenti di assoluta grandezza.
A presto Maestro